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terapia Archivi - Comunicati stampa e News

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Diabete 2 e complicanze: i rischi acuti e cronici in assenza d’aderenza terapeutica

Uno dei quesiti di maggior dubbio e di complessità, oltre che adeguata risposta, ricercati da alcuni soggetti diabetici riguarda le complicanze associate a diagnosi diabete 2 nel lasso di tempo sia immediato (acute) che a lungo termine (croniche). Benchè il diabete sia oramai una patologia in costante aumento, tutt’oggi il corretto indirizzamento informativo continua ad essere scarso generando spesso confusione ed allarmismi che, pur dinanzi rischi cronici sicuramente importanti, possono esser opportunamente controllati col giusto follow up e prevenzione.

Le complicanze del diabete 2 sono divise, come accennato, in patologie acute e croniche con effetti diversificati in base alla situazione clinica personale del soggetto che, all’interno della valutazione anamnestica, deve tener conto di eventuali altri status patologici con effetti collaterali e/o associati sia in modo diretto che indiretto. Ciascuna delle singole complicanze, se diagnosticata precocemente associando uno stile alimentare, fisico ed igienico adatto alle nuove esigenze comportamentali definite dal tipo di aderenza terapeutica che il soggetto affetto da diabete 2 deve seguire – ovviamente non solo e prettamente farmacologico – può garantirne non solo la mancata comparsa quanto, in caso contrario, anche una celere ripresa.

Le patologie legate al diabete 2 di tipo cronico possono essere la crisi ipoglicemica, causata da un errore nell’assunzione d’ipoglicemizzanti al punto d’alterare così i livelli glicemici ematici con differenti fasi capaci d’indurre anche al coma diabetico, oppure scompensi nel quadro metabolico cellulare come nel caso della sindrome iperglicemica iperosmolare, responsabile di un complesso squilibro osmolare associato a livelli d’iperglicemia non inferiori ai 600 mg/dl con conseguente disidratazione ed alterazione del Ph. Entrambe, a loro modo, vantano dei rischi non diretti a carico cardiovascolare incrementando la percentuale di rischio per ischemie cardiache ed ictus.

Ben più complesse sono invece le complicazione croniche legate al diabete 2, interessando specificamente alcuni organi come i reni, con la nefropatia diabetica causata dal danneggiamento dei filtri capillari renali nella fase di escrezione e purificazione con rischio d’insufficienza renale bilaterale, o visiva, come la retinopatia diabetica a carico degli occhi col distacco progressivo dei vasi sanguigni dal fondo oculare con micro-lesioni, edemi localizzati capaci di alterare la naturale struttura oculare impedendo la filtrazione luminosa con relativa codifica delle immagini passando da cecità parziali e dalla gravità variabile sino alla totale cecità.

Ciò che non va assolutamente sottovalutato sono però le complicanze sistemiche a carico del sistema vascolare (vasculopatia) e neuropatico (neuropatia) inducendo una progressiva perdita sia della capacità circolatoria – con ivi annessi rischi cardiaci – che della percezione sensoriale e capacità motoria. Entrambe le situazioni, tanto per il diabete 2 quanto per le altre tipologie, sfociano comunemente del cosiddetto “Piede diabetico” da intendere come uno status di maggior suscettibilità al rischio infettivo a causa dell’iperglicemia e della mancanza di sensibilità in un’area particolarmente esposta a contatti batterici e/o virali tramite traumi indotti dal peso da sorreggere, dal modo di camminare oltre all’igiene – da intensificare in tali casi – derivata semplicemente dalle calzature, con possibile rischio infettivo attraverso 4 stadi sintomatologici ed altrettanti stadi di lesione che possono portare, nei casi più complessi, persino all’amputazione dell’arto.

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Luca Maris e la visione della musica come ruolo benefico e terapeutico

Il noto cantautore musicista Luca Maris, da autorevole esponente di settore, è stato contattato per rilasciare un’intervista sulla funzione della musica intesa come musicoterapia e ha spiegato le sue riflessioni e anche la sua significativa esperienza diretta in tale ambito applicativo, verso il quale rivolge particolare interesse.

