Ebbene sì, la maggior parte dei colloqui di lavoro è ingiusta e poco obiettiva. Ci si trova di fronte al potenziale titolare o la responsabile delle risorse umane e si hanno a disposizione, se va bene, dai 20 ai 40 minuti per fare una buona impressione.
In genere ci si prepara per l’intervista, rispondendo alle ipotetiche domande che ti potrebbero porre. Ecco, appunto veniamo alle domande. Di sicuro ci troveremo di fronte le behavioral questions, le domande comportamentali. Quelle che iniziano con: “Mi faccia un esempio di ciò che ha fatto nella ‘situazione X’”. E per molti partire così è dannoso per l’azienda e ingiusto per i candidati, dato che si premia chi ha maggiore esperienza.
In poche parole le persone con alle spalle diverse occupazioni hanno ovviamente vissuto più conflitti e possono raccontare un numero sicuramente maggiore di aneddoti. Al contrario, chi è alle prime armi, seppur preparato e competitivo, ha poco da dire e si può trovare nella condizione di inventare una storia (con risultati dubbi).
Inoltre questa tipologia di colloqui potrebbe anche rivelarsi controproducente per l’azienda. Perché con queste domande emergono i migliori narratori, ovvero coloro che sono più bravi a raccontare con efficacia gli episodi del passato. E non i migliori candidati. A meno che la competenza principale per la posizione aperta non riguardi l’improvvisazione e la capacità di raccontare aneddoti.
Viste le difficoltà, una risposta a tutte queste problematiche relative alla gestione delle risorse umane è una sola: l’esternalizzazione. Optare per l’outsourcing risorse umane e affidare a professionisti del settore non solo la gestione del recruiting ma anche un servizio a 360 gradi in ambito HR, andando a puntare sia sugli aspetti più standard operativi di processo che su argomenti più gestionali.
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