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Casa Alessandrini. Trasformazioni Ritrovamenti.

Dal 27 gennaio al 10 febbraio 2012, la Mavg (Mediateca di Architettura di Valle Giulia) presenta – presso la Galleria Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, www.embrice.com) – una mostra a cura di Emma Tagliacollo intitolata: Casa Alessandrini. Trasformazioni Ritrovamenti. La mostra si inserisce nel progetto, Five Roman Flats, che si propone di raccontare un pezzo di Roma, cinque storie attraverso cinque alloggi oggi borghesi;  in passato case di famiglie privilegiate o, come in questo caso, disagiate.

Casa Alessandrini si trova in uno stabile del 1880, all’ultimo piano del civico 168, in Via Alessandria. Una zona sorta sotto la spinta della speculazione fondiaria di compagnie private, durante la febbre edilizia nelle more tra il piano regolatore generale per Roma Capitale del 1873, mai tramutato in legge, e quello approvato del 1883.

E i dintorni richiamano al periodo immediatamente postunitario, a partire dalla breccia di Porta Pia, risarcita e imbalsamata nei marmi celebrativi di Roma Capitale con tanto di colonna celebrativa davanti, per finire alla toponomastica per lo più regia, piemontese e, come è giusto che sia, patriottica, con una forse più tarda estensione irredentista. Un itinerario che seguendo, naturalmente, Via Alessandria – l’asse viario sul quale si ammassano case intensive per gli impiegati dei vicini, e quasi coevi, Ministeri dei Trasporti e dei Lavori Pubblici – arriva ad un estremo, dove la strada, attraversando Piazza regina Margherita, si biforca in Via Zara e in Via delle Alpi; dall’altro capo invece sfocia in Piazza Alessandria, e da lì, per Via Bergamo e Via Ancona, si collega a Piazza Fiume, quindi a Corso d’Italia (dove, dietro le macchine parcheggiate, si nasconde la Breccia), e infine al Piazzale di Porta Pia.

L’appartamento, realizzato nelle sue forme attuali trent’anni fa, sfugge a una lettura banale quanto a una sofisticata. Memore delle alte, interminabili quinte della strada, che costringono il passo e l’occhio su un implacabile asse costruito, un visitatore saltuario si smarrisce nella minuta serie di compressioni e dilatazioni realizzata dal progettista, finché non si affaccia di nuovo, da una delle strettissime logge dell’attico, sulla palazzata. Il perché di tale smarrimento non risiede solo nella bizzarria ritmica degli spazi abitativi: ma risiede nello iato fra questi e la storia urbana raccontata dall’intorno.

Le ragioni del progetto di Casa Alessandrini, si muovono nella tensione tra l’estetica e la praticità dei diversi elementi che tendono verso un’unica immagine di razionalità e pulizia. È in questo contesto che il legno domina, fedele alla sua natura di materiale non artificiale, usato allo stato grezzo, senza dunque alcuna coloratura. Ogni stanza può essere identificata dal progetto che contiene: lo spazio del salotto con l’armadio-libreria che racchiude e regolarizza la geometria dell’ambiente; la camera da letto con il letto-zattera e il piccolo lavandino colorato, moderno che vuole richiamare un retaggio antico; la cucina con fuochi sospesi, angoli curvi e l’idea di un tavolo-isola per la convivialità.

L’esterno, come abbiamo detto, rimane ottocentesco. Fuori di questa in fondo rassicurante storia patria che il quartiere testimonia sin dalla toponomastica, nei centoquarantuno anni passati, è successo di tutto nel mondo. Fino al Pacific Trash Vortex, il cumulo di plastiche non degradabili grande come la Spagna o più, che saltuariamente scarica sulla costa delle Haway colline di rifiuti alte metri, spinto dalle correnti. Ed è fuori dal quartiere, tra le spiagge di mezzo mondo, che Alessandrini ha raccolto, per vent’anni, alcuni frammenti di quei cento milioni di metri cubi di plastica del Pacifico e ne ha fatto una piccola collezione estetica che conserva, dentro, in casa. Anticipa forse così, il destino di quei cento milioni di famiglie che, se si volesse oggi far scomparire il vortice di plastica, dovrebbero mettersene in casa un metro cubo. Se i pezzetti di plastica di Alessandrini sublimano un dolore, l’estetica della profezia di Marcuse prenderà forse vita come sublimazione del riconoscimento attonito che per le future generazioni non ci sarà più nulla (o troppo) da fare.

Fotografie di Humberto Nicoletti Serra. Video di Carlo Tomassi.

