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Helly, Autore a Comunicati stampa e News
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Helly

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Economia Argentina, ecco cosa può succedere con Milei presidente

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  • 28 Novembre 2023

L’Argentina ha scelto Javier Milei come nuovo presidente, indirizzando così il paese verso una svolta non solo politica ma anche della propria economia. L’esponente di estrema destra è infatti favorevole ad una dollarizzazione del paese.

L’elezione di Milei e le conseguenze per l’economia

economia argentinaMilei ha vinto col 56% il ballottaggio contro il progressista Massa (44,04%), candidato ben visto dall’elite internazionale e soprattutto dal Fondo Monetario Internazionale che ha finanziato l’Argentina con un prestito di oltre 50 miliardi di dollari.
Si tratta di una notte storica, ha detto il nuovo presidente.  E non c’è dubbio che lo sarà davvero, anzitutto per l’economia Argentina.

Il ruolo del dollaro

La posizione di Milei rispetto al dollaro statunitense ha un ruolo cruciale nel suo programma politico. Il nuovo presidente ha infatti apertamente dichiarato ce vuole una dollarizzazione dell’economia argentina. Compiere un passo del genere significherebbe dire addio al peso, che ha perso enorme valore nell’ultimo anno e mezzo tanto che le piattaforme online gratis non lo negoziano neanche più.

Il rapporto di cambio rispetto al dollaro è ai massimi storici, e non è difficile immaginare visto il tasso di povertà al 40% nel paese che solo una piccolissima fetta della popolazione si possa permettere di comprare dollari al giorno d’oggi. Il rischio della dollarizzazione quindi è di innescare grosse tensioni sociali.

Nuovo scenario geopolitico

Riflessi importanti sull’economia Argentina si avranno però soprattutto a livello geopolitico. Chiaramente dollarizzare l’economia Argentina significa avvicinare sensibilmente le proprie posizioni a quelle statunitensi, abbandonando quindi sempre di più quelle dei BRICS (principalmente Brasile e Cina). Una vera e propria rivoluzione geopolitica.

La preoccupazione del mondo finanziario

Per questo motivo il mondo della finanza è preoccupato per la vittoria di Milei. Il peso argentino garantito attraverso i mercati paralleli è crollato di oltre il 10% a 1.000 per dollaro (fonte dati XTB group), innescando una nuova svalutazione del tasso di cambio ufficiale. Anche perché Milei promette anche di chiudere la banca centrale.

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Mercato del Litio sempre più al centro della strategia economica globale

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  • 17 Novembre 2023

La corsa all’elettrificazione degli autoveicoli sta continuando in maniera impetuosa. Tutto questo pone un problema di reperibilità delle materie prime necessarie al percorso di transizione dal fossile al “green”. Il fulcro della questione diventa così il mercato del Litio, che è diventato anche argomento di scontro commerciale tra la Cina da una parte e gli Stati Uniti con i suoi alleati occidentali dall’altra.

L’importanza del mercato del Litio

litioAlla base di questa tensione di mercato c’è l’essenzialità del litio nella sua forma di carbonato, quale elemento per la produzione degli accumulatori. Questi ultimi sono al momento la miglior soluzione possibile per le batterie dei veicoli elettrici. Ecco perché il mercato del Litio è così importante. Non a caso l’Unione Europea ha inserito il Litio nell’elenco delle materie prime strategiche.

Comanda la Cina

La Cina si è mossa con grande anticipo e lungimiranza in questo ambito, sviluppando così una leadership nel mercato del Litio grazie al controllo dell’intera catena del valore. Oltre a detenere riserve importanti, Pechino ha anche sviluppato le sue capacità di estrazione e raffinazione. Infine la Cina si è anche specializzata nella produzione degli accumulatori agli ioni di litio.
Secondo i dati EV Volumes, la Cina è riuscita a incrementare la sua quota di produzione mondiale di autoveicoli elettrici passando dal 19% nel 2021, al 32% nel 2022 (fonte dati XTB group).

Questione di prezzo

E’ chiaro che tutti questi movimenti sul mercato del Litio hanno un effetto sui prezzi. Dopo una fase di crescita avuta qualche anno fa, a cui è seguita una stabilizzazione, nel 2023 c’è stato un forte rallentamento, pari addirittura al 70%, scivolando a 165.000 CNY tonnellata. Questo impatto tuttavia non si è ancora trasferito in misura integrale in Europa, dove la riduzione è stata solo del 50%. L’annullamento di questo divario, il punto di zero spread tra i due prezzi, potremmo però non vederlo affatto.

Pressione sull’Europa

La crescente richiesta di veicoli elettrici nei prossimi anni, porterà ad un incremento inevitabile anche della richiesta di litio, A meno che non cambi la tecnologia di base per la produzione delle batterie. Significa che se l’Europa non riuscirà a raggiungere i propri obiettivi di produzione mineraria ed industriale entro il 2030, il prezzo del litio potrebbe tornare a crescere in maniera vigorosa. Ricordiamo che tra gli obiettivi del “European Critical Raw Materials Act” (CRM) c’è quello di limitare a non oltre il 65% la fornitura massima da un singolo paese terzo.

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Mercati dei Paesi più fragili a rischio con la politica “higher for longer”

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  • 4 Novembre 2023

A partire dall’estate il contesto economico globale ha cominciato a fare i conti con una nuova retorica da parte delle banche centrali. La FED in primis ha abbracciato l’idea dell’higher for longer, ossia mantenere i tassi elevati più a lungo del previsto. Uno scenario che potrebbe creare problemi ai mercati dei Paesi più fragili. Ma non tutti.

I tassi di interesse elevati e i mercati

mercatiE’ abbastanza evidente che, nonostante gli sforzi fatti dalle banche centrali nell’ultimo anno e mezzo, la battaglia contro l’inflazione galoppante sia tutt’altro che vinta.
Le ripetute strette monetarie soltanto negli ultimi mesi hanno fatto invertire la rotta all’inflazione, che però scende troppo piano. Ecco perché la Federal Reserve statunitense ha confermato che manterrà i tassi alti più a lungo.

Le pressioni a causa dei prezzi energetici

Il guaio è che dopo i tagli di Arabia e Russia alla produzione di petrolio, e dopo il più recente scoppio delle tensioni in Medio Oriente, i prezzi dell’energia sono tornati ad aumentare significativamente. Dopo un periodo di “tregua”, sono ricomparse le candele di inversione nelle tendenze di Brent e il WTI, che ora si ritrovano di nuovo sui 90 dollari al barile. Questo significa nuove pressioni inflazionistiche in arrivo.
Inoltre la politica dell’higher for longer ha fatto salire i rendimenti del titoli di Stato, innescando una corsa agli strumenti difensivi sui mercati.

I mercati più esposti

In generale uno scenario simile non è mai di aiuto ai mercati dei Paesi più fragili. Lo dimostra la storia. Negli anni Novanta la Federal Reserve ha mantenuto i tassi di interesse alti per un lungo periodo, e le principali economie dei mercati emergenti hanno sperimentato una crisi della bilancia dei pagamenti a causa del forte deflusso di capitali.

Sebbene oggi quelle stesse economie sono meno vulnerabili di allora, perché si indebitano di più all’interno e non dipendono completamente dai prestiti esteri, sono soprattutto quei Paesi di frontiera a soffrire in questo contesto, per via della correlazione tra valute rispetto ai paesi circostanti. Ma anche alcune economie asiatiche, perché sono per lo più importatrici di petrolio con bassi tassi di interesse.

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Economia, ecco perché quella Europea è meno resiliente degli Stati Uniti

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  • 20 Ottobre 2023

Dallo scoppio della pandemia in avanti, l’economia globale ha dovuto convivere sempre con il rischio di una recessione imminente. Quello che è parso più chiaro in particolar modo, è l’andamento a velocità differenti della ripresa statunitense e di quella dell’eurozona.
L’economia Europea infatti manifesta una crescita più blanda. Soltanto per poco ha evitato la recessione tecnica (che scatta dopo due trimestri consecutivi di PIL negativo).

Le fragilità della nostra economia

economia globaleSia chiaro che il rischio recessione in Europa è ancora ben presente, e alcuni ritengono che tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo si concretizzerà. È importante esaminare perché l’area dell’Euro è meno resiliente rispetto agli Stati Uniti.

Imprese e debiti

La prima ragione è che le imprese del vecchio continente hanno un debito maggiormente legato ai finanziamenti bancari che rappresentano il 70% del totale. Negli Stati Uniti invece questa percentuale è appena del 27%.

Si tratta di un dato molto importante, se pensiamo che la Fed e la BCE hanno dovuto alzare ripetutamente i tassi di interesse per combattere l’inflazione. Tutto questo ha avuto un impatto sia sull’andamento delle relative valute, come dimostrano chiaramente gli indicatori di volatilità dell’euro e del Dollaro, ma soprattutto spiega perché l’inasprimento della politica monetaria abbia avuto conseguenze più serie per le imprese europee che non per quella americane.

Deficit e apertura commerciale

In secondo luogo, gli Stati Uniti hanno potuto aumentare il deficit di bilancio per compensare in parte l’inasprimento della politica monetaria. Un vantaggio non di poco conto.
Infine bisogna considerare che gli Stati Uniti sono molto meno legati al rallentamento della crescita globale, visto che la loro apertura commerciale è la metà di quella dell’area Euro, dove il rapporto tra Import + Export rispetto al PIL è al 50% (dati Pocket Option), rispetto al 25% degli USA.

