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L’ESPOSIZIONE DEL WERKBUND A COLONIA, MAGGIO-AGOSTO 1914. PRODUZIONE DI PACE IN TEMPO DI GUERRA.

Il 22 ottobre 2014, alle ore 18, si inaugura, presso la Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura (Roma, via Gramsci 53, Info: Tel. 06.49919126, e-mail: [email protected]), la mostra, L’Esposizione del Werkbund a Colonia, Maggio Agosto 1914. Produzione di Pace in Tempo di Guerra. La mostra, a cura di Alberto Giuliani, rimarrà aperta dal 23 ottobre al 28 novembre, dal lunedì al venerdì dalle 09.00 alle 19.00; ingresso libero.

Questa mostra, organizzata nell’ambito delle celebrazioni sull’ Esposizione del Werkbund tedesco nella città di Colonia, ci offre la possibilità di riflettere in maniera approfondita, a cento anni di distanza, su un evento che possiamo considerare epocale nel quadro dello sviluppo delle Arti Applicate e dell’Architettura del Novecento europeo e mondiale. Il 1914 è segnato dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale che rappresenta uno spartiacque nella storia contemporanea e che coincide, a livello culturale, con un momento di grande crisi. Le nuove istanze di rinnovamento artistico convivono ancora con una tradizione – spesso recente e gloriosa come nel caso della Secessione viennese – la cui influenza è ancora viva e presente negli artisti e nella realtà produttiva. Nel caso specifico la natura a tratti contraddittoria dell’esposizione stessa, caratterizzata dalla presenza di alcuni dei personaggi che, a vario titolo, saranno i protagonisti del rinnovamento del linguaggio architettonico e del design negli anni immediatamente successivi, rappresenta in modo particolarmente evidente il travaglio attraverso il quale si cominciavano a prefigurare gli orizzonti futuri.

La presenza all’Esposizione di Colonia di personalità note come Hoffmann,  Van de Velde,  Behrens, Gropius e Taut, e di altre sin qui trascurate, ci introduce in una temperie all’interno della quale il dibattito sullo stile e sulla forma assumeva i connotati di uno scontro tra mondi ormai lontani e non più conciliabili: proprio le visioni ormai estenuate della grande tradizione austriaca e tedesca avevano posto le basi, in ambito mitteleuropeo, per quel corto circuito che prelude all’avvento del Movimento Moderno. Il serrato confronto tra gli operatori che vedevano nel rinnovamento della produzione artigianale attraverso il diretto apporto dell’arte e dell’industria l’unica strada plausibile per permettere una diffusione capillare del prodotto di qualità all’interno della società, era percorso da tensioni che nell’Esposizione di Colonia ebbero uno dei momenti di maggiore espressione. Le tesi propugnate da Hermann Muthesius sulla necessità di standardizzare il prodotto artistico e le rivendicazioni di Henry Van de Velde sull’unicità non replicabile del gesto creativo ne sono la testimonianza più nota ed evidente.

In realtà, come la mostra cerca di illustrare, le diverse posizioni teoriche spesso non coincidevano con una coerenza progettuale che ne costituisse la concreta dimostrazione. Grandi personalità come lo stesso Muthesius, tra i fondatori del Werkbund tedesco nel 1907,  o come Peter Behrens – che nel 1909 aveva realizzato gli innovativi e fondamentali edifici dell’AEG di Berlino – di fronte al tema leggero dei padiglioni dell’Esposizione, decidono di non andare oltre ad architetture di circostanza, improntate a una depurata  tradizione tardo ottocentesca – Muthesius nella Casa del Colore (Farbenschau) – o a un austero classicismo – Behrens nel Padiglione delle Feste (Festhalle).

Inaugurata il 16 Maggio 1914 in un clima di festosa euforia, l’Esposizione, che era previsto dovesse proseguire fino all’Ottobre successivo, viene drammaticamente e repentinamente chiusa ai primi di Agosto a seguito della dichiarazione di guerra della Germania alla Francia: in brevissimo tempo vengono smantellati tutti gli allestimenti e demoliti i padiglioni, creando una lunga catena di fallimenti e disastri finanziari tra le industrie e le ditte produttrici che avevano sponsorizzato o investito ingenti capitali nell’evento. Il primo ad essere demolito fu il Padiglione del Vetro (Glashaus) di Bruno Taut, forse proprio a causa delle frasi che correvano nel fregio perimetrale esterno non propriamente consone ad un momento nel quale il confronto tra i popoli lasciava il posto alle ostilità militari: questo edificio insieme ad alcuni elementi della Fabbrica Modello di Walter Gropius (Musterfabrik), diventerà tra le icone più note e celebrate dell’Architettura del Novecento.

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ARTISTI D’AVANGUARDIA ALL’ESPOSIZIONE DEL WERKBUND: APPROFONDIMENTI E INTERPRETAZIONI 2014.

Nell’ambito delle celebrazioni del centenario dell’esposizione del Werkbund tedesco a Colonia,  il 24 ottobre 2014, alle ore 18, si inaugura, presso la Galleria Embrice (Roma, via delle Sette Chiese 78, Info: Tel. 06.64521396, e-mail: [email protected]), la mostra, Artisti d’Avanguardia all’Esposizione del Werkbund: Approfondimenti e interpretazioni 2014. La mostra, a cura di Vittorio Giusepponi e Paolo Balmas, rimarrà aperta dal 25 ottobre al 6 novembre, dal lunedì al sabato dalle 18.00 alle 20.00; ingresso libero.

Colonia 1914: per le strade della città passeggiano rare automobili. Nuovi armamenti, aerei e navi compaiono sulla scena; motrici e carrozze di treno, così come le nuove Schlafkabinen sono esposte nella Verkehrshalle della Werkbundausstellung: la grande Fiera di Maggio. Una realtà, questa, più avanzata rispetto allo Jugendstil, alla Sezession,  alla Künstlerkolonie e alle Wiener Werkstätten da cui il Werkbund parte proponendo una riforma del gusto. Nella sala principale della mostra sono addirittura esposti oggetti e figurazioni giudicate sconvenienti dalla maggior parte dei critici.

Sono opere di Erich Heckel e Karl Schmidt-Rottluff (che il 7 Giugno del 1905 a Dresda, luogo sacro dell’artigianato artistico, avevano fondato, insieme a Ernst Ludwig Kirchner e Fritz Bleyl, Die Brücke), Willi Baumeister, Hermann Stenner e Oskar Schlemmer (allievi di Hölzer a Stoccarda). Con loro Milly Steger, Moissey Kogan, Cesar Klein, Gerardt Marcks, Herrmann Gerson.

La mostra presenta i risultati del laboratorio d’arte ‘B’ “Giovani artisti di avanguardia al Werkbund di Colonia del 1914”, organizzato in occasione del centenario della Mostra del Werkbund di Colonia del 1914. Vi sono esposte le repliche in varie scale e i materiali di alcune di queste opere, ripercorrendone le modalità di esecuzione.

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L’ESPOSIZIONE DEL WERKBUND A COLONIA, MAGGIO-AGOSTO 1914. PRODUZIONE DI PACE IN TEMPO DI GUERRA. MOSTRA DOCUMENTARIA D’ARCHITETTURA.

Il 22 ottobre 2014, alle ore 18, si inaugura, presso la Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura (Roma, via Gramsci 53, Info: Tel. 06.49919126, e-mail: [email protected]), la mostra, L’Esposizione del Werkbund a Colonia, Maggio Agosto 1914. Produzione di Pace in Tempo di Guerra. La mostra, a cura di Alberto Giuliani, rimarrà aperta dal 23 ottobre al 28 novembre, dal lunedì al venerdì dalle 09.00 alle 19.00; ingresso libero.

