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Antonio Bettanini: La web reputation di un’azienda sui nuovi media il must è il “trust”

Tecnologie web e social network non solo favoriscono l’interazione, ma consentono agli utenti di assumere un ruolo attivo nei processi di comunicazione e di costruzione della conoscenza, diventando un potenziale punto di riferimento per altri utenti. Seconda parte dell’intervento di Antonio Bettanini, esperto di Comunicazione Istituzionale e co-fondatore del blog indipendente Il Comunicatore Italiano.

La libera interpretazione. Il tratto visionario e religioso di questa rivoluzione che si ispira alla Riforma e a Lutero (semplificando, l’analogia è con la rinuncia alla mediazione interpretativa dei testi. Dunque la rinuncia ad ogni Ordine dell’interpretazione: pubblicitari, politici professionali, giornalisti) nasce con le tecnologie web che non solo favoriscono l’interazione, ma consentono ora ai navigatori di assumere un ruolo attivo nei processi di comunicazione e di costruzione della conoscenza. Ognuno “può dire la sua” su qualsivoglia argomento, avendo anche la possibilità di diventare un concreto punto di riferimento per gli altri utenti. E guardando al fenomeno dalla prospettiva della comunicazione di impresa ora l’utente/consumatore ha tra le mani il potere di giudicare sull’efficienza di un’azienda e spiegare le sue ragioni ad una quantità indefinita di individui, che a loro volta si formeranno una personale immagine mentale sull’azienda in questione. Un’ opportunità. Ma anche un rischio.

Quanto vale il trust. L’opportunità è ad esempio di chi “nel mondo reale potrebbe essere una nullità, ma online è un Re”, perché le sue attività nella rete, il tono e la qualità dei contenuti che produce, il ruolo che assume nelle discussioni e nei commenti, hanno accresciuto il suo “trust”. E’ diventato quello che nel marketing si definisce: influencer, evangelist, trend setter. E c’è chi ha misurato questa influenza nel “passa-parola” (si parla di Klout Score), al punto di finanziarlo. Accade quindi che la reputazione sia un “abilitatore” al denaro tanto che c’è chi afferma che nella rete: “la tua reputazione diventa più importante del tuo conto in banca“.
E il valore della “reputazione” produce effetti diversi e misurabili per le aziende che investono in questa rivoluzione del mercato. I clienti comprano di più, la forza contrattuale verso fornitori o partner aumenta. Ancora: si realizza una maggiore facilità di accesso a mercati esteri e, se quotata, l’azienda capace di una buona strategia di comunicazione della reputazione, registrerà una minor volatilità del titolo e prestazioni migliori. Senza dimenticare poi che la reputazione si misura ogni giorno nella capacità di mantenere la “faccia” davanti a una crisi. La “resilience” (capacità di resistenza agli urti) delle grandi aziende è particolarmente messa alla prova e rappresenta il lato combattente della web reputation.

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FONTE: Il Comunicatore Italiano

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Antonio Bettanini: Reputazione Web, la rete e i social network non perdonano

Prima il mercato, poi la politica, ma ora anche i media cedono lo scettro di giudici della reputazione. La rete e i social network non perdonano. Parla Antonio Bettanini, esperto di Comunicazione Istituzionale e co-fondatore del blog indipendente Il Comunicatore Italiano.

1.Cluetrain Manifesto: la reputazione spazza l’immagine e l’identità. La considerazione o la stima pubblica di cui godiamo si chiama reputazione. Una parola in principio neutra che definisce la nostra credibilità all’interno di un gruppo sociale ma che rappresenta anche un rischio, reputazionale appunto, per un’impresa.

“It’s not about the money” è infatti la battuta di Wall Street 2 che Stefano Bartezzaghi cita ricordandoci che le poste reali del gioco finanziario sono affidabilità, credibilità, credito. In una parola proprio quella reputazione su cui vigila “Moody’s”, un’agenzia già dal nome poco rassicurante perché appunto lunatico. Il proverbio dice poi che ”un buon nome conserva anche al buio il suo splendore”, ma non insegna come conservarlo, questo buon nome. E, come detto, non è poi così facile e tranquillo nell’epoca della velocità e dei social network. Allora un po’ di storia.