In particolare Maris ha sottolineato “Il ruolo terapeutico della musica concepita come musicoterapia ha dimostrato la sua concreta efficacia su diverse patologie, dove tramite la musica si è potuto intervenire migliorando e favorendo all’individuo trattato con la musicoterapia, la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione e altri obiettivi terapeutici per soddisfare le necessità fisiche, mentali, sociali e cognitive delle persone e della loro qualità di vita”. E prosegue spiegando “Parlando della mia esperienza personale inerente al coma, essendo stato all’età di 3 anni per sei mesi tra la vita e la morte, mi ricordo ancora quando mia madre metteva la musica di sottofondo per provare a farmi risvegliare, che poi era la stessa musica che mi faceva ascoltare a casa. La musica in quell’occasione non è sta la causa del mio risveglio dal coma, ma la ricordo perché comunque riuscivo a sentirla e mi dava un senso di benessere, quindi nella situazione in cui ero mi ha aiutato. Gli esperti di settore, tra i quali il maestro Tony Esposito, che da parecchi anni si occupa attivamente di musicoterapia, ritengono che ascoltando la mia musica si sprigionino degli effetti benefici, stimolando un senso di appagamento e pace interiore”.

Riferendosi poi alla musica lirica e al rap afferma “La musica lirica, è un genere diverso dal mio, che però è ampiamente utilizzata come terapia e consigliata di frequente per uso terapeutico. Infatti, il paziente esprime i suoi stati d’animo e di benessere all’ascolto di questo tipo di musica. Il rap è una musica che mi interessa approfondire, perché mi permette l’utilizzo di un linguaggio più ampio e diretto e si possono toccare anche più facilmente delle tematiche sociali di importante attualità. Anche il rap può diventare un valido strumento terapeutico, selezionando bene il brano però, perché non tutti a mio avviso si prestano a tale fruizione specifica”. E aggiunge “Colgo l’occasione per dire che ho già scritto un brano interessante destinato a un rapper italiano molto popolare e conosciuto, con cui ho stretto anche un rapporto di amicizia e di reciproca stima e ammirazione professionale. Stiamo sviluppando un sinergico progetto di collaborazione e presto mi vedrete duettare insieme a lui e presentare un pezzo da me composto davanti al grande pubblico”.

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Farmaci generici: l’importanza dell’aderenza alla terapia

Il prof. Claudio Borghi, Ordinario di Medicina Interna al Sant’Orsola Malpighi di Bologna, sottolinea l’importanza dell’aderenza alla terapia e quanto questa sia condizionata dalle caratteristiche del farmaco.

L’aderenza può modificarsi se il paziente non riconosce nel farmaco generico quello con cui ha familiarità, e in questo caso sta al medico spiegarlo al paziente. Quanto più un farmaco si mantiene riconoscibile, tanto più il paziente lo assume con continuità.

Quanto è importante l’aderenza alla terapia?

L’importanza dell’aderenza alla terapia è assolutamente fondamentale. In generale, la prevenzione e il trattamento delle patologie cardiovascolari si basa sull’uso di sostanze efficaci in grado di prevenire lo sviluppo di queste condizioni. È altrettanto vero che la probabilità che un farmaco sia in grado di esercitare questo tipo di prevenzione dipende dall’assunzione costante da parte del paziente. Per cui, quanto è più alta l’aderenza tanto maggiore è la probabilità che quel farmaco eserciti un effetto misurabile e quindi sia in grado di esercitare un grado di prevenzione sostenibile. In pratica, quindi, solo i farmaci che vengono assunti sono in grado di essere efficaci, solo i farmaci con elevata aderenza sono in grado di prevenire le complicanze cardiovascolari.

È fondamentale che il paziente “riconosca” il farmaco? Come assicurare la riconoscibilità?

L’aderenza è condizionata molto spesso dalle caratteristiche del farmaco, quindi dalla sostanza in esso contenuta. Se la sostanza è di buona qualità, l’aderenza è elevata ed il trattamento è efficace, e ciò sia che si tratti di una formulazione brand che di una formulazione generica. Ovviamente alcuni aspetti dell’aderenza alla terapia potrebbero modificarsi, soprattutto perché il paziente potrebbe non riconoscere in un farmaco generico il farmaco con il quale ha familiarità. In questo caso, sta al medico spiegare al suo paziente quale sia la sostanza fondamentale dei farmaci generici e che, se assunti in maniera appropriata, sono ugualmente efficaci.