Questa mostra, organizzata nell’ambito delle celebrazioni sull’ Esposizione del Werkbund tedesco nella città di Colonia, ci offre la possibilità di riflettere in maniera approfondita, a cento anni di distanza, su un evento che possiamo considerare epocale nel quadro dello sviluppo delle Arti Applicate e dell’Architettura del Novecento europeo e mondiale. Il 1914 è segnato dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale che rappresenta uno spartiacque nella storia contemporanea e che coincide, a livello culturale, con un momento di grande crisi. Le nuove istanze di rinnovamento artistico convivono ancora con una tradizione – spesso recente e gloriosa come nel caso della Secessione viennese – la cui influenza è ancora viva e presente negli artisti e nella realtà produttiva. Nel caso specifico la natura a tratti contraddittoria dell’esposizione stessa, caratterizzata dalla presenza di alcuni dei personaggi che, a vario titolo, saranno i protagonisti del rinnovamento del linguaggio architettonico e del design negli anni immediatamente successivi, rappresenta in modo particolarmente evidente il travaglio attraverso il quale si cominciavano a prefigurare gli orizzonti futuri.

La presenza all’Esposizione di Colonia di personalità note come Hoffmann,  Van de Velde,  Behrens, Gropius e Taut, e di altre sin qui trascurate, ci introduce in una temperie all’interno della quale il dibattito sullo stile e sulla forma assumeva i connotati di uno scontro tra mondi ormai lontani e non più conciliabili: proprio le visioni ormai estenuate della grande tradizione austriaca e tedesca avevano posto le basi, in ambito mitteleuropeo, per quel corto circuito che prelude all’avvento del Movimento Moderno. Il serrato confronto tra gli operatori che vedevano nel rinnovamento della produzione artigianale attraverso il diretto apporto dell’arte e dell’industria l’unica strada plausibile per permettere una diffusione capillare del prodotto di qualità all’interno della società, era percorso da tensioni che nell’Esposizione di Colonia ebbero uno dei momenti di maggiore espressione. Le tesi propugnate da Hermann Muthesius sulla necessità di standardizzare il prodotto artistico e le rivendicazioni di Henry Van de Velde sull’unicità non replicabile del gesto creativo ne sono la testimonianza più nota ed evidente.

In realtà, come la mostra cerca di illustrare, le diverse posizioni teoriche spesso non coincidevano con una coerenza progettuale che ne costituisse la concreta dimostrazione. Grandi personalità come lo stesso Muthesius, tra i fondatori del Werkbund tedesco nel 1907,  o come Peter Behrens – che nel 1909 aveva realizzato gli innovativi e fondamentali edifici dell’AEG di Berlino – di fronte al tema leggero dei padiglioni dell’Esposizione, decidono di non andare oltre ad architetture di circostanza, improntate a una depurata  tradizione tardo ottocentesca – Muthesius nella Casa del Colore (Farbenschau) – o a un austero classicismo – Behrens nel Padiglione delle Feste (Festhalle).

Inaugurata il 16 Maggio 1914 in un clima di festosa euforia, l’Esposizione, che era previsto dovesse proseguire fino all’Ottobre successivo, viene drammaticamente e repentinamente chiusa ai primi di Agosto a seguito della dichiarazione di guerra della Germania alla Francia: in brevissimo tempo vengono smantellati tutti gli allestimenti e demoliti i padiglioni, creando una lunga catena di fallimenti e disastri finanziari tra le industrie e le ditte produttrici che avevano sponsorizzato o investito ingenti capitali nell’evento. Il primo ad essere demolito fu il Padiglione del Vetro (Glashaus) di Bruno Taut, forse proprio a causa delle frasi che correvano nel fregio perimetrale esterno non propriamente consone ad un momento nel quale il confronto tra i popoli lasciava il posto alle ostilità militari: questo edificio insieme ad alcuni elementi della Fabbrica Modello di Walter Gropius (Musterfabrik), diventerà tra le icone più note e celebrate dell’Architettura del Novecento.

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Atlante di Zoologia degli Animali Incogniti e Rari. Disegni di Giorgio Bertolini

Il 7 maggio 2014, presso la Galleria Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78) si inaugura la mostra Atlante di Zoologia degli Animali Incogniti e Rari. Disegni di Giorgio Bertolini, a cura di Carlo Severati.

Il ciclo di lavori presenti in questa mostra ha l’immediata capacità di proiettarci in differenti mondi: anzitutto in quello del disegno e delle sue infinite declinazioni dove ogni cosa, avendone le capacità, è permessa, e in molti altri apparentemente assai lontani tra di loro. Nel compiere questa operazione Giorgio Bertolini si serve di tutto ciò che ruota  intorno al concetto di citazione, inteso come viaggio metalinguistico attraverso le potenzialità della rappresentazione, della sua storia e di storie parallele o affini a essa. In questi disegni a china su carta a essere evocato è il mondo dell’incisione, per secoli il mezzo che ha consentito la diffusione su larga scala delle immagini attraverso la loro riproduzione in serie: paesaggi, vedute, scene mitologiche o di storia antica, illustrazione di testi e  spedizioni scientifiche. Si tratta di un mondo nel quale spesso coesistevano due distinte figure, quella dell’inventore che lavora con la fantasia e la cultura visiva e quella dell’incisore che traspone il disegno, attraverso la sua abilità manuale, sulla lastra. Nel caso di Bertolini le due figure coincidono o meglio potrebbero probabilmente coincidere se non fosse che l’artista prepara il lavoro per l’incisore ma non lo fa realizzare, si appaga del progetto, dell’invenzione da se medesimo dispiegata e organizzata con estrema cura senza passare alla fase calcografica, alla stampa delle tavole. Il motivo è forse da ricercare nel fatto che si tratta, come recita l’elaborato frontespizio, delle tavole di un Atlante di zoologia illustrato, frutto delle scoperte scientifiche di un naturalista che ha molto viaggiato fino ad esplorare terre lontanissime e remote e che ha portato con sé, come spesso accadeva, un artista al seguito per riportare diligentemente sulla carta le sue mirabolanti scoperte. Giorgio Bertolini è appunto l’artista al seguito – questa è l’inventio, l’assunto di partenza dal quale egli muove per la sua trascinante e raffinatissima parata di creazioni e calembour iconografici, bozze di tavole che non verranno mai incise. E naturalmente, come spesso accade, il disegnatore non possiede uno  sguardo rigorosamente oggettivo come vorrebbe il committente, e quindi, fatalmente, all’interno delle tavole scientifiche riaffiorano figure e temi emergenti dalla sua storia e dai suoi studi – non citazioni testuali ma immagini prodotte mediante una sorta di insorgenza spontanea, frutto di automatismi della memoria. Tutto ciò accade quindi senza la mediazione di un programma iconografico preordinato ma con la leggerezza di chi ha negli occhi e nella mente, da sempre, le immagini dell’arte che ha amato. Il viaggio grafico diventa così un modo per omaggiare, tra molte righe e in maniera assolutamente autoironica, anche i propri numi tutelari: darwiniani varani alati? Si, ma parenti del drago sfortunato che l’eroe cristiano va puntualmente ad uccidere per salvare la fanciulla indifesa (Paolo Uccello); oppure, tra gli animali che popolano la bottega del pittore, il coniglio sotto la scala e il gatto mammone (Dürer e  Lorenzo Lotto nell’Annunciazione di Recanati). Gli elefantini della tavola XXI arrampicati perigliosamente sull’albero evocano la figura del piccolo Annone, donato dal re di Portogallo a Leone X nel 1514 e raffigurato nei disegni di vari artisti (Raffaello, Giulio Romano). Anche nella tavola XVII dove compare il  missionario (Matteo Ricci?) davanti alle anatre con tre zampe, il soldato di scorta sembra uscire dal seguito dei Magi dell’Adorazione degli Uffizi (Mantegna). Si tratta di un viaggio che Giorgio Bertolini compie nel mondo incantato delle sue passioni, l’arte ma anche la musica, come nelle due tavole (la III contenuta solo nel libro) dedicate alle travagliate esibizioni del pianista-esecutore che, con fortune alterne, cerca di irretire il serpente–compositore: nella prima di esse non c’è tastiera e lo spartito è quasi vuoto – pezzo tremendamente difficile da suonare o, appunto, da non suonare (Cage). Alla fine è come se Bertolini nel suo viaggio giocasse a depistarci tutti lasciandoci però la possibilità, come per Pollicino, di ritrovare la strada del ritorno attraverso le tracce lasciate dagli infiniti mondi della natura e dell’arte.