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Acquisizioni e fusioni aziendali il Brasile attira investimenti stranieri

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  • 9 Ottobre 2023

Dopo il lungo periodo di isolazionismo vissuto durante la presidenza Bolsonaro, il Brasile è tornato ad essere un centro di interesse per la finanza internazionale.
In particolare, i capitali stranieri sono tornati ad affluire nel paese sudamericano per finanziare operazioni di acquisizione e fusione aziendale. Al punto tale che il 41% degli investimenti esteri nell’intero Sudamerica è appannaggio del Brasile.

I numeri dei primi nove mesi delle acquisizioni e fusioni aziendali

brasile acquisizioni e fusioniDa gennaio a settembre di quest’anno, il numero di operazioni di fusione e acquisizione aziendale cross-border, ossia che coinvolgono investitori stranieri, è raddoppiato rispetto al totale. Se nello stesso periodo del 2022 la percentuale era al 31%, quest’anno è schizzata al 61%.

Anche in termini di controvalore la sostanza non cambia. Nei primi nove mesi di quest’anno siamo già a 26 miliardi di dollari di valore complessivo delle operazioni di fusione e acquisizione aziendale (fonte Pocket Option), dei quali 16 provengono dall’estero.

Perché è cresciuto l’interesse verso il Brasile

La ragione dietro alla quale si cela questo maggiore interesse straniero verso il settore aziendale brasiliano non è unica.
Da una parte incide sicuramente la crescita del prodotto interno lordo oltre le aspettative, visto che secondo i dati Ocse quest’anno il Brasile arriverà al 3%.

Dall’altra parte incide anche il particolare momento storico a livello geopolitico, perché oltre ai disastri della guerra in Ucraina ci sono anche i pessimi rapporti tra Stati Uniti e Cina. Questo ha spostato l’asse globale del commercio verso altre zone. In special modo Pechino ha deciso di indirizzarsi verso Africa e America Latina con maggiore convinzione. Non è un caso che da un paio d’anni Pechino sia il principale partner commerciale del Brasile, e non ci sono segnali di inversione del trend all’orizzonte.

Le operazioni al top

Tra le operazioni di acquisizione e fusione aziendale più importanti spicca sicuramente quella effettuata dal colosso Nestlé. Dopo due decenni di assenza dal Paese sudamericano, l’azienda dolciaria ha acquistato la catena di cioccolatini Copenaghen per circa un miliardo di dollari.

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Mercato immobiliare la crisi unisce Italia Europa e Stati Uniti

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  • 30 Settembre 2023

Il mattone non se la passa affatto bene. Questo è il messaggio che giunge esaminando i listini tanto europei quanto americani. Il mercato immobiliare soffre l’epoca dei tassi di interesse elevati ed è ormai rassegnato ad aspettare che le banche centrali concludano la loro battaglia contro l’inflazione, per tornare a vedere uno spiraglio di luce in fondo al tunnel.

I problemi del mercato immobiliare

mercato immobiliareNel vecchio continente e negli Stati Uniti la brusca frenata del mercato immobiliare si lega alla feroce stretta al costo del denaro, effettuata dagli istituti centrali per combattere l’ascesa dell’inflazione. E’ stato il ciclo di strette monetarie più pesante degli ultimi 40 anni. L’indicatore chaikin money flow evidenzia il drenaggio di denaro dal sistema economico più forte degli ultimi decenni.
Il mal dei tassi minaccia la salute del settore immobiliare perché sta frenando il mercato.

Tutta colpa dei mutui

Il problema è rappresentato dal costo dei mutui, che generalmente vengono accesi per l’acquisto di un’abitazione. La crescita dei tassi di interesse da parte delle banche centrali si è tradotta in un aumento che può aggiungere fino al 75% delle rate dei vecchi muti negoziati a tasso variabile. I vecchi mutui a tasso fisso si salvano, ma i nuovi comportano una rata anche superiore al 6%.
Questo spiega la brusca discesa delle compravendite, che sta proseguendo trimestre dopo trimestre. E con essa anche la price action è in discesa, perché la domanda langue..

La BCE allarga le braccia e va avanti

Siamo consapevoli di questa situazione di forte disagio – ha detto in proposito Christine Lagardema il nostro compito è di abbassare l’inflazione, non sostenere i singoli comparti dell’economia”. È sicuramente vero, ma è altrettanto vero il fatto che una quota crescente di persone sta vivendo il disagio sociale di non potersi fare una casa perché non può permettersi.

Preoccupazioni negli USA

Negli Stati Uniti il fenomeno è analogo (le case in vendita sono circa 1,1 milioni, il  dato più basso dal 1999) e rischia anche di avere ripercussioni sulle banche regionali, che sono il cuore del sistema economico a stelle e strisce. Gli istituti vantano infatti una esposizione per circa 3,600 miliardi di dollari.
Discorso a parte merita la Cina, dove la crisi dell’edilizia sta fortemente condizionando l’economia nazionale. Ma la crisi cinese nasce dalle radici stesse nel modello di sviluppo del capitalismo nel paese del Dragone.

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Industria del lusso, arriva la frenata dopo anni di forti performance

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  • 20 Settembre 2023

Dopo anni di grande fulgore, l’industria del lusso comincia ad avvertire i segni di un appannamento. I tassi di crescita in doppia cifra (così come la sovraperformance dell’intero settore) potrebbero presto diventare un ricordo. C’è da chiedersi quanto forti siano i segnali di allarme, e soprattutto se le imprese del settore sono preparate a un cambiamento forte.

Industria del lusso

lussoLa corsa delle vendite non poteva continuare in eterno, e adesso le previsioni sono per una certa normalizzazione. Il lusso, che finora aveva sempre battuto la crisi, questa volta non sembra più così tanto inossidabile. Insomma non brilla più e gli indicatori di inversione trend cominciano ad essere tanti.

Ad incidere è soprattutto l’andamento dell’economa cinese, che rappresenta il primo grande sbocco di mercato, visto che nel Paese c’è un numero maggiore di consumatori a medio e alto reddito. Ma nel 2022, per la prima volta in cinque anni, il mercato luxury cinese ha registrato una flessione. Si sperava però che dopo la pandemia ci sarebbe stata una vigorosa ripresa, ma lo scenario è stato completamente diverso.

La seconda maggiore forza economica mondiale è in grande difficoltà, non centrerà gli obiettivi annuale del PIL e questo è un grosso fardello per il settore del lusso.
Ad inizio anno un rapporto della banca Barclays prevedeva che le entrate del settore del lusso in Cina sarebbero cresciute del 15% nel 2023, più velocemente rispetto alla media globale del 9%. Ma queste previsioni sono state drasticamente riviste al ribasso.

Altri fattori frenanti

Assieme alla frenata delle vendite, bisogna anche evidenziare che il tasso di cambio è diventato meno favorevole. Infatti lo yuan cinese ha perso valore rispetto a dollaro ed euro, frenando gli acquisti dei turisti cinesi in Europa e zavorrando quelli in Yuan nel Paese orientale. Questo potrebbe comprimere fortemente i margini dei grandi player del settore fashion & luxury, già alle prese con trading con volumi minori.

La corsa degli utili dell’industria del lusso dovrebbe quindi rallentare, se non nel terzo trimestre del 2023 in quelli successivi. Quello che rispetto al passato rimane uguale è che il mercato cinese resta straordinariamente importante, per chi lo capisce e lo sa affrontare.

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Crescita e tassi, la BCE è attesa da una partita difficile (e pericolosa)

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  • 9 Settembre 2023

Tra Europa e Stati Uniti non c’è dubbio che il blocco economico messo peggio sia il vecchio continente. In Europa la crescita è debole mentre negli USA marcia resiliente, e intanto da noi l’inflazione sta scendendo con maggiore fatica e un ritmo più lento. Per questo la situazione in cui si trova la BCE è delicata.

BCE tra due fuochi: inflazione e crescita

crescita eurozonaA metà settembre le due più grandi banche centrali (FED e BCE) si riuniranno in meeting per decidere cosa fare dei tassi di interesse. L’istituto americano sembra indirizzato verso una conferma del livello attuale, mentre quello europeo vive un compito più difficile. Perché la crescita economica verrebbe ulteriormente messa sotto pressione, e il rischio recessione fa molta paura.

All’attesa di un ‘soft landing‘ negli Usa si contrappone sempre di più il timore di un ‘hard landing‘ in Europa. Per questo bisognerà agire con estrema cautela da qui in poi. L’istituto di Washington sembra essere riuscito a ottenere la discesa dell’inflazione (su base annua è al 3,2%) senza portare l’economia in recessione. La Bce deve invece ancora uscire dal tunnel (l’inflazione è al 6,1% su base annua, quasi il doppio di quella americana, dati Pocket Option Italia).

Incertezza sul prossimo meeting

Sul piatto della bilancia europea comincia però a pesare di più il quadro di una crescita sofferente, rispetto alla necessità di abbassare l’inflazione. Ma siccome la priorità istituzionale della BCE riguarda i prezzi, non la tenuta dell’economia, la partita rimane molto aperta.
Tuttavia a Francoforte sanno benissimo che gli oneri finanziari sono a un livello prossimo alla insostenibilità, e in questo momento i finanziamenti per le imprese (anche le migliori) sono costosissimi. Il relative volatility index RVI è cresciuto tantissimo nell’ultimo anno, mettendo sotto pressione la stabilità finanziaria delle imprese. Alzare ancora i tassi potrebbe dare il colpo di grazia all’economia, innescando la recessione.