La maggior parte dei pazienti non è in grado di riconoscere le caratteristiche dei farmaci dal punto di vista chimico, perché si tratta di un aspetto tecnico. Ecco perché li riconosce dal loro aspetto. Molti dei nostri pazienti, quando interrogati, dicono che stanno assumendo una pillola bianca, una pillola gialla, rossa oppure ricordano le caratteristiche della scatola, il colore e il carattere con cui è scritto il nome del farmaco. Quindi, la riconoscibilità del farmaco è in pratica l’elemento nei cui confronti il paziente ha fiducia e quanto più un farmaco si mantiene riconoscibile, tanto più esiste la certezza da parte del paziente di ottenere l’efficacia della terapia con l’assunzione in continuità di un farmaco.

Stante il proliferare incontrollato di farmaci generici, è importante che il paziente sia fidelizzato a farmaci che sono risultati efficaci e la cui affidabilità terapeutica sia certificata dalla appartenenza ad una multinazionale farmaceutica in grado di assicurare una terapeutiche elevata qualità del farmaco. Ad oggi non vi è una legge che verifica la affidabilità dei farmaci generici, pertanto brand certificato e riconoscibile ed efficacia comprovata nel singolo paziente dovrebbero essere gli elementi guida nella scelta di un trattamento farmacologico.

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Il problema di aderenza e persistenza: definizione, come si misurano?

Risponde Francesco Vittorio Costa, cardiologo, professore associato di medicina interna, Presidente ASIAM (Associazione Interdisciplinare Aggiornamento Medico).

Quali sono i fattori condizionanti, l’impatto sull’esito delle terapie?

Il risultato di una terapia, soprattutto di quelle croniche, dipende essenzialmente dal fatto che il paziente le esegua correttamente (aderenza) e le continui per tutto il tempo necessario (persistenza). Aderenza e persistenza a loro volta dipendono da una serie di fattori riconducibili sostanzialmente a tre punti fondamentali: il medico, il paziente, il tipo di trattamento. Un buon rapporto medico-paziente, la consapevolezza da parte di entrambi della necessità della terapia, dei risultati positivi che con essa si potranno ottenere, sono il presupposto indispensabile per il successo. Altrettanto importante è il tipo di trattamento prescritto. Perché il paziente sia aderente e persistente, esso deve essere efficace, ben tollerato e semplice da eseguire.

È così differente l’indice di aderenza tra branded e generici? Perché?

L’aderenza al trattamento, come ricordato, dipende dall’efficacia, dalla tollerabilità e dalla semplicità dello schema terapeutico. I farmaci generici possono associarsi a minori aderenza e persistenza in quanto possono essere, rispetto ai brand, meno efficaci e/o peggio tollerati. Il problema della tollerabilità dei generici è stato frequentemente segnalato in letteratura e dipende soprattutto dal fatto che gli eccipienti possono essere diversi dal brand. Gli eccipienti infatti non sono sostanze inerti, ma possono interagire con le molecole attive e produrre in alcuni pazienti fenomeni di intolleranza e allergia (Journal of Applied Pharmaceutical Science 01 (06); 2011: 66-71). Come detto in precedenza l’aderenza al trattamento dipende da efficacia, tollerabilità del farmaco. Considerando solo gli aspetti clinici, quindi, l’aderenza alla terapia con i farmaci brand potrebbe risultare più alta per le cause viste in precedenza. L’indice di aderenza del brand, nei fatti, può ridursi quando il paziente deve contribuire all’acquisto di un farmaco. La conseguenza è che l’utilizzo del farmaco brand potrebbe essere penalizzata da una questione puramente economica. La conferma che l’eventuale minore aderenza osservata con il branded dipenda da un fattore economico è provato da uno studio condotto negli Stati Uniti (Am J Manag Care. 2009 July; 15(7): 450–) che ha evidenziato che l’aderenza alla terapia ipertensiva sarebbe sensibilmente migliore col brand rispetto al generico, quando il brand viene fornito gratuitamente ai pazienti.

Quali i costi clinici ed economici della non aderenza?

Naturalmente solo livelli elevati di aderenza e persistenza consentono di ottenere tutti i vantaggi ottenibili con la terapia. La letteratura scientifica dimostra inequivocabilmente che al ridursi del livello di aderenza aumenta il rischio di ricoveri in ospedale e come conseguenza diretta di ciò, aumentano i costi sanitari. Nel campo delle malattie croniche quali diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, i dati degli studi clinici sono inequivocabili: i pazienti aderenti alle terapie mostrano una riduzione del rischio del 50% circa rispetto ai non aderenti. Dato che una parte preponderante dei costi (oltre il 75%) di queste patologie dipende proprio dalle complicanze, prevenirle con una terapia efficace comporta una riduzione dei costi (oltre agli indubbi vantaggi in salute).