Alberto Giuliani   

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RIFLESSI NEL TEATRO DELL’ASSURDO. Happening del duo Di Marco Palermo.

La mostra che Embrice dedica a Cina Conforto, Architettura nel teatro dell’assurdo, viene prorogata fino a mercoledì 12 giugno 2012.

La giornata di chiusura si intreccia con Riflessi, un happening musicale del duo Di Marco Palermo che si terrà, a partire dalle 20.00, nell’area verde del lotto 10 di Garbatella, prospiciente alla Galleria Embrice, al civico 27 di Via delle Sette Chiese.
Mario Di Marco (clarinetto) e Roberto Palermo (fisarmonica), creano i loro temi muovendosi con la maniacale e orgogliosa attenzione di raffinati artigiani. Il succo stesso della loro musica sta nella commovente e divertita presunzione della propria capacità di fare; nell’esibizione distaccata, e sofferta, dello sforzo creativo. Non è il risultato che conta, ma il processo. La musica di Palermo e Di Marco si vede. La fisarmonica forma accuratamente superfici plastiche che, sole, sarebbero sdolcinate; ma il clarinetto le incide instancabilmente rendendole più ruvide a colpi secchi di bulino; poi è il clarino che lascia pennellate sottili che la fisarmonica interrompe ritmicamente. Il risultato è quello di una fluida massa plastica che riempie vuoti creandosi lo spazio entro il quale avanza, solidi sonori che vanno osservati da vicino, nella minuziosa perizia dell’esecuzione.
L’attenzione di chi assiste a questo proliferare di volumi e superfici, è presa soprattutto dall’esibizione della struttura musicale e dello stesso processo creativo. I lavori artigianali di Palermo e Di Marco nascono infatti in solitaria, nella bottega personale di uno dei due. Prendono però la loro vita di pezzi a tutto tondo quando vengono messi a disposizione dell’altro: è allora che finalmente si confrontano, spalancando i battenti del proprio studio, con la tradizione che pensavano di aver messo alla porta, con strane preesistenze che vanno da Richard Gagliano al tema di Pinocchio di Lorenzo Carpi. Riconoscendone le origini, i motivi si liberano: la struttura è completamente esposta – i due sembrano anzi divertirsi increduli della loro stessa ingenuità – ma nel frattempo è nata una nuova musica.

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ARCHITETTURA NEL TEATRO DELL’ASSURDO. CINA CONFORTO: TEORIE, ARCHITETTURE E RESTAURI 1966-2002

Giovedì 16 maggio 2013, presso la Galleria Embrice, si inaugura una mostra dedicata all’attività dell’architetto Maria Letizia (Cina) Conforto. In esposizione oltre quarant’anni di lavoro. Il percorso si snoda a partire dal periodo della formazione con un progetto per la metropoli contemporanea, Pattern metamorfico per la città. Continua attraverso le prime commissioni, quali il progetto del negozio Triade a Roma del 1969. Attraversa infine il suo impegno istituzionale sul patrimonio architettonico internazionale, come progettista e direttore dei lavori presso le Soprintendenze di Pisa e Roma: dagli interventi di scavo e restauro delle aree archeologiche della Valle del Colosseo e delle Terme di Caracalla, al progetto quadro del nuovo settore del Museo Nazionale Romano negli edifici dell’area della Crypta Balbi. Ed è proprio la sua storia professionale, che la costringe a confrontarsi con l’elemento temporale, a plasmare la sua idea di architettura – non a caso in mostra figura l’Eone fantastico di una balena verde – confronto che porta la sua riflessione ben oltre l’Architettura stessa.
L’architettura, letta nella sua storia e nel suo evolversi, degradarsi ed essere restaurata, costituisce per Cina Conforto testimonianza dei più generali temi della metamorfosi e della dialettica fra infinito, indefinito e finito: “il disegno e lo stesso manufatto si trasformano nel tempo e nell’uso, per il decadere dei sistemi componenti, per il confronto col contesto, per le variazioni della natura in un continuo processo di metamorfosi di luci, ombre, riflessi, per il moto degli elementi, per la presenza dell’uomo”. E ancora: “in termini matematici anche l’immensamente grande corrisponde a un sistema finito, ma spesso si attribuisce il concetto di infinito all’indefinito in quanto senza limiti. Ma se solo il nulla può definirsi realmente infinito in quanto senza limiti, nello spazio il limite che definisce l’infinito può essere superato dall’ immaginazione che diviene così un possibile strumento non solo di progetto, ma anche di indagine e di conoscenza: attribuisce il concetto di infinito all’indefinito”.
L’operazione di progetto interposta fra materia e forma, nel restauro e negli allestimenti permanenti, come nella copertura dell’Arco di Costantino o alla Crypta Balbi, attinge alla stessa cosmogonia; i suoi interventi, dal dettaglio all’insieme, sono caso per caso nuovi, supportati dalla fantasia e non riconoscibili come citazioni di esempi. Dettagli costruttivi nei quali sempre la qualità architettonica gareggia con l’elevatissimo interesse del bene culturale. Una personalità ironicamente attonita, come appunto in un teatro dell’assurdo, di fronte alla scarsità dei risultati che la mancanza, e il cattivo uso di risorse e cultura consentono di ottenere per il miglioramento della qualità della vita, rispetto alle energie profuse nella ricerca e nel progetto.
G.L.D.L.
Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

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LE XILOGRAFIE CINESI DEI CENTO FIORI (CINA 1959). (CITTÀ, LAVORO, VECCHIO E NUOVO PAESAGGIO). Schegge dal museo più veloce del mondo

In mostra da Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, Tel. 06.64521396, www.embrice.com), dal 14 dicembre 2012 al 14 gennaio 2013, Le xilografie cinesi dei cento fiori (Cina 1959) (Città, lavoro, vecchio e nuovo paesaggio). Schegge dal museo più veloce del mondo, a cura di Carlo Laurenti e Maria Eleonora Caturegli.