Il pannello della cucina di Casa Alessandrini.
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Presso la Galleria Embrice di Roma, si apre la mostra: 1911-2011: CENTENARIO DI UNA CASA A ROMA. (FRF) FIVE ROMAN FLATS. UN PRIMO CAMPIONE.

la MAVG Mediateca di Architettura di Valle Giulia, dell’Università degli Studi La Sapienza,

presenta

1911-2011: CENTENARIO DI UNA CASA A ROMA. (FRF) FIVE ROMAN FLATS. UN PRIMO CAMPIONE.

A cura di Amedeo Fago.

Con il patrocinio della Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura.

Inaugurazione: venerdì 13 maggio 2011, dalle ore 18.00
La mostra rimarrà aperta da venerdì 13 maggio a sabato 21 maggio 2011.
Orario: 18.00 – 20.00. Chiuso la domenica.

Dal 13 al 21 maggio 2011, la Mavg (Mediateca di Architettura di Valle Giulia) con il patrocinio della Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura, presenta – presso la Galleria Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, Tel. 06.64521396 www.embrice.com) – una mostra a cura di Amedeo Fago intitolata, 1911-2011 centenario di una casa a Roma.
Si apre così un nuovo progetto, Five Roman Flats, di cui la mostra che Embrice dedicata alla casa che Carlo Mazza costruì per sé e i suoi nel 1911, rappresenta un primo campione. Si tratta di raccontare un pezzo di Roma. Cinque storie attraverso cinque alloggi borghesi, appartenuti a soggetti con ruoli sociali di rilievo della Roma che va dal periodo liberale a quello fascista, e che hanno lasciato alle generazioni successive patrimoni immobiliari frammentati, fra più grounds e in più edifici. Contestualmente, la ricerca sui singoli alloggi, prevede un lavoro affidato a diverse professionalità la cui unica tappa obbligata è la presenza di una breve presentazione scritta affidata ai gestori attuali. Seguono la preparazione di una mostra presso Embrice e l’elaborazione di un testo teatrale. Tutte le fasi, dalla visita del flat alla prima teatrale, vengono riprese per confluire in un documento filmato. La combinazione dei diversi passaggi, in presenza di cinque soggetti materiali, darà luogo a centinaia di possibili varianti.
Il percorso complessivo è stato strutturato in maniera articolata per permettere, al di là dell’analisi storica dal punto di vista architettonico e urbanistico, di narrare la storia di un luogo cercando di far emergere quelle memorie individuali e collettive che in esso sono depositate.
La casa Mazza, oggi Buontempo Danusso, è collocata sulle pendici di Monte Mario che sovrastano a sud il tratto iniziale, in salita, della Via Trionfale; l’area, totalmente agreste, era entrata già dal 1909 nell’interesse della famiglia, costretta dagli espropri a lasciare la prima residenza nell’area delle Terme di Caracalla. L’aspetto esteriore molto semplice o modesto, la denota come un edificio di quello che era il margine periferico della zona nord-ovest, la casa non mostra un carattere di rilievo dal punto di vista architettonico, né ci sono tracce del disegno dal quale furono tratti i piani di costruzione, che molto probabilmente è stato tratto da uno dei numerosi manuali apparsi a stampa in Italia a partire dal 1890.
L’isolamento costituisce l’elemento di risalto di questa abitazione a tre piani, che è separata dal contesto edilizio contiguo, ed è circondata e schermata da un ampio spazio verde sottostante Villa Miani, nonostante l’area sia stata inserita dal 1931 nel PRG di Roma. Ed è interessante notare come la singolarità della casa, risieda nel suo insistere in un luogo appena sfiorato dai diversi piani regolatori di Roma Capitale, redatti a partire dal 1873. Dal primo, successivo di soli tre anni alla Breccia di Porta Pia, dell’ingegnere Alessandro Viviani, passando per quello redatto da Rodolfo Bonfiglietti nel 1906, e quello di Edmondo Sanjust di Teulada del 1908, per finire al Prg del 1931.
Organizzazione: Carlo Severati, Vincenzo Nizza, Gianluca De Laurentiis, Daniele Forlani.
Riprese: Massimo Casavola, Alberto Michetti, Carlo Tomassi.
Montaggio: Carlo Tomassi, Amedeo Fago.
Fotocolor: Humberto Nicoletti Serra.
3D e Animazione: Jacopo Pomante.
Testi: Amedeo Fago, Luciana Buontempo, Massimo Casavola, Giuseppe Miano.
Modelli: Umberto Buontempo.
Ricerche: Carlo Tomassi.
Allestimento: Massimo Casavola,Vittorio Giusepponi, Carlo Severati.

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