È sicuro passare, durante una terapia, da un farmaco branded ad uno generico? Se no, perché? Può segnalarci casi di fallimento terapeutico? (con fonti relative)

Il passaggio dal branded al generico, è stato oggetto di numerosi editoriali nella letteratura scientifica. È stato, ad esempio, osservato da uno studio eseguito in Canada (Anderman F, Duh MS, Gosselin A, Paradis PE. Compulsory generic switching of antiepileptic drugs: high switchback rates to branded compounds compared with other drug classes. Epilepsia. 2007;48:464-469) che circa il 20% dei pazienti epilettici passati dal branded al generico, ha accusato di nuovo crisi epilettiche. Dati analoghi sono stati segnalati per le malattie psichiatriche: pazienti ben controllati dal branded, presentavano un peggioramento dei sintomi quando passati al generico. Identici fenomeni sono stati segnalati anche per molti antibiotici. Naturalmente, evidenziare gli stessi eventi passando dal brand al generico è semplice quando il paziente presenta immediatamente dei sintomi. Più complesso è il caso di terapie preventive che non agiscono su sintomi (ad es. la terapia dell’ipertensione, del diabete, delle dislipidemie) anche se alcune segnalazioni le possiamo ritrovare in letteratura.

Oltre a questo, esiste anche un problema di diverso aspetto delle compresse e della scatola che, specie in soggetti anziani che da anni assumono gli stessi farmaci, può generare confusione. In Italia, infatti, la legge delega al farmacista la scelta del generico da consegnare al paziente che ogni volta si può trovare ad assumere farmaci di aspetto differente. Esiste anche un altro fattore da evidenziare: la bioequivalenza di ciascun generico viene testata verso il brand, ma i generici non vengono confrontati tra di loro. Potrebbe succedere, quindi, che il paziente si veda somministrare di volta in volta generici non bioequivalenti tra loro con eventuale impatto sull’efficacia e/o tollerabilità del trattamento. Negli USA i medici dispongono di un libro in cui sono indicati i generici tra di loro bioequivalenti, mentre in Italia al momento non esiste nulla di simile.

Esiste anche un altro fattore da evidenziare: la bioequivalenza di ciascun generico viene testata verso il brand, ma i generici non vengono confrontati tra di loro. Potrebbe succedere, quindi, che il paziente si veda somministrare di volta in volta generici non bioequivalenti tra loro con eventuale impatto sull’efficacia e/o tollerabilità del trattamento. Negli USA i medici dispongono di un libro in cui sono indicati i generici tra di loro bioequivalenti, mentre in Italia al momento non esiste nulla di simile.

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Brescia: Convegno “Da elettroshock a terapia elettroconvulsivante cambia il nome ma non l’inganno”

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  • 29 Maggio 2014

 

Brescia, Venerdì 30 Maggio ore 20.30 ci sarà il convegno “Da elettroshock a terapia elettroconvulsivante cambia il nome ma non l’inganno”. Tema molto discusso a Brescia che, con il presidio di Montichiari, detiene il triste primato di numero di “terapie” applicate a livello nazionale.

A pochi giorni dall’apertura della mostra, “Il volto sconosciuto della psichiatria”, allestita in Corso Matteotti 44, sta ottenendo un buon successo di affluenza e soprattutto di rinnovata comprensione da parte dei visitatori sul tema delle violazioni dei diritti nel campo della salute mentale.
Non è certamente un tema “simpatico” e neppure facile da digerire, perchè quando di parla di abusi dei diritti umani, si deve essere pronti ad ogni cosa.
E lo scopo è proprio far conoscere i propri diritti nel campo della salute mentale, chiedendo poi che vengano rispettati.
Con un ottima affluenza di persone del settore sociale, scolastico, medico e politico, che rispondono con una rinnovata comprensione sul tema dei diritti violati e in alcuni casi anche di nuova consapevolezza.
Ecco cosa hanno scritto alcuni sul guest book della mostra:
psicologo 51 anni: “grazie della vostra opera di informazione!”
Professore – “il business sulla salute mentale è scandaloso!”
studentessa di scienze umane e scienze sociali – “questa mostra mi ha molto colpita. inizialmente speravo di poter affrontare studi in campo psichiatrico, ma non sapevo di tutto ciò che qui è esposto. veramente interessante. spiega molti fatti dei quali solo pochi sono a conoscenza, ma che sarebbe meglio esporre a livello mondiale”.
Impiegato: I diritti umani sono le cose più importanti ed in questa mostra sono ampliamente valorizzati.