Quando Mao lanciò l’effimero ‘movimento dei Cento fiori’ (“Che cento fiori sboccino, che cento scuole contendano” ne era lo slogan) gli artisti, gli scrittori, i cineasti furono invitati a sentirsi liberi di uscire dai rigidi canoni del realismo socialista statuiti nella storica Conferenza di Yen’an.
La valanga di critiche al partito portò a una brusca chiusura dell’improvvisa liberalità, a condanne e le opere vennero ritirate.
Esse riapparvero nel disgelo post rivoluzione culturale, dopo la caduta della Banda dei Quattro (Yao Wenyan, Chang Chunqiao, Jiang Qing e Wang Gongwen) nel 1977, ma sparirono presto, inosservate. Solo chi si trovava a Pechino e Shanghai poté procurarsene degli esemplari.
I negozi del Teatro esponevano allora tutti quegli oggetti che durante la Rivoluzione culturale vennero confiscati come piccolo borghesi e, di regola, bruciati. Erano considerati paccottiglia inutile passibile peraltro di recrudescenze a venire.
I privati se ne sbarazzavano con sollievo. i diplomatici accumularono allora mobilia preziosa mentre gli impecuniosi studenti si limitarono a frammenti più a buon mercato che oggi vanno a ruba nella Cina del dopo Olimpiadi, che esibisce stadi e grattacieli firmati da archi-star e treni super veloci e in cui futuri astronauti già bardati rilasciano interviste sui maxi-schermi al plasma installati in ogni casa all’ennesimo piano della miriade di condomini nuovi di zecca all’interno dei sei Raccordi Anulari della megalopoli Pechino. Al centro della quale gli antichi quartieri a un piano con i caratteristici vicoli (hutong) svaniscono liofilizzati dal vertiginoso prezzo al metro quadro, un altoforno finanziario cui soccombe l’identità collettiva.
E anche se nelle librerie faraoniche a cinque piani (Shucheng: città dei libri) vengono ammannite edizioni tradotte di tutti i classici della cultura cinese, completi di traduzione in cinese moderno nonché di audio-libro alla bisogna – divenute incongrue leccornie in questo paesaggio – si tratta per lo più di feticci simbolici, ancoraggi casalinghi al fantasma identitario la cui mancanza si fa sentire sempre più acuta.
Immani mercati delle Pulci sciorinano in tutte le città frammenti del passato recente che l’accelerazione scandita inizialmente da quelle frenetiche braccine di impuberi Guardie Rosse, come lancette dei secondi hanno dato il Tempo, facendo sì che l’Altroieri sia divenuto Pleistocene.
Il grande ritardo e l’embargo semi-secolare hanno agito da allora come un’immensa fionda e il tempo perduto è stato recuperato in un baleno, in questo riassetto ovvio, inevitabile, in questo reinserimento di un continente nell’alveo del consorzio planetario si sono perduti i connotati minuti di una cultura infinitamente complessa, strutturatissima, frattale. Una cultura deflagrata in mille direzioni, che si sbriciola sotto gli occhi increduli di tutti i tentativi in atto di molti artisti, come Feng Mengbo, di conservare una traccia di questo mondo che evapora in un baleno.

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Uemon Ikeda: Post- strutture: linee, fili, labirinti di Uemon Ikeda

EMBRICE          エンブリチェ

arti e mestiere          美術工房ギャラリー

UEMON IKEDA             池田うえもん

Post- strutture: linee, fili, labirinti di Uemon Ikeda

「ポスト・構造、池田うえもんの線/糸と迷路」展

a cura di Simonetta Lux  e Carlo Severati 

キュレーション:シモネッタ・ルックス、カルロ・セヴェラーティ

con un filmato di Carlo Tomassi “L’infanzia di Tatsuo”

映画短編「たつおの幼年時代」カルロ・トマッシ編集

un’intervista a Ikeda a cura di Emma Tagliacollo ビデオ・インタビュー

「池田うえもん」キュレーション:エッンマ・タリアコッロ

8 23 Giugno 2012 2012年6月8日~23日

inaugurazione: venerdì 8 giugno ore 18,00 オープニング:6月8日金曜日18時

EMBRICE arti e mestiere

via delle Sette Chiese 78 Roma

tel.e fax: +39 06 64521396

www.embrice.com

ufficio stampa  Studio Marta Bianchi 338 563327

Orario d’apertura dal lunedì al sabato: 18,00 – 20,00

 

池田うえもん [池田達夫、1952兵庫県神戸市生まれ]は、

今回の個展の機会をもって、ビジュアル・スペースをテーマに考えを深める。

過去にも発表した方法で、デッサンから、実際にエンブリチェ画廊の三次元空間に赤い糸、毛糸/絹の糸によって実現する。

野外で撮影されたカルロ・トマッシの短編「たつおの幼年時代」が画廊で映写される

[オープニング]二次元の世界のデッサン、赤い糸による迷路の中にデッサンとスクリーン映像が折り重なる。観察者は、三つのパーフォーマー・状況の中で、リアル日常性の世界、

デッサンから街へ、また両方を打ち消すかのように「作者とその文脈の一致」を池田うえもんは、運命付けるかのように提起している。

池田は、自己とその現実空間 [展示された彼の図面、ボルゲーゼ公園の池] 彼の測量の「単位」は全く精神的なものであり、日本やイタリアでの作法の日常性の次元を基にし、同時に無視しながら、新たに彼の寡黙性に注意を向ける。あたかも彼の作品には、儀式的な作法との関連が継続的に必要であるかのようにである。彼のアポリアのみが、彼の継続した不安定性を検証している。

変化と矛盾は あらゆる解読作業を困難にし、かつ疑惑を抱かせる。それは、この世界における偶然を基にした「出会い」の持つ基礎的な虚弱性に負っている。池田うえもんは、彼の糸を人間の高さにローマのボルゲーゼの池の公園に設けた。

ある不注意な通行人が、躓いた。あの細い毛糸/絹糸が与える躓きである。

その通行人は自分は詩人で俳句の句集の本を出版したばかりだと告げた。

C.S.

 

協賛・後援

日本文化会館、日伊基金、ローマ国立大学建築学科ヴィッラ・ジュリア、マルタ・ビアンキ美術工房―デザイン・コムニケーション。

 

In this context, Tatsuo Uemon Ikeda (Kobe, Hyogo 1952) delves into the issue of virtual space by means of tools he already experienced in the past- from drawings to three- dimensional use of wool–silk red threads of different thickness.

As you will see in this exhibition, the outdoor location shots -leading to Carlo Tomassi’s short The Tatsuo Childhood -integrate the two-dimensional representation of his trait and the organization of the small inner labyrinth along which drawings and projection screens are displayed.

The observer is forced to share three conditions-actions which, even facing the universe of daily gestures, in the real space, from the desk to the city, almost cancel each other, suggesting a sort of indifference of the author to the contexts.

Ikeda interposes a personal and totally mental unit of measurement between himself and real space (his desk, the gallery, the Lake Garden in Villa Borghese).

While nourishing himself with the dimensions and the atmospheres of the shared rituals- both Japanese and Italian-at the same time, he laughs at them, focusing on his laconicism- as if his work continuously needs some ritual contamination in order to express his persisting instability.

Variety and contradiction that make every effort in decoding difficult and questionable, since they impose themselves with their substantial fragility on a chance encounter with the world.

When Ikeda laid his thread at head hight, in the Lake Garden in Villa Borghese, an absent-minded passerby tripped over it: the passerby, as turned out  later, was a poet who had just published an haiku book.

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Post-strutture: linee, fili, labirinti di Tatsuo Uemon Ikeda

Presso la Galleria Embrice (Roma, via delle Sette Chiese, 78) venerdì 8 giugno 2012 si inaugura la personale di Uemon Ikeda, “Post-strutture: linee, fili, labirinti”, a cura di Simonetta Lux e Carlo Severati.