Se la BCE guardasse al fatto che l’inflazione sta calando, potrebbe decidere di fermarsi un attimo e stare a guardare i dati del prossimo mese. Se invece dovesse focalizzarsi sul ritmo con cui sta scendendo (molto più lento del previsto) allora i falchi potrebbero prevalere nella decisione finale.

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Industria del turismo, altro che boom estivo. Meno male che ci sono gli americani

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  • 21 Agosto 2023

I dati confortanti sulle presenze nel nostro paese nei mesi pre-estivi avevano illuso che sarebbe stata una stagione boom per l’industria del turismo italiano. Invece il tanto agognato tutto esaurito non c’è, soprattutto per colpa degli italiani.

I dati dell’industria del turismo

turismoLe aspettative per questa stagione estiva erano molto elevate, anche perché ci si aspettava un forte rimbalzo dopo il biennio delle restrizioni pandemiche. Invece le proiezioni (i dati completi arriveranno a fine agosto) riguardanti l’industria del turismo parlano di un calo che oscilla tra il 15% ed il 20% rispetto al 2022.

Se le due settimane a cavallo di Ferragosto hanno resistito, la prima e l’ultima del mese invece sono state deludenti, perché ci si aspettava un tutto esaurito dal quale invece si è molto lontani.
Per rendere l’idea, basta pensare che in Sardegna e in Versilia l’occupazione turistica è stata al 70% e i ritracciamenti rispetto allo scorso anno sono evidenti, visto che eravamo all’87%.

Stranieri su, italiani giù

A tenere a galla l’industria del turismo sono soprattutto gli stranieri, ed in special modo gli americani, che sono tornati in massa andando a compensare un forte calo da parte dei turisti italiani. Il ritorno degli americani ha premiato soprattutto le città d’arte e le località di mare.

I problemi degli italiani

L’inflazione in generale, ed in particolare la lievitazione dei costi connessi alla vacanza (tra carburanti, lettini, alimenti, servizi e intrattenimento) ha spinto gli italiani a preferire le mete low cost straniere per le proprie vacanze (per uelli che hanno potuto farlo).
Ma del resto tra la scelta della rata crescente del mutuo da pagare e quella della vacanza non c’è dubbio che vince la prima necessità.

L’industria del turismo si trova così a ringraziare gli stranieri (specialmente gli americani, che assieme ai cinesi sono i veri market maker dell’industria), per i quali c’è stata una inversione di tendenza rispetto al biennio della pandemia. Del resto chi viene da lontano si ferma di più e spende di più, salvando così i conti del settore.

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Economia cinese, la frenata è evidente ma fa nascere anche opportunità

All’inizio dell’anno, quando vennero rimosse le rigide misure anti-Covid, si pensò che l’economia cinese avrebbe vissuto un vero boom della crescita. Tuttavia la tanto agognata ripresa si è arenata a partire dal mese di aprile.

La corsa già finita dell’economia cinese

economia cineseGli ultimi dati sul Pil del Dragone evidenziano che la Cina ha segnato +0,8% nel secondo trimestre, numero che impallidisce rispetto al 2,2% del periodo gennaio-marzo. Su base annua, la crescita del Pil è stata invece del 6,3%, che sembra incoraggiante, ma in realtà è così alto solo perché messo a confronto col periodo asfissiante delle restrizioni zero Covid.

Gli ultimi dati sulle vendite al dettaglio, sugli investimenti e sulle vendite immobiliari sono stati inferiori alle aspettative. Hanno deluso pure le esportazioni, mentre la debolezza della domanda interna e l’alto tasso di disoccupazione giovanile alimentano ulteriormente le preoccupazioni sullo stato di salute dell’economia cinese.

Anche lo yuan continua a scivolare rispetto al dollaro, con il cambio USDCNY a 7,15 secondo i dati Pocket Option Italia (peraltro in discesa dopo che il Governo si è impegnato a rafforzare il sostegno politico per la sua economia in crisi).

Il cauto ottimismo

Chiaramente questo scenario fa sorgere dei dubbi anche tra gli investitori, che si chiedono se abbia senso puntare sulla Cina oppure sia meglio aspettare tempi migliori. E infatti l’Indicatore OBV (on balance volume) evidenza un progressivo disimpegno dal paese del Dragone.
In realtà alcuni aspetti interessanti ci sono, delle opportunità si possono intravedere.

C’è settore e settore

La morsa meno stretta della politica sul settore immobiliare, tecnologico e farmaceutico. Questo dovrebbe favorire il mercato azionario cinese prossimamente. Sulla base dei fondamentali, esiste inoltre un significativo potenziale di rialzo, che suggerisce di iniziare a costruire un’esposizione accurata.

Ad esempio, nell’ambito delle rinnovabili, e specialmente nella crescita dell’energia solare e nei veicoli elettrici, esistono buone opportunità. Anche perché si tratta di due segmenti del mercato che hanno una scarsa dipendenza dagli Stati Uniti in termini di input. Al contrario, sono fortemente dipendenti da altri Paesi.

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Mercato dei minerali: litio, cobalto e nichel sono trascinati dalla transizione energetica

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  • 26 Luglio 2023

Stiamo attraversando un periodo estremamente importante per il mercato dei minerali, sul quale incide in modo determinante la rivoluzione innescata dalla transizione energetica.
In questo contesto sono specialmente tre i minerali oggetto di una domanda di mercato senza precedenti: Litio, Cobalto e Nichel.

La nuova situazione del mercato dei minerali

mineraliUna fotografia della situazione è stata fornita di recente dall’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE). Nel rapporto riguardante il periodo compreso tra il 2017 e il 2022, viene evidenziato l’incremento esponenziale della domanda dei tre minerali fondamentali, per sostenere la transizione verso un’economia a bassa o zero emissioni.

Secondo l’ente internazionale, la domanda di litio è triplicata negli ultimi cinque anni. Il suo prezzo nel 2015 si attestava intorno ai 5 euro/kg, mentre in seguito è arrivato a 35 euro/kg (+140%). Per lungo tempo l’indicatore supertrend ha puntato solo al rialzo.
La richiesta di cobalto ha registrato un incremento del 70%, quella di nichel è invece cresciuta del 40%.
Questo trittico domina la richiesta sul mercato dei minerali a livello mondiale, grazie alla spinta dell’industria energetica.

Il rally della domanda

La corsa delle rinnovabili viaggia a forti tassi di crescita, tanto che le previsioni indicano che le rinnovabili supereranno il carbone a metà di questo decennio, come principale fonte di generazione di elettricità. Ma per riuscire in questa transizione occorrono quantità sempre maggiori di materie prime, ed è qui che il mercato dei minerali finisce per essere stravolto.

Investimenti, domanda e offerta

Per riuscire a sostenere una domanda sempre crescente, sono aumentati in maniera significativa gli investimenti ed i progetti nel mercato dei minerali.
Nel 2022 l’incremento degli investimenti è stato pari al 30%, mentre l’anno precedente la crescita fu del 20% (dati Pocket Option Italia).

Nonostante questa corsa agli investimenti, l’equilibrio tra domanda e offerta ancora non è raggiunto. Tutto questo potrebbe influire sui prezzi del mercato dei minerali a livello mondiale, spingendoli al rialzo.
Proprio per questo motivo l’AIE sottolinea quanto sia importante arrivare ad un equilibrio stabile tra la domanda e l’offerta, ma proprio questa sarà la sfida più difficile dei prossimi anni.

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Economia Argentina, la soluzione ai problemi si chiama Brics?

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  • 27 Giugno 2023

Viste le vicissitudini ormai note, l’Argentina è un paese tecnicamente ormai fallito. La crisi costante nella quale si trova avvolta l’economia del paese non conosce fine. Dal Brasile però arriva una sponda importante da parte del neopresidente Lula che potrebbe cambiare gli scenari.

La corte dei BRICS all’economia Argentina

economia argentinaOccorre fare un passo indietro come premessa. Nel 2001 un gruppo di paesi che All’epoca erano considerati emergenti – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – si sono riuniti per cercare delle sinergie che consentissero una crescita più vigorosa alle rispettive economie. E’ nato così il BRICS.
Adesso proprio i vicini di casa brasiliani stanno spingendo affinché anche l’Argentina ne entri a fare parte.

Fuga dalla crisi

Al di là dell’eventuale beneficio di questa prospettiva (sul quale nutriamo forti dubbi), il fatto vero è che l’Argentina ha bisogno di una svolta per rialzare la sua economia. L’inflazione è ai massimi storici, la liquidità piange e il peso argentino è ai minimi storici rispetto al dollaro (dati Pocket Option Italia).

Lula tira i fili

Il grande promotore di questo allargamento all’economia Argentina è il nuovo presidente del Brasile Ignacio Lula da Silva. Che in realtà non lo fa in modo disinteressato.
Infatti l’Argentina è il terzo partner commerciale brasiliano (dopo Cina e Usa), e importa dal Brasile soprattutto prodotti industriali. Questo significa che se la crisi dell’economia argentina sfociasse in una ondata di insolvenze delle imprese e dello Stato argentini, il Brasile ne subirebbe pesanti conseguenze.
Ecco perchè Lula spinge per portarla nei BRICS, con la promessa di un maxi prestito da parte della New Development Bank, conosciuta appunto come banca dei BRICS, a capo della quale c’è Dilma Rousseff, ex presidente del Brasile e dello stesso partito di Lula (ma pure della stessa famiglia politica del presidente argentino Alberto Fernandez).