Ricordiamo che la mostra resterà aperta sino a venerdì 30 maggio, dalle 10.00 alle 20.00 in corso Matteotti al 44.
Un’esposizione su 360 metri quadri, 78 pannelli illustrativi, 14 video che includono interviste ad oltre a 160 persone: psichiatri, psicologi, medici, avvocati, pedagogisti, con le testimonianze di coloro che hanno vissuto personalmente le conseguenze dei trattamenti psichiatrici. Oltre 40 anni di ricerche per documentare gli abusi, i tragici errori e i danni, spesso fatali, che la psichiatria ha perpetrato in tutto il mondo.

Per maggiori informazioni: 3494466098, www.ccdu.org

 

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Terapia elettroconvulsivante uguale elettroschock – vecchio inganno

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  • 13 Marzo 2014

 

 

   Ma come è possibile che una “terapia” così barbara e violenta come l’elettroshock sia ancora oggi non solo praticata, ma spesso incoraggiata dagli “addetti” alla “cura” della nostra salute mentale? E  chi sarebbero questi signori (psichiatri) che, con tanto zelo, si stanno preoccupando di farci “stare meglio” con questo “trattamento” disumano?

   Le origini dell’elettroshock: nel 1938 lo psichiatra Ugo Cerletti,  recatosi casualmente in un macello romano, notò che i maiali, particolarmente inquieti prima di essere sgozzati, venivano resi più docili con uno shock elettrico. Cerletti ebbe così l’idea della terapia elettroconvulsivante, ed elaborò un sistema  per immettere nel corpo umano scariche elettriche fino a 480 Volt. Una pratica che, in origine, era concepita per tramortire i suini!

   Cosa c’è di scientifico in questa trovata? Nella disciplina medica (quella vera) il paziente viene sottoposto ad esami e test per diagnosticare la presenza di qualunque problema fisico che possa apparire come disturbo comportamentale. In psichiatria non esistono esami fisiologici e diagnosi comprovate. Enti leader nel settore, quali la World Psychiatric Association e il National Institute of Mental Health, ammettono che: “Gli psichiatri non conoscono né le cause né le cure per i disturbi mentali, e neppure che cosa causino ai pazienti i loro “trattamenti”. Sono solo in possesso di teorie ed opinioni contrastanti sulle diagnosi ed i metodi e, anche in relazione ad essi, mancano totalmente di qualsiasi base scientifica”.

   E gli effetti? Devastanti: secondo rapporti medici, il flusso di sangue al cervello può aumentare anche del 400%; la pressione sanguigna può aumentare del 200%. Le conseguenze sono perdita di memoria, confusione, perdita dell’orientamento spazio-temporale e perfino la morte.  

  

    Dunque, come è possibile che questo abuso possa continuare?

  

   Di questo e molto altro si parlerà all’incontro dal titolo “Terapia elettroconvulsivante uguale elettroschock – vecchio inganno”, organizzato a Brescia dal CCDU (Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani), venerdì 14 Marzo 2014 alle ore 20,00 presso il Teatro San Carlino, corso Giacomo Matteotti 6/A. Ospiti speciali: Silvio De Fanti (vice presidente del CCDU Italia), il dott. Lorenzo Torresini (psichiatra) e la dott.ssa Emilia Kwasnicka (psicologa). Nella serata i relatori entreranno nel vivo del tema, trattando l’argomento dal punto di vista psichiatrico, psicologico e fisico, mettendo in luce anche quei risvolti che i “professionisti del cervello” non ci vogliono dire.

 

Maggiori informazioni www.ccdu.org.