 

Saranno proiettati i filmati, “L’infanzia di Tatsuo”, corto di Carlo Tomassi; “Intervista a Ikeda”  di Emma Tagliacollo.

 

 

Tatsuo Uemon Ikeda (Kobe, Hyogo 1952) approfondisce in questa occasione il tema dello spazio virtuale, con mezzi già sperimentati in passato, che vanno dal disegno all’uso tridimensionale di fili rossi di lana-seta di diverso spessore.

Le riprese effettuate in esterno, che hanno portato alla realizzazione del corto di Carlo Tomassi: L’infanzia di Tatsuo, proiettato in Galleria, integrano, in questa mostra (nella serrata contiguità della Galleria) la rappresentazione bidimensionale del segno e l’organizzazione del piccolo labirinto interno, lungo il quale si dispongono i disegni e gli schermi con proiezioni.

L’osservatore è obbligato a condividere  tre  situazioni-azioni che, pur affrontando l’universo dei gesti quotidiani, nello spazio reale, dal tavolino alla città, tuttavia quasi si elidono a vicenda, proponendo una sorta di indifferenza dell’autore ai contesti.

Ikeda interpone fra sé e lo spazio reale (del suo tavolo, della Galleria, del Giardino del Lago a Villa Borghese) una sua unità di misura totalmente mentale. Mentre si alimenta di dimensioni e di atmosfere vissute nei rituali che ha condiviso, giapponesi e italiani, al tempo stesso le irride, rimettendo al centro dell’attenzione, attraverso i mezzi usati, la sua laconicità. E’ come se il suo lavoro sia perennemente bisognoso di piccole contaminazioni rituali, aporie che gli consentono di esprimere la sua perdurante instabilità.

Varietà e contraddizione che rendono difficile e mettono in dubbio ogni tentativo di decifrazione, imponendosi, nella loro sostanziale fragilità, ad un incontro occasionale col mondo.

Mentre Ikeda dispone il suo filo ad altezza d’uomo al Giardino del Lago, nella Villa Borghese a Roma, un passante distratto inciampa: quel tipo di inciampo che può dare un sottile filo di lana e seta.

Quel passante si rivelerà poi per un poeta che ha appena pubblicato un libro di haiku.

 

La mostra rimane aperta dall’8 al 23 giugno 2012. Dal lunedì al sabato, dalle 18.00 alle 20.00.

Con il patrocinio di:

Istituto Giapponese di Cultura.

MAVG Mediateca di Architettura di Valle Giulia, dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma.

Fondazione Italia Giappone.

Studio Marta Bianchi, Comunicazione e Immagine.

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BARBARA BRANCALEONI: SULLA PELLE

sulla pelle

di Barbara Brancaleoni.

 

 

A cura di Carla Corrado

 

Inaugurazione: giovedì 24 maggio 2012, ore 17

 

Site location: Creje. Roma, Via del Boschetto 5/A. Organizzazione: Embrice for Creje

 

Da giovedì 24 maggio 2012 – a sabato 2 giugno 2012. Orario continuato: 11.00 – 20.00.

 

 

 

Embrice apre a eventi organizzati in location esterne alla sede della galleria. Il nuovo ciclo di appuntamenti, sotto il nome di Embrice for…, debutta presso la sede Creje di Roma (in Via del Boschetto 5/A).

 

Dal 24 maggio al 2 giugno, Embrice for Creje, presenta la mostra “Sulla pelle” dedicata ai complementi-gioielli di Barbara Brancaleoni nell’edizione 2012: nuove proposte che raccontano l’evoluzione di una ricerca attorno al tema dell’uroboros, prototipo–simbolo della sua collezione.

 

Da “Poveri-Preziosi”, l’edizione 2010 della personale da Embrice, il gioiello contemporaneo contraddistinto dal marchio Bibijou, si è affermato con successo, guadagnando visibilità su importanti piattaforme di moda, arte e artigianato, e in occasione di Altaroma 2011.

 

La mostra che si svolge nella cornice dell’emporio dell’handmade Creje, situato nel cuore del rione Monti a Roma, propone una breve antologia di creazioni realizzate con ritagli di pelle, metalli, legni e pietre levigati dal mare e dal tempo, in forme sinuose che assecondano le linee del corpo femminile.

 

Carla Corrado

 

 

 

 

 

Titolo della mostra: “Sulla Pelle”

Autore: Barbara Brancaleoni

A cura di: Carla Corrado

Sito: Creje, Via del Boschetto, 5A – 00184 – Roma –Tel.06.48905227

Inaugurazione: Giovedì 24 maggio, 2012 ore 17.00

Periodo: da giovedì 24 maggio a sabato 2 giugno 2012.

Orario: continuato dalle 11.00 alle 20.00

Ingresso: libero

 

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Casa Alessandrini. Trasformazioni Ritrovamenti.

Dal 27 gennaio al 10 febbraio 2012, la Mavg (Mediateca di Architettura di Valle Giulia) presenta – presso la Galleria Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, www.embrice.com) – una mostra a cura di Emma Tagliacollo intitolata: Casa Alessandrini. Trasformazioni Ritrovamenti. La mostra si inserisce nel progetto, Five Roman Flats, che si propone di raccontare un pezzo di Roma, cinque storie attraverso cinque alloggi oggi borghesi;  in passato case di famiglie privilegiate o, come in questo caso, disagiate.

Casa Alessandrini si trova in uno stabile del 1880, all’ultimo piano del civico 168, in Via Alessandria. Una zona sorta sotto la spinta della speculazione fondiaria di compagnie private, durante la febbre edilizia nelle more tra il piano regolatore generale per Roma Capitale del 1873, mai tramutato in legge, e quello approvato del 1883.

E i dintorni richiamano al periodo immediatamente postunitario, a partire dalla breccia di Porta Pia, risarcita e imbalsamata nei marmi celebrativi di Roma Capitale con tanto di colonna celebrativa davanti, per finire alla toponomastica per lo più regia, piemontese e, come è giusto che sia, patriottica, con una forse più tarda estensione irredentista. Un itinerario che seguendo, naturalmente, Via Alessandria – l’asse viario sul quale si ammassano case intensive per gli impiegati dei vicini, e quasi coevi, Ministeri dei Trasporti e dei Lavori Pubblici – arriva ad un estremo, dove la strada, attraversando Piazza regina Margherita, si biforca in Via Zara e in Via delle Alpi; dall’altro capo invece sfocia in Piazza Alessandria, e da lì, per Via Bergamo e Via Ancona, si collega a Piazza Fiume, quindi a Corso d’Italia (dove, dietro le macchine parcheggiate, si nasconde la Breccia), e infine al Piazzale di Porta Pia.

L’appartamento, realizzato nelle sue forme attuali trent’anni fa, sfugge a una lettura banale quanto a una sofisticata. Memore delle alte, interminabili quinte della strada, che costringono il passo e l’occhio su un implacabile asse costruito, un visitatore saltuario si smarrisce nella minuta serie di compressioni e dilatazioni realizzata dal progettista, finché non si affaccia di nuovo, da una delle strettissime logge dell’attico, sulla palazzata. Il perché di tale smarrimento non risiede solo nella bizzarria ritmica degli spazi abitativi: ma risiede nello iato fra questi e la storia urbana raccontata dall’intorno.