La deoccidentalizzazione dell’Argentina

In questo modo l’Argentina verrebbe sottratta anche al controllo del Fondo Monetario Internazionale, al quale è vincolata per un maxi prestito da 45 miliardi di dollari concesso poco più di un anno fa, al quale si sono aggiunti questa primavera altri 5,4 miliardi.
Anche per questo, la sua economia è ormai “dollarizzata”. Entrare nel giro dei BRICS romperebbe questa correlazione tra valute, spingendo l’Argentina sotto la sfera di influenza di Paesi come Cina e Russia. Non sarebbe una novità da poco, se la seconda economia del Sudamerica sposterebbe il suo asse verso oriente.

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Moneta digitale promossa dalla BCE: “L’euro virtuale può funzionare”

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  • 31 Maggio 2023

Secondo la Banca Centrale Europea l’immissione nel sistema dei pagamenti di un euro digitale potrebbe funzionare. Questa è la conclusione alla quale la Eurotower è giunta dopo i test condotti sulla moneta digitale tra luglio 2022 e febbraio 2023.

I risultati della moneta digitale

moneta digitaleL’istituto centrale di Francoforte ha sperimentato l’utilizzo della moneta digitale, che potrebbe essere sviluppata da un pool sufficientemente ampio di fornitori europei. Inoltre la BCE sottolinea che ci sono diverse opzioni di progettazione per individuare la soluzione tecnica migliore per un euro virtuale.

Il sistema dei pagamenti

Nel corso dei propri test, la BCE ha verificato l’utilizzo della moneta digitale in diverse situazioni per effettuare i pagamenti. NEXI è stata una delle aziende scelte per la sperimentazione dei pagamenti virtuali presso dei punti vendita. La BCE ha condotto anche dei test riguardanti la regolamentazione dei pagamenti back-end.

Alla fine si è giunti alla conclusione che l’introduzione di una moneta digitale possa essere condotta agevolmente, senza andare a incidere sull’utilizzo di altre forme innovative di regolamentazione delle transazioni.

I tempi tecnici

L’approvazione da parte della BCE di una moneta digitale non vuol dire che ci troveremo un euro virtuale di cui a breve nei nostri portafogli elettronici. La Eurotower solleva infatti un problema, ossia arrivare ad “una soluzione offline che soddisfi i requisiti dell’Eurosistema e raggiunga la scala necessaria possa essere fornita a breve e medio termine con la tecnologia esistente“. Sotto questo punto di vista bisognerà aspettare almeno il prossimo autunno per un ulteriore step di verifica, con la precisazione che questo non significa automaticamente che la BCE emetterà un giorno un euro digitale, e che si potrà scambiare su XTB o sui mercati OTC.

Non è una criptovaluta

Bisogna precisare un ulteriore aspetto. Un euro digitale non avrebbe nulla in comune con le famose criptovalute, le quali più che essere uno strumento di pagamento sono ormai uno strumento speculativo.
L’euro digitale potrebbe magari essere negoziato sulle piattaforme trading gratuite, ma non avrebbe mai la volatilità che caratterizza Bitcoin e compagnia. Rimarrebbe essenzialmente un sostituto dell’euro, riprendendone il valore.

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Economia, la transizione energetica spingerà anche lo stagno

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  • 16 Maggio 2023

Nei prossimi anni la domanda di materie prime sarà indirizzata principalmente dal processo di transizione energetica che sta riguardando l’economia globale.
Questo processo riguarderà principalmente i metalli non ferrosi, dal momento che si tratta di materie prime che vengono impiegate in molteplici tecnologie a basso impatto ambientale, se non zero. Tra questi rientra anche lo stagno.

Il ruolo dello stagno nella transizione dell’economia

economia stagnoLo stagno avrà un ruolo importante nella transizione digitale ed energetica grazie ad alcune sue qualità caratteristiche.
In primo luogo la sua forte resistenza agli agenti corrosivi ed in secondo luogo la sua grande conducibilità elettrica. Viene utilizzato come rivestimento nella lavorazione dell’acciaio e delle saldature delle componenti elettroniche. Quest’ultimo utilizzo rappresenta la metà dell’impiego totale dello stagno.

Chiaramente l’incremento della richiesta di componenti elettronici, tipica dell’economia di questo periodo, aumenterà anche il valore dello stagno.

L’ultimo biennio

La crescita della domanda di componenti elettronici proprio nell’ultimo biennio ha fatto da driver per l’aumento del prezzo dello stagno.
Se andiamo a vedere la crescita delle quotazioni di questo metallo nella banca dati XTB, nei due anni che hanno fatto seguito alla crisi pandemica si può notare che la crescita non ha avuto pari nella storia del secolo in corso, a causa di uno squilibrio tra domanda e offerta.

Mercato non in equilibrio

Il profondo deficit di offerta ha provocato uno squilibrio enorme. Le interruzioni della produzione dei principali paesi leader (Cina, Indonesia e Myanmar) hanno fatto crollare la disponibilità di stagno, mentre la domanda continuava a crescere.
Al London Metal Exchange una tonnellata di stagno all’inizio del mese di marzo 2022 ha superato i 50.000 dollari. Quello è stato il picco, visto che nei mesi successivi la price action ha segnato un calo sui 20.000 dollari, prima di una successiva nuova ripresa nel range tra 20000 e i 32000 dollari per tonnellata.

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Economia, la corsa del petrolio è una miccia per aggravare la crisi globale

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  • 23 Aprile 2023

Negli ultimi mesi le banche centrali di tutto il mondo hanno spinto sull’acceleratore dei tassi di interesse per riuscire a domare l’inflazione, spendo bene che questo avrebbe depresso l’economia. Ma sono andate avanti, anche a rischio di innescare una recessione.
Adesso che all’orizzonte si prospettano delle manovre più accomodanti e un ritorno dell’inflazione e dei tassi di interesse verso valori più normali, ecco però che il petrolio aleggia come una minaccia che rischia di vanificare tutti gli sforzi.

L’OPEC+, il petrolio e l’economia

economia e petrolioLa vera miccia che rischia di innescare una crisi economica globale, ancora più feroce di quella attuale, è la recente mossa dell’OPEC+. Il cartello dei produttori ha infatti deciso di tagliare la produzione di greggio di un milione di barili in un giorno.

Una mossa del genere ha immediatamente innescato una dinamica rialzista delle quotazioni del barile di greggio, che ha superato di slancio quota 80 dollari al barile, superando la media mobile del prezzo degli ultimi 10 mesi. Alcuni analisti hanno rispolverato le previsioni di $100 al fusto prima della fine di quest’anno.

Il problema è che la pressione rialzo dei prezzi del petrolio innescherà aumenti a cascata su tutti i settori dell’economia, rendendo così ancora più complicati gli sforzi delle banche centrali per raffreddare l’inflazione. In primo luogo la FED, che per prima ha cominciato ad alzare i tassi in modo vigoroso.

Equilibri geopolitici

La mossa dell’OPEC+ e la crisi dell’economia solo però un riflesso soprattutto di questioni di carattere geopolitico. Il taglio alla produzione è voluto principalmente dall’Arabia Saudita, uno dei due grandi stati del petrolio assieme alla Russia. Chi andrà più in difficoltà per via di questa mossa sarà la Federal Reserve americana.

Da una parte ci sono Riyad e Mosca, con una partnership sempre più forte, dall’altra c’è Washington con cui è in atto una rottura. Le conseguenze di questa crisi nei rapporti potrebbero essere però fatali per inflazione e sostenibilità dell’economia, come evidenziano gli analisti di XTB. Potrebbe quindi stagliarsi all’orizzonte una crisi peggiore di quella già in arrivo.

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Investimenti, alle donne italiane piace farlo (soprattutto via mobile)

È sempre più grande il numero di donne che si affaccia sui mercati finanziari, anche grazie alla crescita (in termini di popolarità) durante il periodo della pandemia, quando le persone erano costrette a stare a casa per giorni senza mai uscire o socializzare. E’ ciò che emerge da una recente indagine, che evidenzia anche come il gentil sesso preferisca fare investimenti soprattutto tramite mobile.

Le donne e gli investimenti

investimentiNel 2020 e 2021 il contesto è stato caratterizzato da tassi di interesse molto bassi, un aumento della digitalizzazione all’interno delle famiglie e misure restrittive legate alla crisi sanitaria.
Proprio la costrizione di stare a casa ha spinto le persone a familiarizzare con il mondo degli investimenti e dei mercati finanziari. Una spinta alimentata anche dal fatto che la crescita dell’inflazione e le incertezze economiche globali, hanno spinto gran parte delle persone a cercare metodi per proteggere il proprio capitale e i propri risparmi.

Un 2022 da record

Quello che è cambiato rispetto al recente passato è l’atteggiamento delle donne nel contesto moderno. Sono professionalmente attive, molto creative e agiscono anche in settori che prima erano considerati appannaggio dei soli uomini.