 

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Serata a tema: – “Terapia” elettroconvulsivante uguale elettroshock – vecchio inganno –

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  • 6 Marzo 2014

 

Brescia, al San Carlino (corso Giacomo Matteotti 6/A), il 14 Marzo 2014 ore 20,00 l’associazione CCDU “Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani”, terrà una serata a tema sulla tanto discussa “terapia” che tutt’oggi viene praticata e sebbene promossa come “Salva vita” può creare lesioni incurabili al cervello, e porta con se molti altri danni a causa delle scariche elettriche.
Nella serata i relatori entreranno nel vivo del tema, trattando l’argomento da un punto di vista psichiatrico, psicologico e fisico.
Nella serata si vuol mostrare quanto questa “terapia” causi più danni che benefici al paziente.
Per maggiori informazioni sulla serata Mariella  3478127681

 

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Giardino Alzheimer: l’avanguardia terapeutica a Pavullo nel Frignano. Un percorso sensoriale per anziani affetti da demenza, ideato dallo studio di progettazione e consulenza Coo.Pro.Con.

Giovedì 30 settembre, alle ore 15, sarà inaugurato il “Giardino Alzheimer” presso il Centro Servizi per la Terza Età “Francesco e Chiara” a Pavullo nel Frignano (MO).
Si tratta di un percorso sensoriale e terapeutico all’aperto per anziani affetti da demenza, pensato sulla scia dei migliori esempi europei e assolutamente all’avanguardia per il territorio, fortemente voluto dalla Direzione del Centro, realizzato grazie all’ideazione e al supporto professionale di Coo.Pro.Con. (su progetto dell’Arch. Erio Amidei), con il sostegno finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena.

Il Centro “Francesco e Chiara” incontra Coo. Pro.Con.
Il Centro Servizi per la Terza Età “Francesco e Chiara”, nato nel 1997 per iniziativa di Padre Sebastiano Bernardini, ha sempre guardato nella direzione della sperimentazione e dell’innovazione, offrendo una pluralità di servizi e soluzioni a favore degli anziani.
E’ in questa ottica che nasce “Giardino Alzheimer”, ideato dallo studio di progettazione e consulenza Coo.Pro.Con. che, con il Centro, condivide le proprie radici a Pavullo e la ricerca verso un’architettura terapeutica, dove uomo e ambiente interagiscono per una vita più armoniosa.
Il “Giardino Alzheimer” rappresenta la fase conclusiva della riprogettazione di tutto il Centro, eseguita da Coo.Pro.Con. a titolo gratuito, come opera di solidarietà: dal 2006, la nuova struttura offre una casa protetta, una casa di riposo, un centro diurno, una palazzina residenziale assistita e l’Auditorium Giovanni Paolo II, contribuendo a renderla una delle realtà più importanti per l’assistenza agli anziani sul territorio. La realizzazione del Centro e del “Giardino Alzheimer” è per Coo.Pro.Con. la massima espressione della propria filosofia progettuale: mettere l’uomo al centro del processo costruttivo, rendendo l’architettura espressione di desideri e risposta alle esigenze odierne, rispettando l’identità dei luoghi. Il percorso di ricerca culturale di Coo.Pro.Con. è fondato sulla consapevolezza di lavorare per l’uomo e la sua salute psicofisica, integrando la vita all’’ambiente, favorendo benessere e rapporti sociali.

Giardino Alzheimer e Cafè Alzheimer
Il “Giardino Alzheimer” è stato realizzato da Coo.Pro.Con. valorizzando gli spazi esterni del Centro Servizi per la Terza Età “Francesco e Chiara”. Si tratta di un percorso sensoriale all’aperto, in grado di stimolare le capacità ancora residue di anziani affetti da demenza, grazie alla libertà di movimento in sicurezza e alla possibilità di beneficiare della serenità della natura.
Questo progetto terapeutico permetterà di gestire meglio i disturbi comportamentali e cognitivi di 15-20 anziani, contenendo la terapia farmacologica.
La pavimentazione ad anello, lunga circa 50 metri e dotata di sistema illuminotecnico, è studiata per ridurre il girovagare tipico di questi malati e per condurli a 4 zone di interesse con panchine per la sosta: la stimolazione sensoriale è affidata ad aiuole con fiori colorati, piante sempreverdi e aromatiche (vista e olfatto), a una fontana con acqua scorrevole, a voliere e diffusori acustici per la musicoterapia e la riproduzione di suoni dell’habitat naturale (udito), a uno spazio per la coltivazione di ortaggi di stagione (terapia orticolturale).