E’ stato il Cluetrain Manifesto, con le sue 99 tesi, ad affermare che “ i mercati sono fatti di esseri umani, non di segmenti demografici”, che “i mercati sono conversazioni”. E siccome le conversazioni tra esseri umani hanno un suono e una voce umane, le persone che formano questi nuovi mercati, parlando tra di loro in rete, hanno capito che potevano ottenere più informazioni e sostegno parlando appunto tra di loro, piuttosto che chiedendo a chi vende.

La conseguenza è ora che il mercato online conosce i prodotti meglio delle aziende e diffonde velocemente in rete la propria opinione. Se immagine e identità erano informazione, ora reputazione significa riconoscimento reciproco, fiducia e consenso. E mentre il binomio immagine-identità si poteva programmare “a tavolino”, la reputazione si costruisce con l’ascolto, le azioni e la coerenza.

Da qui una rivoluzione degli atteggiamenti che coinvolge le aziende: devono appartenere anche’esse ad una comunità, fondata sulla comunicazione. E questa comunità è appunto il mercato che creiamo noi, noi impermeabili alla pubblicità, noi che vi ascoltiamo se voi (aziende) ci dite qualcosa, di interessante. Non sarà quindi un caso che nella classifica del Reputation Institute, fondato nel 1997 e presente in 32 Paesi nel mondo, è Google l’azienda che gode della reputazione più elevata.

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FONTE: Il Comunicatore Italiano

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Il Comunicatore Italiano: dimensione istituzionale anche nella Comunicazione

Il Comunicatore Italiano è un think tank – blog che affronta il bisogno di una dimensione istituzionale anche nella Comunicazione intesa come tratto della serietà, dell’impegno ma anche della passione per un’Italia dall’identità ancora incerta.
I Comunicatori: Antonio Bettanini, esperto di Comunicazione Istituzionale, Gianguido Folloni, già direttore di Avvenire e ora Presidente di Isiamed-Istituto Asia Mediterraneo, Pier Domenico Garrone, Comunicatore esperto di web reputation ed innovazione, Michelangelo Tagliaferri, fondatore di Accademia di Comunicazione di Milano.

Il Comunicatore Italiano affronta una dimensione della comunicazione concepita come una disciplina ed un’etica pubblica, senza abbandonare una visione moderna legata all’irrompere dei new media.

La nascita del blog indipendente, scaturisce dall’incontro di 3 generazioni di Comunicatori professionisti con alle spalle un ricco background di esperienze, in ambito nazionale ed internazionale, nelle Istituzioni d’Italia e d’Europa, nelle Aziende d’Italia e Multinazionali, al fianco di personalità delle Istituzioni e delle Grandi Imprese.

Antonio Bettanini, esperto di Comunicazione Istituzionale, si è sempre dedicato all’analisi del linguaggio politico ed all’immagine della figura sociale dell’imprenditore in fase di aspri conflitti sociali. Portavoce di personaggi istituzionali del calibro di Claudio Martelli, Franco Frattini e Maria Stella Gelmini, negli ultimi anni, Bettanini si è dedicato alla direzione ed ideazione di TeleP.A. (la web tv delle Pubbliche Amministrazioni) ed a Winning Italy (2010: almanacco, sito ed eventi che celebrano l’eccellenza italiana) cercando di diffondere l’idea di una comunicazione interna che insegnasse a noi italiani ad amare e rispettare l’Italia.

Gianguido Folloni, politico e giornalista italiano, Ministro per i Rapporti con il Parlamento nel 1° Governo D’Alema, già direttore di Avvenire e Parlamentary Advisor per diversi progetti, è ora Presidente di Isiamed-Istituto Asia Mediterraneo a cui fanno capo 17 Associazioni bilaterali di Amicizia e Cooperazione, ognuna presieduta da un parlamentare.