Questo scenario ha propiziato numeri da record per quanto riguarda le quote di donne che si sono affacciate al mondo degli investimenti. La piattaforma XTB ha registrato in particolare un numero di clienti nuovi di sesso femminile pari a 16%. Fino a un paio d’anni fa non riuscivano ad arrivare neanche in doppia cifra.
Nonostante le donne rimangano in fortissima minoranza, va detto che sono sempre più attive in questo settore. Un segnale positivo per il mondo degli investimenti.

Altri dati interessanti

È interessante notare come la quota di donne partecipanti ai mercati finanziari vede in testa la Romania (26%), seguita dalla Gran Bretagna (14%). Le percentuali più basse si trovano in Repubblica Ceca, Francia e Germania, unici mercati in cui attualmente sono inferiori al 10%.
Negli anni 2020-2022, le donne hanno scelto più spesso i CFD sugli indici azionari mondiali, scegliendo soprattutto gli investimenti nelle Big Tech. Inoltre sono poco agressive, perché preferiscono una strategia trend following ad una controtendenza. Va segnalato che le donne italiane, insieme a quelle spagnole, si distinguono per la loro preferenza verso l’uso degli smartphone, per la loro praticità e facilità d’uso (con il 53% di transazioni via mobile).

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Ricavi e investimenti, le Utility italiane nel 2022 sono le migliori d’Europa

Non c’è dubbio che il 2022 è stato un anno estremamente complicato per le aziende del settore energetico, le cosiddette Utility. Problemi di costi, problemi sui ricavi, problemi nel portare avanti i programmi di investimento.
Tuttavia l’Italia può essere contenta per come si sono comportate le sue imprese che operano in questo settore.

I dati sulle Utility: ricavi e investimenti

utilityA fotografare la situazione ci ha pensato un rapporto realizzato da AGICI con Intesa San Paolo. Da esso emerge che i ricavi e gli investimenti delle utility italiane sono cresciuti nel 2022.
E questo nonostante il settore sia stato flagellato da una crisi profonda. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha infatti innescato un calo degli approvvigionamenti ed un conseguente balzo vertiginoso dei prezzi del gas e dell’elettricità, che hanno vissuto un doppio supertrend rialzista. Tutto ciò ha provocato una crisi energetica globale, dalla quale stiamo lentamente faticosamente uscendo.

In un simile contesto le utility di tutta Europa hanno sofferto notevolmente per riuscire a garantire il minore impatto possibile sulle forniture tanto ai privati quanto alle aziende. In sostanza non hanno scaricato l’intera price action dei costi sui clienti.
Quanto possa essere stato difficile lo scenario in cui hanno operato si può comprendere pensando al caso del colosso tedesco UNIPER, che lo stato federale ha dovuto salvare da una sicura bancarotta.

Come hanno reagito le aziende italiane

In Italia invece le cose sono andate diversamente. In alcuni casi l’integrazione verticale tra produzione e vendita è stata salvifica, in altri casi lo è stata la struttura di costi parzialmente influenzata dalle dinamiche delle commodity.
Il bilancio finale dei ricavi e investimenti per le utility italiani racconta che il margine operativo lordo aggregato è cresciuto del 5,3%. Per le multiutility l’EBITDA è salita del 3,8%. Sono diminuiti gli utili del 7%, ma pensiamo alle difficoltà di pagamento di molti clienti ed alla tassazione degli extra profitti.
La cosa importante è che, malgrado la crisi, le utility italiane nel 2022 hanno continuato ad investire. Addirittura i progetti realizzati sono stati pari a 15 miliardi di euro, tre in più rispetto al 2021.

Le prospettive del settore

E’ altresì incoraggiante guardare al futuro. Nel triennio 2022-2025 i ricavi e gli investimenti degli operatori italiani dovrebbero crescere ancora. Addirittura gli investimenti dovrebbero aumentare di 17 miliardi l’anno. Al contrario ricavi investimenti degli operatori europei sono previsti in lieve discesa (i primi) oppure solo in lieve crescita (i secondi). Inutile dire che le priorità rimangono decarbonizzazione e sviluppo delle rinnovabili.

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Banca centrale del Giappone, arriva la svolta dopo 30 anni

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  • 23 Febbraio 2023

Negli ultimi anni la Banca Centrale del Giappone si è distinta dalle altre grandi banche centrali, in primis dalla Fed e dalla BCE, per il suo approccio accomodante di politica monetaria.
Mentre gli altri grandi istituti alzavano i tassi per combattere l’inflazione, quello giapponese continuava a perseverare con tassi di interesse addirittura al di sotto dello zero.
Ma lo scenario recente è cambiato, e con esso si prepara alla svolta anche la Bank of Japan.

Il nuovo timoniere della banca centrale del Giappone

banca centraleDal prossimo aprile al timone della banca centrale nipponica ci sarà kazuo Ueda. Prenderà il posto di Haruiko Kuroda alla guida dell’istituto nell’ultimo decennio. La scelta di Ueda in realtà è stata un passo obbligato, visto che gli altri candidati hanno rifiutato l’incarico.

Spesso tuttavia le svolte più importanti nascono proprio da snodi inattesi del destino.

Ueda ha un passato presso la MIT, di cui è stato anche docente prima di diventare membro della Federal Reserve. Ha una lunga e consolidata esperienza in tema di politica monetaria, molto improntata ad una visione accademica. Quello di cui c’è bisogno in un periodo in cui il tasso di inflazione è tornato ad essere la vera guida delle mosse delle grandi banche centrali.

Il Giappone e l’inflazione

Bisogna precisare un dato molto importante. Il fenomeno che ha caratterizzato il Giappone nell’ultimo trentennio è stata la forte e costante pressione deflazionistica. Ma la grande novità è che c’è stata una inversione del trend, e adesso l’inflazione sta tornando anche in Giappone, sia pure a livelli estremamente moderati rispetto a quanto visto negli Stati Uniti in Europa.
Di fronte a questo scenario, i giorni del controllo della curva dei rendimenti – la mossa non ortodossa di politica monetaria adottata negli ultimi anni dalla BoJ – sembrano essere contati.

Cosa cambia adesso?

Ueda offrirà una guida dell’Istituto centrale più classica, che ha come orizzonte assai prossimo la normalizzazione della politica monetaria, con il conseguente aumento dei tassi di interesse. Ciò porterà anche ad un apprezzamento dello Yen, dopo che la valuta base del Paese negli ultimi anni ha subito la divergenza di politica monetaria tra FED e BoJ.
Ma questo non è detto che sarà da modo per l’economia giapponese e per l’appeal degli asset più rischiosi del paese.

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Valuta unica anche in Sud America, a guidare la svolta sono Brasile e Argentina

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  • 31 Gennaio 2023

Tra qualche tempo probabilmente diremo addio al Real e al Peso. Brasile e Argentina stanno infatti discutendo concretamente riguardo alla creazione di una valuta unica che inizialmente potrebbe riguardare solo loro, ma coinvolgerebbe in seguito anche altri paesi del Sud America.

La nuova valuta unica

valuta unicaL’annuncio di questo progetto verrà fatto dal presidente brasiliano Lula e da quello argentino Fernandez. Analogamente a quanto accaduto per l’euro nel vecchio continente, anche la valuta unica sudamericana comincerebbe a circolare parallelamente alle valute preesistenti. Gradualmente ne prenderebbe poi il posto.

Se il progetto, al quale sono già state invitate altre nazioni latinoamericane, andrà in porto si verrà a creare il secondo blocco valutario più grande al mondo.
Rappresenterebbe infatti circa il 5% del Pil globale. Per avere un’idea della proporzione, l’unione valutaria più grande del mondo, l’euro, comprende circa il 14% del Pil globale.

I primi passi

Le discussioni da parte delle due maggiori economie sudamericane sono cominciate durante il vertice di Buonos Aires della Celac, ossia il meeting che coinvolge trentatré stati latino-americani ed i Caraibi.

Se davvero si arrivasse ad una valuta unica anche in Sud America, sarebbe una svolta per il commercio regionale. Le due nazioni sono la forza trainante del blocco commerciale regionale Mercosur, che comprende anche Paraguay e Uruguay. Ma la svolta sarebbe anche dal punto di vista politico. Infatti ridurrebbe la dipendenza di questa economia dal dollaro statunitense, al quale sono legate da un rapporto di correlazione inversa.

Quanto questo possa essere importante si comprende osservando quello che è accaduto nell’ultimo anno. Con il dollaro che è cresciuto rispetto a tutte le valute emergenti (anche se nelle ultime settimane si vedono le tipiche figure di inversione del trend), le importazioni per Brasile ed Argentina sono schizzate alle stelle, perché comprare dall’estero è molto più dispendioso. Avere una valuta unica cambierebbe gli scenari.

Il futuro è nel “Sur” ?

La nuova valuta potrebbe chiamarsi “Sur”, ossia Sud, secondo un suggerimento fornito dal Brasile.
È chiaro che per arrivare alla concreta realizzazione del piano serviranno anni. Bisogna cominciare studiando i parametri necessari per realizzare la moneta comune: fiscali, economici, ruolo delle banche centrali, ecc.

Peraltro va ricordato che si tratta di un progetto del quale Argentina e Brasile avevano già discusso negli anni passati, ma i colloqui erano sempre naufragati soprattutto per l’opposizione del Banco do Brasil. Ma adesso lo scenario è diverso perché le ultime elezioni hanno portato al potere tanto in un paese che nell’altro dei leader di sinistra, ciò significa che la base politica è più forte.