L’inaugurazione di questo percorso guidato è anche l’ideale completamento dell’iniziativa “Cafè Alzheimer”: un’attività di sostegno psico-relazionale, condotta da un consulente professionista, tramite colloqui individuali con anziani e familiari. Uno spazio di incontro informale con medici ed esperti, per trovare risposte a tanti dubbi e condividere le difficoltà quotidiane.
Il “Giardino Alzheimer” e “Cafè Alzheimer” si inseriscono nella vivace attività del Centro Diurno e del Nucleo Speciale Demenze (in convenzione con Azienda USL di Modena, Distretto n. 5 di Pavullo), che operano all’interno del Centro per dare accoglienza ad anziani, affetti da sindromi demenziali, gravi disturbi cognitivi e comportamentali.

“Il Giardino Alzheimer e tutto il Centro rappresentano un importante esempio di architettura terapeutica per il territorio, dimostrando che un metodo progettuale a misura d’uomo può davvero favorire una vita migliore. Tutto l’intervento ha poi ottenuto il “Premio Domotica 2007”, categoria terziario, per gli innovativi sistemi di controllo dell’impiantistica, che lo rendono un edificio intelligente anche a livello tecnologico”.
Architetto Erio Amidei, progettista Coo.Pro.Con. per il Centro Servizi per la Terza Età “Francesco e Chiara” e il “Giardino Alzheimer”.

“Desidero ringraziare Coo.Pro.Con. per questa importante opera, che ci permette di continuare a percorrere la strada della sperimentazione terapeutica. Negli anni, abbiamo appurato che molti anziani, affetti da demenza, arrivano al Centro in condizioni critiche ma, grazie a questi metodi innovativi di cura, ottengono significativi benefici”.
Padre Sebastiano Bernardini, fondatore Centro Servizi per la Terza Età “Francesco e Chiara”.

Chi è Coo.Pro.Con.
Coo.Pro.Con. è uno studio di progettazione e consulenza con una sede principale a Pavullo nel Frignano (MO) e una distaccata a Modena.
Fondato agli inizi degli anni ’80, oggi è composto da 35 professionisti in grado di sviluppare l’intero ciclo progettuale – dall’idea all’esecuzione – rivolgendosi al settore pubblico e privato.
Questo metodo di lavoro, basato su una consolidata attività di gruppo, ha permesso a Coo.Pro.Con. di maturare significative esperienze nelle aree architettura, ingegneria, urbanistica e ambiente, sovraintese da una scrupolosa direzione lavori, con il compito di garantire la “qualità globale” nell’attuazione di ogni progetto.

www.cooprocon.it

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I sogni e la poesia come strumenti di cura

LE NUOVE VIE DELLA PSICOLOGIA OLISTICA. GRUPPI D’INCONTRO A ORIENTAMENTO TERAPEUTICO.

La parola greca “olis” significa “tutto, unico”; da questa radice deriva il termine olismo con cui si designa un approccio globale, sintetico e non analitico, verso i fenomeni che si osservano. La prospettiva olistica è contemporaneamente antica e nuova: antica perché il concetto di interrelazione profonda tra gli eventi è presente da secoli nel patrimonio culturale dell’umanità; nuova perché nella nostra attuale visione del mondo solo recentemente si è affermato il bisogno di recuperare una concezione più unitaria dei fenomeni. Nella prospettiva psicologica olistica l’utilizzo delle risorse personali, in termini di energia interiore, intuizione, immaginazione e creatività, rappresenta il contributo più grande per il superamento delle difficoltà e il mantenimento del benessere. In questa ottica lo stesso terapeuta arricchisce e trasforma il suo ruolo, divenendo una guida che aiuta le persone ad aumentare il proprio livello di consapevolezza e ad usare le proprie risorse anche come via per l’autoguarigione. Lo sviluppo della creatività personale diventa l’elemento fondamentale, alla base di un nuovo percorso che conduce alla risoluzione dei problemi e all’acquisizione di nuove conoscenze. Dai serbatoi culturali dei campi artistico, filosofico, spirituale ed etno-antropologico possiamo trarre input preziosi per il raggiungimento di questi obiettivi; in tal senso, ad esempio, la danza, la poesia, le attività grafiche, la lettura di libri, la narrazione e l’uso della voce si offrono anche come strumenti terapeutici a disposizione di tutti. Curano l’anima e restituiscono alla mente umana dignità e profondità. Oltre che fornire alle persone nuove conoscenze, riutilizzabili in qualunque momento della vita e, a loro volta, trasmissibili. Il lavoro terapeutico può essere individuale o di gruppo e, in quest’ultimo caso, favorisce ancora di più i processi positivi legati all’integrazione e alla solidarietà. Il senso di solitudine, così presente nel nostro sistema culturale, non si supera con i farmaci ma con lo scambio e il confronto delle esperienze.