Pier Domenico Garrone, Comunicatore professionista Ferpi dal 1984, esperto di web reputation, attività di comunicazione per l’organizzazione e la gestione di aziende, istituzioni, personalità e di innovazione, intesa come revisione del modello di business dei Media, evoluzione da ufficio stampa a ufficio di Comunicazione e come metodo per gestire le relazioni e la Comunicazione. La sua esperienza si è maturata presso Gruppo Italgas spa, Regione Piemonte, Andala-H3G spa, Ericsson Telecomunicazioni spa, ADR-Aeroporti di Roma, Accademia di Comunicazione di Milano.

Michelangelo Tagliaferri, fondatore di Accademia di Comunicazione di Milano, dal 1972 è consulente di comunicazione per grandi agenzie di pubblicità e aziende. Attualmente è Responsabile Comunicazione del progetto Equal (Agenzia di Cittadinanza),consulente della Strategia di Comunicazione del Ministero della Salute e di Aifa (Agenzia del Farmaco), consulente per le manifestazioni Expo Saragozza 2008 e Shangai 2010 e per la candidatura di Milano Expo 2015 per il MAE, consulente di comunicazione della D.G. 3 della Farnesina per l’internazionalizzazione e la promozione delle Imprese italiane all’estero.

L’oggetto dell’ incontro di questi professionisti ed il luogo delle loro riflessioni-azioni è il blog indipendente “Il Comunicatore Italiano – www.ilcomunicatoreitaliano.it ” che ha come logo-simbolo un microfono tricolore, perché la loro comunicazione vuole favorire la ripresa italiana attraverso i buoni esempi del lavoro italiano, la creatività, i progetti d’infrastrutturazione, la valorizzazione di una finanza non speculativa, nella quale siamo vocati a cercare il nostro futuro.

La loro proposta-azione di Comunicazione è strutturata ed opera per analizzare e proporre una “Comunicazione pratica” (“come fare cose con le parole (e non solo)”) quale utile risposta alla domanda di attualizzazione delle strategie e delle competenze delle strutture di Comunicazione dei Decisori nelle Istituzioni e nelle Imprese.

I comunicatori si sono sperimentati in tematiche a volte complesse legate a temi fortemente attuali, analizzando la realtà dei fatti o delineando proposte per futuri scenari. Tra queste, la lobby, i no TAV, la sovranità che deriva dallo share, comunicare il Mediterraneo e nel Mediterraneo, la comunicazione di Monti, comunicare la crisi, la tutela della reputazione sul web.

FONTE: Il Comunicatore Italiano

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Celentano e San Remo, una sovranità che deriva dallo share

Intervento di Antonio Bettanini per il blog- think tank Il Comunicatore Italiano. Celentano e San Remo, una sovranità che deriva dallo share. “La condizione di vincere con lo share ha bisogno di molte sospensioni, non ultima quella delle regole e dell’etica pubblica proprio là dove dovrebbe essere presidiata. Ed è questa l’ultima trasgressione che ci fa impazzire”.

Ci si potrebbe aggiungere anche noi al coro della celentanistica, la disciplina che di Celentano analizza criticamente la performance televisiva; o contribuire a ispirare sul carro dei vincitori quella celentaneide le cui gesta i molti suoi tifosi cantano e che, se proprio va male, si aggrappano allo share. Ma siccome, per incidens, il suo è sempre stato un crescendo, forse è più giusto lasciar parlare le cifre: 9 milioni 695 mila (42,29%) di telespettatori con “Francamente me ne infischio” nel 1999; 10 milioni 351 mila con “125 milioni di Caz…te” (41,95%) nel 2001; per toccare gli 11 milioni 649mila (47,19%) in RockPolitik nel 2005.Sette anni dopo, infine, a Sanremo, lo share dell’ultima serata di festival ha superato con lui i 17milioni e 500 mila spettatori (68,21%). E certo ha ragione il Morandi della seconda serata che dice:”Quando ho visto gli ascolti mi son venuti i brividi. Abbiamo fatto il 50% di share, una roba incredibile, e lo dobbiamo molto anche al nostro amico Adriano che canta, fa casino, provoca ma meno male che c’è. Speriamo che torni”. E il discorso si chiude qui. A meno che non decidiate di cambiate prospettiva, provando a ricostruire i passaggi di questo “successo”.