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Risparmi erosi dall’inflazione, la ricetta per salvarli è avere coraggio

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  • 18 Gennaio 2023

Il fenomeno più eclatante e dannoso degli ultimi mesi è senza dubbio l’inflazione. Oltre che incidere sulla nostra quotidianità, rappresenta una minaccia anche per i nostri risparmi.
La crescita dei prezzi infatti fa perdere potere d’acquisto, e fa perdere valore al denaro che viene lasciato sui conti (dove non produce alcun frutto, visti i tassi di interesse a zero).

Il coraggio per proteggere i risparmi

risparmiSiamo in un periodo in cui l’inflazione ha superato il tasso in doppia cifra. Ci vorranno mesi prima che scenda a livelli – sebbene ancora altissimi – più accettabili. Ma fino a quel momento l’inflazione agirà come una sorta di tassa silenziosa, che giorno dopo giorno erode i risparmi che sono parcheggiati sui conti correnti.
Chi pensa di rimanere immobile e aspettare tempi migliori, sta quindi sbagliando strada. Ma questa è una lezione che gli italiani sembrano aver capito, visto che la quota di investitori rispetto al 2019, ossia prima dello scoppio della pandemia, è salita del 4% giungendo al 34% totale.

Gli impieghi preferiti

Tra le forme di impiego del capitale che gli italiani continuano a preferire, spiccano i certificati di deposito, i buoni fruttiferi postali e i titoli di Stato. Si conferma cioè un approccio tradizionalmente prudente, che è tipico delle famiglie italiane (il 75% di esse si dichiara avversa al rischio). Per lo stesso motivo, alle strategie di trading a breve termine preferiscono gli investimenti a medio-lungo periodo.

La crescita dei rendimenti degli ultimi mesi ha favorito l’investimento nei BTP, dove c’è il fractals maggiore (sono affluiti oltre 16 miliardi di euro). Il solo il Btp Italia emesso lo scorso 20 giugno, indicizzato come tutti questi titoli all’inflazione nazionale, ha accolto ordini per oltre 9 miliardi di euro.
Crescono anche i prodotti assicurativi e previdenziali, la cui raccolta è stata superiore ai 12 miliardi di euro.
L’andamento balbettante delle Borse invece ha penalizzato i fondi comuni di investimento, che hanno registrato un deflusso di capitale netto per 4 miliardi.

Poco va bene comunque

Vale ad ogni modo la regola che qualsiasi forma di investimento in grado di offrire un rendimento, seppur minimo, è sempre meglio del parcheggio nei conti correnti o in cassaforte, dove invece il rendimento è attualmente pari a zero.

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Wall Street e la scaramanzia, anche la finanza ha i suoi rituali

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  • 30 Dicembre 2022

Quando parliamo di scaramanzia, ci vengono subito in mente i napoletani. In realtà tutto il mondo è paese, e per questo capita rivedere dei rituali scaramantici anche in posti insospettabili, come la fredda Wall Street.

Santa Claus e Wall Street

wall streetIn questo periodo natalizio c’è in special modo un fattore scaramantico che fai incrociare le dita e trepidare gli investitori di Wall Street. Il cosiddetto Santa Claus rally, ossia la corsa al rialzo dei titoli azionari nell’ultimo spicchio dell’anno e nei primi giorni di quello successivo.
Questo tradizionale rialzo dei corsi si ritiene sia benaugurante per l’anno successivo. E Wall Street spera con tutto il cuore che, dopo un anno particolarmente difficile per i mercati, il Santa Claus rally benedica il 2023.

L’origine

Quello che succede in questo particolare periodo dell’anno in realtà ha ben poco di scaramantico e molto più di aritmetico. Succede infatti che i fondi pensioni vengono ricaricati, e così accumulano un fiume di denaro che finisce dritto negli investimenti in borsa. Se si aggiunge il fatto che dicembre è il mese delle spese natalizie, e quindi molte aziende incrementa le vendite durante questo periodo, ben si comprende perché i titoli azionari generalmente viaggiano al rialzo.

La statistica di Wall Street

Al di là del fatto in sé e delle sue spiegazioni, c’è comunque una statistica importante che ha fatto originare la scaramanzia del Santa Claus rally. Come evidenziato dai dati Quotex, nel 75% dei casi, quando i listini americani di Wall Street hanno marciato a rialzo, l’intero anno successivo è stato positivo.
Viceversa, quando dicembre non non è stato caratterizzato dall’evento fortunato del Rally di Santa Claus, l’anno seguente è stato più debole della media. Infatti quando tale rally si verifica, generalmente lo Standard and Poor 500, il principale indice di Wall Street è salito del 10,9%, mentre in assenza del Rally di fine anno la crescita è stata solo del 4,1%.

Una stessa dinamica si assiste nel mese di gennaio, generalmente più debole in assenza del Rally di Babbo Natale.
Anche in questo caso tuttavia ricondurre automaticamente alla presenza del Rally una qualche congiunzione astrale favorevole o sfavorevole è fuori luogo. Chi utilizza app per giocare in borsa dovrebbe sapere che più probabilmente l’assenza del rally nel periodo dove sarebbe più propizio è una spia di qualcosa che non funziona nel mercato, di un sentiment che è già offuscato e che inevitabilmente ci mette tempo a migliorare condizionando le performance dell’intero anno successivo.

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Reddito fisso, è iniziata l’era di un nuovo Rinascimento

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  • 7 Dicembre 2022

Per molto tempo il mercato dell’investimento nel reddito fisso è rimasto ai margini, a causa della lunga epoca di tassi reali negativi. Adesso però il settore sembra vivere un nuovo Rinascimento.

Cosa accade al mercato del reddito fisso

reddito fissoFino a qualche tempo fa, l’inflazione bassa e le politiche accomodanti delle banche centrali, avevano creato uno scenario nel quale tre quarti circa dei titoli di Stato emessi dai Paesi più ricchi pagavano rendimenti nominali negativi.

La svolta dell’ultimo anno

Ma poi è successo qualcosa. Il post-Covid e la guerra in Ucraina ci hanno consegnato una realtà durissima, caratterizzata da una fortissima inflazione.
Per combatterla, le banche centrali hanno ripetutamente fatto ricorso alle strette monetarie. Questo ha portato ad un ribaltamento dei tassi reali, che ad esempio negli Stati Uniti sono passati in pochi mesi da -1% al +1,5%. Anche nel Regno Unito c’è stato un ribaltamento, visto che sono saliti dal -2% al +2%.
Entrambi i rendimenti sono passati da sotto a sopra la loro media mobile.  Questo significa che gli investitori cominciano ad essere ripagati sempre meglio, se scelgono questa via di investimento.

Anche se la stretta delle altre banche centrali è in ritardo rispetto alla Fed, anche i loro mercati obbligazionari nazionali dovrebbero tornare al loro fair value nei prossimi trimestri.

Selezione necessaria

È chiaro che tutto questo non vuol dire che bisogna gettarsi a capofitto in qualunque tipo di investimento a reddito fisso. Occorre sempre fare una selezione accurata all’interno di questo universo. Del resto, alla luce delle attuali tensioni geopolitiche e macroeconomiche, è necessaria una maggiore dose di prudenza. Occorre sapersi muovere sui mercati otc e mercati regolamentati.
Ma chi riesce ad avere la capacità di vedere lontano, può cogliere interessanti opportunità a lungo termine.

Al momento i rendimenti obbligazionari a più lunga scadenza sono interessanti, ma la volatilità trasforma l’investimento in tali titoli in un potenziale rischio. Per questo motivo, al momento, le più gettonate sono le obbligazioni short-duration e di alta qualità.

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Investire nell’economia Green: non basta dirlo, occorre creare le condizioni giuste

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  • 3 Novembre 2022

Ormai è chiaro a tutti che è l’economia globale ha bisogno di una decisa svolta green. Tuttavia non bastano i semplici proclami per aumentare la propensione ad investire nelle rinnovabili. Bisogna creare un ambiente istituzionale ed economico che sia favorevole.

La differenza tra Stati Uniti e UE

ECONOMIA GREENQuello che sta emergendo, soprattutto in tempi recenti, è una netta differenza nell’approccio adottato dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.
In particolar modo gli USA vedranno cambiare lo scenario grazie alla Inflation Reduction Act (IRA). Questa legge favorisce chi intende investire nelle tecnologie rinnovabili, grazie al meccanismo dei crediti di imposta. Si applicheranno al settore eolico, a quello solare, all’idrogeno ed anche allo stoccaggio del carbonio.
Questa legge introdurrà un modo diverso di monetizzare gli asset fiscali, consentendo alle imprese di creare infrastrutture per le rinnovabili senza dover ricorrere al finanziamento tramite capitale fiscale.

Gli USA scattano avanti

Non c’è dubbio che questi finanziamenti e incentivi promossi dagli Stati Uniti saranno superiori a quelli disponibili nell’Unione Europea.

Questo cosa significa? Che senza dubbio che le imprese decideranno di investire là dove saranno disponibili i migliori finanziamenti e incentivi, nonché i migliori rendimenti.
Per fare un esempio, secondo alcune stime, l’IRA vuole innescare un supertrend riguardo ai veicoli elettrici, raddoppiando il tasso di penetrazione per il 2025 dal 10% al 20%.