L’Associazione socio-culturale Sintesi Azzurra, che si occupa da anni di questi aspetti dell’intervento psicosociale, organizza e conduce da ottobre 2010 a marzo 2011 due Laboratori di espressione creativa a orientamento terapeutico suddivisi in cicli mensili:

1. I SOGNI. UNA RISORSA TERAPEUTICA PER L’AUTOGUARIGIONE.

Nel laboratorio sui Sogni la dimensione onirica viene affrontata sia nell’aspetto psicologico, sia nell’aspetto culturale e spirituale. Sarà considerato primariamente il valore del sogno come risorsa individuale per l’autoconoscenza, l’espressione creativa e la risoluzione dei problemi. Le persone saranno guidate alla comprensione del linguaggio dei sogni attraverso l’uso di tecniche di drammatizzazione, di scrittura creativa e di tecniche grafiche.

2. TERAPIA CON LA POESIA (POETRY THERAPY). GLI ASPETTI TERAPEUTICI DELLA POESIA E DELLA SCRITTURA POETICA.

La finalità di questo laboratorio è favorire la conoscenza degli aspetti simbolici della poesia, intesa soprattutto come espressione profonda della psiche. Oltre al suo aspetto letterario la poesia mantiene sempre una connotazione esistenziale che riguarda tutti gli esseri umani e in tal modo diviene un mezzo di comunicazione transculturale e transpersonale. Sia per chi scrive che per chi legge le parole e le metafore poetiche costituiscono chiavi essenziali di accesso a quelle parti profonde e spesso sconosciute del mondo interiore che contengono emozioni e risorse personali. Il linguaggio poetico promuove l’immaginazione e fa scoprire nuove associazioni tra pensieri ed eventi, così come la comprensione del simbolismo poetico e dell’uso della metafora facilita un ampliamento della consapevolezza personale e del valore liberatorio della parola.

La sede di svolgimento sarà in Viale Felsina 52, Bologna presso il circolo Arci “Il Fossolo”.

L’avvio dei Laboratori sarà preceduto da una Conferenza introduttiva, a ingresso libero, sul tema:
“Lo sviluppo della creatività come risorsa terapeutica”
che si terrà Lunedì 11 ottobre 2010 alle ore 21,00 presso: Circolo “Il Fossolo”, Viale Felsina 52 – Bologna

Durante la Conferenza sarà illustrato e approfondito il tema della creatività personale nei suoi vari aspetti, e sarà spiegata l’importanza che essa riveste nel promuovere il benessere psicofisico e migliorare la qualità della vita. Sarà inoltre presentato in dettaglio il programma del ciclo di Laboratori.

INFORMAZIONI E ISCRIZIONI:

sint.azzurra@fastwebnet.it / Sito web: http://sintesiazzurra.wordpress.com

info@fossolo.it / Sito web: http://www.fossolo.it

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La Magnetoterapia ad alta frequenza per Artrosi ed Osteoporosi

Sicuramente la terapia farmacologica per patologie muscolo-scheletriche di tipo degenerativo/infiammatorio rimane quella elettiva e sicuramente la più efficace nelle forme dolorose di tipo acuto. Il problema rimane aperto nelle forme croniche, nelle terapie a lungo termine, dove il farmaco presenta delle limitazioni ben precise per impieghi prolungati. Certamente un paziente artrosico non può far uso di antiinfiammatori in modo continuativo: gli effetti collaterali su fegato,reni e stomaco potrebbero essere alquanto lesivi ed è per questo che è sempre necessario il controllo medico, evitando autoprescrizioni da parte del paziente. Tra le terapie alternative al farmaco antiinfiammatorio può rivelarsi utile l’impiego della Magnetoterapia ad alta frequenza e bassa intensità, sempre che le apparecchiature siano sempre certificate dal Ministero della Salute ed accompagnate da lavori clinici ben chiari e precisi nel tipo di indicazioni.

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