Le ragioni del progetto di Casa Alessandrini, si muovono nella tensione tra l’estetica e la praticità dei diversi elementi che tendono verso un’unica immagine di razionalità e pulizia. È in questo contesto che il legno domina, fedele alla sua natura di materiale non artificiale, usato allo stato grezzo, senza dunque alcuna coloratura. Ogni stanza può essere identificata dal progetto che contiene: lo spazio del salotto con l’armadio-libreria che racchiude e regolarizza la geometria dell’ambiente; la camera da letto con il letto-zattera e il piccolo lavandino colorato, moderno che vuole richiamare un retaggio antico; la cucina con fuochi sospesi, angoli curvi e l’idea di un tavolo-isola per la convivialità.

L’esterno, come abbiamo detto, rimane ottocentesco. Fuori di questa in fondo rassicurante storia patria che il quartiere testimonia sin dalla toponomastica, nei centoquarantuno anni passati, è successo di tutto nel mondo. Fino al Pacific Trash Vortex, il cumulo di plastiche non degradabili grande come la Spagna o più, che saltuariamente scarica sulla costa delle Haway colline di rifiuti alte metri, spinto dalle correnti. Ed è fuori dal quartiere, tra le spiagge di mezzo mondo, che Alessandrini ha raccolto, per vent’anni, alcuni frammenti di quei cento milioni di metri cubi di plastica del Pacifico e ne ha fatto una piccola collezione estetica che conserva, dentro, in casa. Anticipa forse così, il destino di quei cento milioni di famiglie che, se si volesse oggi far scomparire il vortice di plastica, dovrebbero mettersene in casa un metro cubo. Se i pezzetti di plastica di Alessandrini sublimano un dolore, l’estetica della profezia di Marcuse prenderà forse vita come sublimazione del riconoscimento attonito che per le future generazioni non ci sarà più nulla (o troppo) da fare.

Fotografie di Humberto Nicoletti Serra. Video di Carlo Tomassi.

Il pannello della cucina di Casa Alessandrini.
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FRANCO PURINI: BIANCO E NERO. NOVE DISEGNI PER UNA CITTÀ.

Da venerdì 16 dicembre a venerdì 23 dicembre 2011 la Galleria Embrice (www.embrice.com – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 –  tel 06.64521396) propone la mostra Franco Purini: bianco e nero. Nove disegni per una città.

 

Ciascuno di noi, di fronte a questi nove cartoncini appoggiati su tavole di legno, deve percorrere a suo rischio la strada dell’interpretazione e della genealogia; delle fonti, se vuole. Con l’eventualità di perdersi nei meandri dell’intelligenza della cultura.

Pausa, ripresa, graduazione, lotta sono figure retoriche usate da Athanasius Kircher nel 1650, nel suo Musurgia universalis, sive ars magna consoni et dissoni, che tratta temi matematico musicali. Un testo recentemente identificato come possibile fonte per Arte della fuga di Johan Sebastian Bach; opera forse coeva delle trenta Variazioni Goldberg. Alla Arte della fuga Raymond Queneau accosta i suoi Esercizi di Stile del 1942.

Potremmo quindi, se fosse legittimo, qualificare i nove disegni di Fanco Purini che Embrice espone, e che certamente contengono matematica, e potenzialmente musica, trovare pacificatori riferimenti letterari e musicali, usando il sostantivo variazione come guida.

Giovani allievi del Professor Purini si sono cimentati, sulla traccia panovskyana, nello studio di analogie strutturali fra progetto moderno e musica contemporanea.

 

Tuttavia i Nove disegni per una città, presentati con il titolo Bianco e nero ripropongono più in generale una Stilfrage, un interrogativo sullo stile; ma di più: molti interrogativi.

Suona telematicamente da un Ipad l’allarme di casa e frettolosamente lasciamo gli schoeller 50×70 che stavamo guardando di traverso, per cercare le cancellature fatte a lametta. Gillette blue, per la precisione, perché fanno il taglio netto quando le rompi.

Fuori dalle bianche stanze e dal piancito alberato (porfido e tessere a giro di marmo bianco, una delle mille copie del parterre d’ingresso di Libera all’EUR, dalle tegole in pietra delle chiese rainaldesche di Piazza del Popolo) ci accoglie la città reale, con la qualità edilizia e la overdose di traffico del Quartiere Trieste di Roma. All’angolo, sotto la madonnina ristrutturata qualche decennio fa, e quindi dimentica di quella qualità, è stata rimossa la carrozzina di latta nella vetrina sotto l’immagine sacra: nei primi anni Settanta un autobus la investe con due gemelli dentro, la schiaccia, i gemelli si salvano.

La scelta dello schoeller, confermata definitivamente in contemporanea all’avvio dell’uso sistematico dell’ordinateur nello Studio Purini Thermes, non è volutamente anacronistica.

Significa piuttosto la scelta di un sentiero difficile nella poca cellulosa usabile – spessa meno di un millimetro – che costituisce un parametro costante di riferimento per la fatica per realizzare un rendering animato o per processare un file da tre giga per la stampa.

 

Per Franco Purini è anche il razionale avvio di una scissione ossessiva: la push button age dei primi anni Settanta e la sua attuale transizione nella touch screen age facciano pure il loro corso.

L’architetto può sopravvivere accettando la schizofrenia di questa struttura duale del rappresentare.

Migliaia di pagine di croquis, centinaia fra note e saggi, migliaia di disegni bianco e nero e a colori su diversi supporti. Fra questi, moltissimi disegni descrittivi, di progetti spesso realizzati, documentati nei disegni dello Studio Purini-Thermes, una parte dei quali (16.000 pezzi ) identificata e schedata.

Distinti da ciò, più di 700 disegni su cartoncino schoeller.

Ma c’è anche una struttura duale del fare.

Un Accademico: Architetto del Principe, (oggi il Mercato, o l’Amministrazione o qualche frammento residuo di borghesia intelligente che apprezza il valore aggiunto del progetto) al tempo stesso si applica all’esercizio quotidiano di riconoscere se stesso: come in una vestizione settecentesca la scelta di una fibbia o nell’opera la scelta del colore di un inchiostro. Testimonianza di una dedizione, è la parola, vegliata e condivisa da Laura Thermes. Tanto che un altro titolo poteva essere Disegni per la città di Laura.

 

Post scriptum

Embrice potrà anche far scorrere slides dai taccuini di schizzi di Franco Purini e filmati delle opere costruite dallo Studio Purini-Thermes. Segnalerei fra tutte la casa a Capalbio e il progetto per Torino Porta Susa. Ma il tutto somiglia a un fiume, dal quale abbiamo appena invasato un po’ d’acqua. Pulita.

Franco Purini
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NATURE IN SCATOLA. IL SOGNO VERDE.

Venerdì 28 ottobre 2011 alle ore 18 verrà inaugurata nella Galleria Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, Tel. 06.64521396, www.embrice.com), in collaborazione con Brecce per l’Arte Contemporanea, la seconda di tre tappe del progetto itinerante “Il sogno verde”, a cura di Antonio Capaccio e Claudia Rozio, una ricognizione sul rapporto dell’uomo con la natura che si svolge in luoghi diversi coinvolgendo artisti di differenti ambiti per investire con la sua riflessione tutti gli aspetti del nostro esistere.
Nella prima tappa, presso la Cooperativa Agricoltura Nuova, sono state perlopiù (ma non sempre) le dimensioni naturali, aria terra luce tempo, a delimitare interagire o essere parte integrante delle opere, ché in alcuni casi il richiamo allo spazio naturale si è limitato a influenzare la scelta dei materiali se non addirittura quella del soggetto.
In questa seconda esperienza presso la Galleria Embrice, gli artisti, si confrontano con la necessità di muoversi e interagire in una dimensione spazio-temporale già (in parte) predefinita. Questo limite costringe gli artisti a costruire delle “nature in scatola”, o meglio a muoversi all’interno di un tracciato concettuale, il rapporto tra natura e vincolo progettuale, con una riflessione sul concetto stesso di spazio e di confine.
In esposizione opere e installazioni di Ennio Alfani, Franca Bernardi, Antonio Capaccio, Vittorio Giusepponi, Uemon Ikeda, Tommaso Massimi, Elly Nagaoka, Pupillo, Giuseppe Tabacco, Naoya Takahara e Simone Pappalardo. Infine la lettura di poesie di Silvia Bre (che si terrà il solo 28 ottobre) si configurerà come una sorta di installazione irreversibile e limitata nel tempo, oltre che nello spazio.