1. Il primo dato da cui partire consiste nella “proprietà transitiva” dell’autorevolezza, una proprietà cui i media hanno sempre di più fatto ricorso, a partire dalla visibilità di un personaggio. Intendiamoci: l’idea che chiunque possa dire qualunque cosa è il sale di una democrazia liberale che il giornalismo e le sue cronache hanno sposato, dalla parte degli uomini e delle donne della strada. Ma poi questa funzione di commento, di registro o polso della pubblica opinione ha cominciato a puntare sulla rappresentatività, l’autorevolezza dell’intervistato. Meno sull’uomo qualunque, più sul personaggio noto. Quasi che dal cerchio magico e sacro della competenza professionale o della legittimazione sociale si sia invitati ad uscire, per affrontare una parte di mondo, e i suoi significati, e portarvi tutto il peso della nostra influenza. E rendere, così, importante la banalità. Il politico parlerà di cani, il cantante di politica: e va certamente bene fin qui.

2. Bisogna però, e poi, vedere come si eserciti questa “transitività”. Se sia messa a confronto di altre, per esprimere un giudizio, una simpatia, una preferenza. O se invece, anche a voler essere generosi con il ragazzo della via Gluck, non sia altro che un diritto di tribuna che certo nasce, come detto, da un talento e da una competenza, ma appunto conquistati in tutt’altra disciplina. Per cui la gloria canora e la parola cantata ne sono infatti il passaporto, ma anche l’addio, perché di fatto – là sul palco – finiranno per evaporare e lasciare il campo alla parola parlata. Ora il palcoscenico è come usurpato da un cantante che non canta. E che parla. Ma come?

Nel tempo la povertà di linguaggio ha saputo conquistare il dominio delle pause che, nelle prestazioni iniziali, quando Celentano non si prendeva sul serio (e non era preso sul serio), erano il sintomo simpatico e fresco di una sua inadeguatezza, di una semplicità appunto poco acculturata e come tale accettata con simpatia e con autoironia. E’ stato il tempo a rendere serio quel che serio non era. A far ritenere che il vuoto della pausa sia il pieno di un’argomentazione stringente. Il tempo, che diviene poi anche una gestione sapiente dell’assenza, della mancanza, di un altro meccanismo mediatico importante capace di ri-accendere nei suoi corsi e ricorsi la curiosità per il personaggio che da tempo non vedevamo più.

Il tempo ha anche inacidito il cuore. E alimentato l’immagine e la figura del predicatore: infatti quel diritto di tribuna viene esercitato senza contraddittorio alcuno. Addirittura alimentando nell’opposizione lento-rock un’antica dicotomia del reale che è solo in apparenza scherzosa e che impone uno stigma su persone e cose. Un’interpretazione combattente che si consente, circondata dal mistero, tutte le trasgressioni – e sembra sia il fato a decidere contro chi lui si eserciterà – alimentate nel pubblico dall’attesa, dalla curiosità per quel che lui si permetterà, e quindi dal dover esserci; mentre il predicatore, vittima del meccanismo, dovrà a tutti costi ricercare un effetto di “straniamento”, dovrà andare sempre più oltre nel territorio della trasgressività. E si afferma così il paradosso secondo cui proprio l’agenzia pubblica più ossessionata, e ossessiva, con l’esercizio della dialettica delle idee nel pluralismo, abbassa ora tutte le armi. E manda in soffitta tutte le alchimie dell’Osservatorio politico di Pavia (si fa per dire), dando campo libero all’ oratoria del contro chiunque e alla qualunque. La condizione di vincere con lo share ha dunque bisogno di molte sospensioni, non ultima quella delle regole e dell’etica pubblica proprio là dove dovrebbe essere presidiata. Ed è questa l’ultima trasgressione che ci fa impazzire…

In conclusione: il meccanismo della transitività ha dunque dispiegato tutta la sua forza che è quella di farci rendere omaggio – nel nome della libertà – ad una sovranità che deriva soltanto dallo share.

FONTE: Il Comunicatore Italiano

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