Il problema delle autorizzazioni

Uno dei maggiori ostacoli che viene lamentato dalle industrie delle rinnovabili è il meccanismo di autorizzazioni, che soprattutto in Europa rimane molto complesso. Dal momento che la transizione energetica imporrà di investire in modo cospicuo, è richiesta una maggiore agilità normativa. Dovrebbero creare supporti e non resistenze, ma invece accade l’opposto.
Le autorità di regolamentazione in buona sostanza non stanno al passo con l’avanzamento dell’Industria, e anzi ne rappresentano uno dei freni principali.
Cosa peggiore, in alcuni casi sembrano non apprezzare l’importanza di questa sfida.

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Mercato immobiliare, è boom degli investimenti Corporate

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  • 29 Ottobre 2022

Dopo il biennio molto fiacco della pandemia, il mercato immobiliare italiano ha ripreso a marciare con una certa vivacità. Oltre che nell’ambito residenziale, si registra un forte interesse anche da parte degli investimenti “corporate”.

Cosa succede sul nostro mercato immobiliare

mercato immobiliareIl rinnovato interesse da parte degli investitori istituzionali verso il “mattone” italiano è testimoniato dai dati riguardanti il terzo trimestre del 2022.
Nel nostro paese sono stati infatti realizzati circa 3 miliardi di euro di investimenti nel settore immobiliare. Si tratta di una crescita del 37% rispetto allo stesso periodo del 2021. Se a questi dati sommiamo anche i 6,4 miliardi di spesa nel primo semestre, arriviamo a circa 10 miliardi di euro in nove mesi. L’equivalente a tutto quello che viene speso nel intero 2021.

Chi investe negli immobili

L’interesse più concreto è stato manifestato nel settore della GDO e del commercio online. In questo senso Lombardia ed Emilia Romagna sono le regioni più gettonate.
In forte rilancio anche gli investimenti nel mercato immobiliare legati al turismo, grazie alla forte ripresa del settore dopo il biennio terribile della pandemia.
Cresce l’alberghiero, dove il trading con i volumi è giunto a 1,27 miliardi di euro, il doppio rispetto al 2021. La città che la fa da padrona è Roma, dove spicca il ruolo delle grandi catene internazionali.
Molto bene anche la logistica: 720 milioni di euro nel terzo trimestre e 2,6 miliardi da inizio anno, il doppio rispetto al 2021.

Va evidenziato anche il crescente interesse verso gli edifici sostenibili e ad impatto zero. Per questa soluzione gli investitori sono disposti a riconoscere un premio sul valore fino al 20-30%.

Cresce anche il residenziale

Anche il mercato immobiliare residenziale continua a marciare spedito. I leading indicators stimano che il volume d’affari di quest’anno sarà sui 100 miliardi di euro. Una dimostrazione di come gli italiani vedano nel mattone una difesa contro i periodi di alta inflazione.

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Economia e politica, i programmi per il futuro decideranno le elezioni in Brasile

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  • 9 Ottobre 2022

Domenica 2 ottobre c’è stato il primo turno delle elezioni Generali in Brasile. La battaglia tra Lula e Bolsonaro andrà ancora avanti per un turno e l’ex presidente è in vantaggio per 48% a 43%. A incidere in modo forte sull’esito elettorale sarà anche il programma che i due candidati portano avanti riguardo all’economia brasiliana.

Lula, Bolsonaro e l’andamento dell’economia

brasile lula bolsonaroTuttavia, il grosso vantaggio dell’ex presidente nella corsa elettorale si è ridotto progressivamente, di pari passo con il miglioramento dell’economia brasiliana, che sta beneficiando anche della riduzione delle pressioni inflazionistiche. Non si può escludere che Bolsonaro riesca a piazzare il colpo di coda per ribaltare un esito che sembra. Le sorprese sono sempre possibili.

La scelta del ministro dell’economia

I due candidati hanno avuto un approccio diverso riguardo all’indicazione del prossimo ministro dell’economia. Bolsonaro già da tempo ha confermato Paolo Guedes, Lula ha invece lasciato questo nome avvolto nell’incertezza, annunciando tuttavia la sua preferenza per un ministro non tecnico.
Chiunque sarà, si troverà di fronte ad un’economia che ha bisogno di forti interventi, perché anche se il momentum è migliore rispetto a qualche mese fa, la situazione resta complessa.

Lo stato di salute dell’economia brasiliana

Il bilancio pubblico dello Stato brasiliano è gravato da una serie di costi molto rigidi, perché vengono imposti dalla Costituzione. Inoltre anche i vincoli sulla destinazione delle Entrate fiscali limita la possibilità di azione sulla voci spese. Il 90% delle entrate è praticamente vincolato. Il margine di manovra del ministro dell’economia è ridotto, a meno che non si voglia fare breakout dal budget di spesa e rialimentare il debito. Per questo serviranno tempo e pazienza per mantenere ogni promessa elettorale.

Il problema di Bolsonaro

Quello che pesa sulla rielezione di Bolsonaro è il contesto degli ultimi anni. I cittadini brasiliani ricordano il periodo florido sotto il mandato Lula, un periodo di grande prosperità. Invece Bolsonaro è stato presidente in tempi estremamente difficili. L’eredità che lascerà però comprende diverse riforme importanti, come quella delle pensioni e la ristrutturazione del debito.
In ogni caso, fino al ballottaggio in programma alla fine di ottobre, ci sarà un clima di incertezza e di volatilità. Tuttavia il miglioramento delle prospettive fiscali dell’inflazione e dell’economia potrebbe essere un traino per i primi mesi sotto la guida del nuovo presidente.

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Banca, la sostenibilità ha una eccellenza italiana: Fineco

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  • 5 Ottobre 2022

Nell’Italia che fa una fatica tremenda a rilanciare la propria economia, e che deve ricostruire il proprio sistema di approvvigionamento energetico, c’è una banca che in tema di sostenibilità ottiene – per il terzo anno di fila – un grosso riconoscimento ESG.

Un risultato di prestigio per Fineco banca

banca finecoLa banca di cui parliamo è Fineco, che si è confermata tra le eccellenze globali della sostenibilità. Infatti l’agenzia indipendente Standard Ethics1 ha confermato il rating della banca al livello “EE+” (Very Strong2). Per intenderci, Fineco è una delle due sole banche al mondo che hanno ottenuto questo giudizio di sostenibilità, quello più solido che attualmente viene assegnato.

Un lavoro che parte da lontano

Ma cos’ha fatto di speciale Fineco? Secondo Standard Ethics, negli ultimi cinque anni la banca italiana ha rispettato in modo costante le indicazioni sul tema ESG (ossia temi ambientali, sociali e di governance) emanate da Onu, Ocse e Unione europea.
Ricordiamo che l’obiettivo della Commissione europea, a partire dall’Action Plan del 2018, è orientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili, cercando di ridurre il market to limit degli investimenti che non rispecchiano questi principi. Per questo sono stati varati numerosi provvedimenti normativi.

Approccio strategico

Sono tutte attività che non richiedono strategie a breve termine ma di lungo e ampio respiro, e per questo sono molto più impegnative.
Banca Fineco ha infatti modificato il suo modello di governance della sostenibilità, predisponendo una adeguata attività formativa, trattando le innovazioni tecnologiche tenendo conto degli eventuali rischi connessi.
Per queste ragioni l’agenzia comunica che la propria visione su Fineco nel breve e lungo periodo è positiva.

Fattori ESG, sfida ma anche opportunità

Va sottolineato che l’attenzione ai temi ambientali, sociali e di governance (ESG) sta favorendo la rapida diffusione della finanza cosiddetta ‘sostenibile’. Nell’ambito dei modelli bancari, questo tema è destinato a giocare un ruolo sempre più rilevante.
Ma è anche faticoso, perché l’incorporazione delle variabili ESG è una sfida significativa, con diverse criticità. Ma se colta nel modo giusto, offre anche opportunità di sviluppo.

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Mercato dei metalli in crisi: energia e materie prime sono le spine per gli imprenditori

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  • 8 Settembre 2022

Dopo il boom dei prezzi vissuto fino a qualche mese fa, il mercato dei metalli è scivolato in una situazione molto difficile.
Lo scoppio della guerra ha fatto da innesco per uno scenario che sta mettendo in ginocchio molte imprese.

Cosa succede al mercato dei metalli

mercato dei metalliI timori di contrazione economica, e quindi il calo della domanda, si sposano malissimo con il rincaro delle materie prime e dei prezzi dell’energia. A certe condizioni, per molti è meglio non produrre affatto piuttosto che farlo in perdita. E così il mercato dei metalli ha perso valore.
Prima che scoppiasse la guerra, le materie prime arrivavano in grandi quantità proprio dalle zone del conflitto. L’Ucraina era il dodicesimo produttore di acciaio, mentre il Donbass è ricca di terre rare, carbone e metalli. Poi tutto si è fermato.
La scarsità di materie prime ne ha gonfiato il prezzo, rallentando anche le consegne per i broker stp ecn che importano questi materiali devono compensare i maggiori costi dei trasporti.

Ma con il rischio recessione che avanza (e soprattutto la frenata della Cina, uno dei principali consumatori di carbone e minerali ferrosi, e più grande produttore di acciaio a livello globale), e l’inflazione energetica arrivata alle stelle, è dura andare avanti.
Sono così a rischio il settore dell’acciaio, dell’alluminio, del rame, ma anche oro e argento.