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IL SOGNO VERDE.

Brecce per l’Arte contemporanea, Cooperativa Agricoltura Nuova, Galleria Anna D’Ascanio e Galleria Embrice di Roma, presentano Il sogno verde, una ricognizione sul rapporto dell’uomo con la natura che si svolge in luoghi diversi coinvolgendo artisti di differenti ambiti, per investire con la sua riflessione tutti gli aspetti del nostro esistere mentre il mondo rischia di perire.

Domenica 2 ottobre 2011, presso la Cooperativa Agricoltura Nuova (Via Valle di Perna 315, Roma), installazioni degli artisti Ennio Alfani, Franca Bernardi, Antonio Capaccio, Vittorio Giusepponi, Uemon Ikeda, Tommaso Massimi, Elly Nagaoka, Pupillo, Giuseppe Tabacco, Naoya Takahara. Installazione sonora di Simone Pappalardo. Silvia Bre legge sue poesie

Da venerdì 28 ottobre 2011 (inaugurazione ore 18) fino a martedì 15 novembre (dal lunedì al sabato, dalle ore 18 alle 20) presso la Galleria Embrice (Via delle Sette Chiese 78, Roma), opere degli artisti Ennio Alfani, Franca Bernardi, Antonio Capaccio, Vittorio Giusepponi, Uemon Ikeda, Tommaso Massimi, Elly Nagaoka, Pupillo, Giuseppe Tabacco, Naoya Takahara. Il 28 ottobre: audio performance di Simone Pappalardo. Silvia Bre legge sue poesie.

Da giovedì 10 novembre (inaugurazione ore 18) fino a mercoledì 30 novembre (dal lunedì al sabato, dalle ore 15.30 alle 19.30) presso la Galleria Anna D’Ascanio (Via del Babuino 29, Roma), opere di Afro, Alberto Burri, Piero Dorazio, Antonio Capaccio, Renato Guttuso, Jannis Kounellis, André Masson, Mario Schifano, Ettore Sordini, Cesare Tacchi, Giulio Turcato. Il 10 novembre: audio performance di Simone Pappalardo; Silvia Bre legge sue poesie.

La Cooperativa Agricoltura Nuova si trova a pochi chilometri dal Grande Raccordo Anulare, in una traversa della via Pontina, di fronte al quartiere di Spinaceto. Si tratta di una Azienda agricola storica dell’area romana. Nata nel 1977 per iniziativa di un gruppo di giovani disoccupati, braccianti e contadini con intenti di utilità sociale e per promuovere l’agricoltura biologica, nel corso di oltre trent’anni è diventata punto di riferimento per una vasta utenza di persone sensibili alle questioni dell’agricoltura biologica e della salvaguardia del territorio. il sogno verde vuole utilizzare questo contesto ideale come prima stazione nella ricerca di un possibile equilibrio fra cultura, civilizzazione e natura, in un momento storico tempestato dai segni della rivolta del pianeta naturale contro l’azione del nostro modello di crescita infinita.
Situata nel quartiere della Garbatella, la Galleria Embrice è per vocazione uno spazio aperto alle esperienze dell’arte, dell’architettura, della ricerca progettuale, della letteratura. Piccola ma di grande vitalità, accoglie la seconda stazione de il sogno verde, che offre sotto forma di nature in scatola le proposte degli artisti che hanno meditato su natura e vincolo progettuale.
L’ultima stazione de il sogno verde si svolge negli spazi della storica galleria romana Anna D’Ascanio. Accoglie un’ampia selezione di opere di artisti lungo un itinerario che muove dalla prima metà del secolo scorso. È un’apertura sulla storia, sulla memoria culturale dell’ultimo secolo, tra surrealtà, astrazione, spirito metafisico, mito, sentimento dell’origine, in cui la natura vive come simbolo, come artificio, come lingua.

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TOMMASO FRANCHI: LETTINI.

In mostra da Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, Tel. 06.64521396, www.embrice.com), dal 26 maggio all’11 giugno 2011, Lettini, a cura di Paolo Balmas, la produzione seriale di Tommaso Franchi di piccoli oggetti inquietanti, appunto dei lettini. Realizzati in maniera spiritosa, intelligente, bizzarra, con spilli, fiammiferi e altre cose, insomma in maniera divertita. Oggetti caratterizzati da una curiosa fattura con certe sapienze e con certe volute trascuratezze, che fanno vedere un mestiere consumato, malgrado un’esperienza artistica creativa in senso proprio relativamente di giovane età.

Cinquanta sculture minime, dei lettini. Talvolta vuoti, talvolta occupati. Abitati da un’umanità allo stato larvale, esistenze in divenire. Bachi, bozzoli sistemati e protetti in una specie di loro grande dormitorio, a vivere delle avventure, dei movimenti, delle libertà possibili. Ciascuno con un’identità che si evolve in direzioni diverse; per ciascuno è progettata una sua storia particolare, un canovaccio: ce ne sono con più futuro e con meno futuro, di più e meno felici. Una descrizione tassonomica, gerarchizzata, anzi, a gerarchia zero, ché mette tutti nella stessa posizione orizzontale, e che finisce però sempre per riaccostarsi a temi delle nostre principali interrogazioni. Una strana situazione che ripropone il tema dell’immobilità e ci induce a chiederci se a un certo punto fra gli istinti umani non ci sia anche quello di non evolversi, un modo di non accettare la nostra fragilità, di non accettare che le cose cambino bloccando tutto formalmente. Un po’ il principio dell’arte, cioè far vivere in eterno un’immagine, una cosa che non vorremmo che cambiasse, o al contrario, la paura dell’arte, intesa come un mutamento possibile, come creazione, per cui ogni opera invita a crearne un’altra e a mantenere quell’atteggiamento di trasmissione, di desiderio che genera desiderio. Interrogativi inquietanti di carattere un metafisico, cui, Tommaso Franchi – pur negandoli, e assumendo piuttosto un atteggiamento quasi da scienziato – non può impedire di tornare a galla.

Tommaso Franchi è nato a Roma nel 1966, con una laurea in fisica e studi d’arte in Italia e Francia, ha una storia personale che lo porta a fare mestieri anche distanti dal campo artistico. Ha partecipato finora a due collettive a Venezia e a Roma. Una produzione artistica pregressa con uno sperimentalismo didattico, lo ha spinto sulle strade di alcune delle esperienza artistiche già consolidate nella storia dell’arte contemporanea.

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Presso la Galleria Embrice di Roma, si apre la mostra: 1911-2011: CENTENARIO DI UNA CASA A ROMA. (FRF) FIVE ROMAN FLATS. UN PRIMO CAMPIONE.

la MAVG Mediateca di Architettura di Valle Giulia, dell’Università degli Studi La Sapienza,

presenta

1911-2011: CENTENARIO DI UNA CASA A ROMA. (FRF) FIVE ROMAN FLATS. UN PRIMO CAMPIONE.