Le proiezioni di Moody’s

Di recente l’agenzia internazionale Moody’s ha corretto al ribasso le prospettive a 12 mesi di prezzo per un paniere del mercato dei metalli e delle materie prime minerarie.
I prezzi di acciaio, alluminio e rame dovrebbero andare in contrazione, anche se rimarranno su livelli elevati a causa di un’offerta che non è stata al passo con la domanda negli ultimi due anni.

Quel che conta è che secondo Moody’s, analizzando i lagging indicator del settore, alcuni prezzi scenderanno fino a toccare il costo di produzione. Ad esempio il ferro, che sul mercato dei metalli è scivolato già del 31% in un anno.
Quanto ai metalli preziosi, l’aumento dei tassi di interesse che viene portato avanti dalle banche centrali rende meno conveniente detenere oro, per questo il suo valore scenderà ancora, oltre il 6% annuale attuale. Stesso discorso vale per l’argento, che ha perso il 26% del valore su base annuale.

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Industria siderurgica ostaggio della Russia (grazie al gas)

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  • 23 Agosto 2022

Se la Russia contro l’Ucraina sta usando certe armi, contro l’Europa ne sta usando altre. Mosca ci tiene in ostaggio grazie all’energia, della quale è la nostra principale fornitrice.
Ne fa le spese la nostra industria, in special modo quella del settore più “energivoro”, come la siderurgia.

Il gas mette in ginocchio l’industria

industria siderurgicaDopo aver faticosamente imboccato la via di uscita dal tunnel del Covid, la siderurgia adesso si trova in una situazione ancora peggiore. Perché gli ordini in aumento non bastano, se i costi per produrli diventano esorbitanti a causa delle bollette.

Lo stop di fine agosto annunciato da Gazprom ha di nuovo alzato la tensione e il nervosismo. La nostra industria teme che ci si avvii verso uno stop autunnale. Infatti a questi livelli di prezzo del gas, l’aggiornamento di ottobre delle tariffe ARERA (l’Autorità dell’energia) potrebbe portare al raddoppio delle bollette.

Il costo del gas

Il prezzo del gas, dopo essere stato a lungo dentro un pattern rettangolo, si è affacciato sui 300 euro, facendo balzare la prospettiva di un razionamento per ridurre i consumi.

Secondo un recente studio degli economisti del MES, uno stop delle forniture di gas russo ad agosto porterebbe ad esaurire le riserve nei paesi di Eurolandia già a fine anno, innescando razionamenti e recessione. Senza interventi per tagliare i consumi, il Pil dell’eurozona perderebbe l’1,7% con un impatto del 2,5% per le due nazioni più esposte, Italia e Germania.

I timori della siderurgia

La questione energetica ha inevitabili impatti negativi sulle filiere dell’industria, oltre che ovviamente sulle bollette dei cittadini.
Si è capito che fino alla fine dell’inverno saremo ostaggio delle decisioni di Putin. E questo acuisce la preoccupazione per tutti quei settori gasivori, che rischiano di dover fermare le fabbriche.

La produzione di acciaio, come noto, richiede l’utilizzo di molta energia. Alcuni forni delle acciaierie utilizzano principalmente corrente, altri riscaldano i laminati col metano.
Ma mentre il prezzo dell’energia cresce, quello dell’acciaio cala per via della riduzione della domanda. Si sta delineando una broadening formation (andamento a megafono) che produce un mix economico devastante per l’industria.

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Risparmio, con il lockdown gli italiani si sono avvicinati di più alla Borsa

La Consob ha messo in evidenza un dato interessante riguardo al rapporto tra gli italiani, il loro risparmio e la borsa di Milano. Durante il lockdown che è seguito allo scoppio della pandemia da Covid, ben 185 mila cittadini si sono avvicinati per la prima volta al mercato azionario.
Questo boom ha finito anche per modificare il profilo medio degli investitori attivi a Piazza Affari.

Gli investitori e l’impiego del risparmio

borsa milanoDallo studio della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, che ha analizzato l’attività di trading in azioni tra gennaio 2019 e settembre 2021, emerge quindi una crescita significativa dell’interesse verso il mercato azionario da parte del mondo del piccolo risparmio.
Infatti i nuovi investitori, prima del 2019, non avevano mai comprato né venduto azioni.

Il Covid e altri fattori incentivanti

Va evidenziato che l’incremento di 185 mila unità è molto elevato, se teniamo conto che trader attivi in quei mesi erano poco più di 560 mila.
Le new entry nel modo azionario hanno approfittato soprattutto del calo delle quotazioni, che c’è stato subito dopo lo scoppio della crisi pandemica. Che le restrizioni collegate ai lockdown sono state la prima causa dell’incremento dell’interesse verso il mercato azionario italiano, è evidente. Ma anche le innovazioni tecnologiche sono state una concausa, così come la diffusione dei broker 0 zero spread presenti sul mercato.

Cambia il profilo dell’investitore retail

L’avvicinamento di questi individui alla borsa ha comportato inoltre diversi cambiamenti nello scenario complessivo.
Anzitutto il controvalore medio individuale si è abbassato rispetto alla media del 2019. Ciò è dovuto al fatto che il risparmio medio da impiegare è minore. Inoltre i Consob evidenziano che questo gruppo di piccoli investitori è costituito di una popolazione più giovane di 10 anni rispetto agli investitori tradizionali, con una marcata presenza maschile.
Un altro aspetto molto importante riguarda le performance dei nuovi investitori, che in linea di massima sono risultate migliori degli investitori preesistenti.

Presenza permanente

Va infine aggiunto che l’avvicinamento al mercato azionario del popolo del “piccolo risparmio” non è stato un fattore temporaneo, visto che la gran parte ha continuato ad operare anche dopo la fine delle restrizioni. Cioè è andata ad allargare in modo permanente la platea degli investitori retail. Di conseguenza anche i volumi scambiati sul mercato azionario italiano sono cresciuti.
Peraltro il discorso vale per l’intero panorama degli investimenti. Ad esempio è cresciuto il lottaggio forex nel mercato valutario, così come gli investimenti nelle commodities.

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Investimenti nell’idrogeno verde, nel 2050 ci darà un quarto del fabbisogno energetico

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  • 26 Luglio 2022

La questione energetica non è mai stata così forte all’interno del dibattito economico e geopolitico. Se la necessità di passare dal combustibile fossile a quello rinnovabile era già avvertita in precedenza, la guerra in Ucraina ha dato ulteriore risalto al problema.
Per riuscire a ridurre la dipendenza energetica dalla Russia occorreranno investimenti importanti. Altrettanto importanti sono quelli richiesti dalla necessaria transizione verso un mondo più sostenibile.

L’idrogeno verde catalizza gli investimenti

irdogeno verdeIn questa ottica, scienziati ed investitori sembrano non avere dubbi sul ruolo che in futuro rivestirà l’idrogeno verde.
In base ad un’analisi contenuta nel Global Energy perspective 2022, a partire dal 2035 il primo elemento della tavola periodica comincerà ad assumere un ruolo sempre maggiore nel settore dei trasporti ed in quello industriale.

Questa crescita attirerà ulteriori investimenti, innescando un ciclo virtuoso che porterà l’idrogeno verde a soddisfare entro il 2050 un quarto della domanda totale di energia in Europa.
Il beneficio non soltanto sarà in termini di minore dipendenza estera (il buy limit forzato di questo periodo sarà un lontano ricordo), ma anche in termini climatici. Infatti consentirà di risparmiare 560 mega tonnellate di anidride carbonica.

Il ruolo dell’idrogeno verde

La rivoluzione dell’idrogeno verde è alimentata da diversi fattori. Oltre alla necessità di spingere gli investimenti nel settore rinnovabile, c’è il vantaggio di ottenere il tutto a zero emissioni. Peraltro si tratta di un elemento facile da trasportare, immagazzinare ed anche distribuire.
Gli investimenti nel settore delle forniture e lo stoccaggio di idrogeno verde renderanno tutto ancora più facile in futuro, mentre oggi risulta molto limitato ad alcune applicazioni industriali e dalla produzione di ammoniaca.

La rivoluzione dei trasporti

Senza dubbio l’impatto maggiore dell’idrogeno verde si avrà nel settore dei trasporti. Nel 2025 dovrebbero esserci 27.000 veicoli alimentati con questo sistema, ma appena 5 anni dopo il numero dovrebbe salire a 300.000. Si viaggerà al ritmo di una martingala, così che nel 2050 supereranno gli 8 milioni. Se così fosse, sarebbero necessari grossi investimenti, soprattutto nelle stazioni di servizio per il rifornimento oggi ce ne sono appena sei in tutta Italia.

Le imprese fiutano l’affare

Questa inevitabile svolta sta spingendo sempre più imprese attive nell’energia a cavalcare l’onda verde. Si moltiplicano progetti ed investimenti, si studiano infrastrutture moderne e si preparano legislazioni in merito. Poche settimane fa Bruxelles – per superare la dipendenza alla Russia – ha varato la politica di sviluppo “Hydrogen Accelerator”.
Il grosso ostacolo al momento sono i costi, che purtroppo sono ancora molto elevate Ma già la diffusione massiva consentirà di ottenere delle piccole economie.

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