A cura di Amedeo Fago.

Con il patrocinio della Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura.

Inaugurazione: venerdì 13 maggio 2011, dalle ore 18.00
La mostra rimarrà aperta da venerdì 13 maggio a sabato 21 maggio 2011.
Orario: 18.00 – 20.00. Chiuso la domenica.

Dal 13 al 21 maggio 2011, la Mavg (Mediateca di Architettura di Valle Giulia) con il patrocinio della Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura, presenta – presso la Galleria Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, Tel. 06.64521396 www.embrice.com) – una mostra a cura di Amedeo Fago intitolata, 1911-2011 centenario di una casa a Roma.
Si apre così un nuovo progetto, Five Roman Flats, di cui la mostra che Embrice dedicata alla casa che Carlo Mazza costruì per sé e i suoi nel 1911, rappresenta un primo campione. Si tratta di raccontare un pezzo di Roma. Cinque storie attraverso cinque alloggi borghesi, appartenuti a soggetti con ruoli sociali di rilievo della Roma che va dal periodo liberale a quello fascista, e che hanno lasciato alle generazioni successive patrimoni immobiliari frammentati, fra più grounds e in più edifici. Contestualmente, la ricerca sui singoli alloggi, prevede un lavoro affidato a diverse professionalità la cui unica tappa obbligata è la presenza di una breve presentazione scritta affidata ai gestori attuali. Seguono la preparazione di una mostra presso Embrice e l’elaborazione di un testo teatrale. Tutte le fasi, dalla visita del flat alla prima teatrale, vengono riprese per confluire in un documento filmato. La combinazione dei diversi passaggi, in presenza di cinque soggetti materiali, darà luogo a centinaia di possibili varianti.
Il percorso complessivo è stato strutturato in maniera articolata per permettere, al di là dell’analisi storica dal punto di vista architettonico e urbanistico, di narrare la storia di un luogo cercando di far emergere quelle memorie individuali e collettive che in esso sono depositate.
La casa Mazza, oggi Buontempo Danusso, è collocata sulle pendici di Monte Mario che sovrastano a sud il tratto iniziale, in salita, della Via Trionfale; l’area, totalmente agreste, era entrata già dal 1909 nell’interesse della famiglia, costretta dagli espropri a lasciare la prima residenza nell’area delle Terme di Caracalla. L’aspetto esteriore molto semplice o modesto, la denota come un edificio di quello che era il margine periferico della zona nord-ovest, la casa non mostra un carattere di rilievo dal punto di vista architettonico, né ci sono tracce del disegno dal quale furono tratti i piani di costruzione, che molto probabilmente è stato tratto da uno dei numerosi manuali apparsi a stampa in Italia a partire dal 1890.
L’isolamento costituisce l’elemento di risalto di questa abitazione a tre piani, che è separata dal contesto edilizio contiguo, ed è circondata e schermata da un ampio spazio verde sottostante Villa Miani, nonostante l’area sia stata inserita dal 1931 nel PRG di Roma. Ed è interessante notare come la singolarità della casa, risieda nel suo insistere in un luogo appena sfiorato dai diversi piani regolatori di Roma Capitale, redatti a partire dal 1873. Dal primo, successivo di soli tre anni alla Breccia di Porta Pia, dell’ingegnere Alessandro Viviani, passando per quello redatto da Rodolfo Bonfiglietti nel 1906, e quello di Edmondo Sanjust di Teulada del 1908, per finire al Prg del 1931.
Organizzazione: Carlo Severati, Vincenzo Nizza, Gianluca De Laurentiis, Daniele Forlani.
Riprese: Massimo Casavola, Alberto Michetti, Carlo Tomassi.
Montaggio: Carlo Tomassi, Amedeo Fago.
Fotocolor: Humberto Nicoletti Serra.
3D e Animazione: Jacopo Pomante.
Testi: Amedeo Fago, Luciana Buontempo, Massimo Casavola, Giuseppe Miano.
Modelli: Umberto Buontempo.
Ricerche: Carlo Tomassi.
Allestimento: Massimo Casavola,Vittorio Giusepponi, Carlo Severati.

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LUIGI MORETTI: LA FORMA VIOLATA. La casa della scherma oggi, i rilievi.

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

LUIGI MORETTI: LA FORMA VIOLATA. La casa della scherma oggi, i rilievi.

A cura di Carlo Severati.

Presentazione del libro, La forma violata. Sabato 26 marzo 2011, ore 10.00,
presso la Facoltà di Architettura “Argiletum”, Aula Urbano VIII, Via Madonna dei Monti, 40.

Inaugurazione mostra presso Embrice: sabato 26 marzo 2011, dalle ore 17.00

La mostra rimarrà aperta da lunedì 31 marzo a venerdì 15 aprile 2011.
Orario: 18.00 – 20.00. Chiuso la domenica.

Dal 31 marzo al 15 aprile sono in mostra, presso la galleria Embrice di Roma (Via delle Sette Chiese, 78, www.embrice.com), disegni e foto appartenenti al percorso di studio avente per oggetto l’Accademia di Scherma al Foro Italico a Roma, portato a termine dagli architetti Marco Giunta e Alessandra Nizzi, documentanti lo stato di fatto (come è noto definitivamente compromesso) dell’opera giovanile di Luigi Walter Moretti, considerata internazionalmente una delle più importanti realizzazioni architettoniche del XX secolo.
La mostra sarà inaugurata sabato 26 marzo alle 17.00. In coordinamento con l’evento, sabato mattina, sarà presentato il volume La forma violata, presso l’aula Urbano VIII della Facoltà di Architettura “Argiletum”, in Via Madonna dei Monti, 40, con interventi di Vieri Quilici, Carlo Severati e Alfredo Passeri.
Alla metà degli anni Settanta l’Isef risponde negativamente, attraverso una deliberazione del Consiglio dei Docenti, alla prima richiesta del Ministero delle Finanze, di cedere in uso temporaneo l’edificio. Il Ministero reitera la richiesta, accolta dal Consiglio di Amministrazione dietro la promessa di realizzare una tensostruttura per le attività dell’Istituto. Da allora, era il 1976, la Casa delle Armi è rimasta chiusa, all’inizio per ragioni di sicurezza nazionale, al resto della città e al pubblico di studiosi e appassionati. Con un nuovo edificio, una gigantesca baracca che come una specie di alien, è stata costruita all’interno; con scavi e nuovi accessi intorno e i rivestimenti in pezzi, quel che resta della Casa delle Armi, bene demaniale oggi gestito dal Coni, è chiuso e dimenticato.
Un lavoro decennale, quello di Giunta e Nizzi, iniziato con la redazione della comune tesi di laurea discussa presso la Facoltà di Architettura “Ludovico Quaroni” della “Sapienza” di Roma, e conclusosi con la pubblicazione del volume La Forma Violata (Aracne, Roma 2010).
Appunti di rilievo e scatti fotografici si presentano quali materiali propedeutici al lavoro di restituzione e di confronto con le fonti archivistiche; rielaborati nell’ottica dell’esposizione presentano risvolti di rilevante interesse scientifico per tre ordini di motivi.
In primo luogo, documentano per la prima volta in modo esaustivo la condizione attuale dello splendido edificio fascista. In secondo luogo analizzano la genesi progettuale e costruttiva dell’edificio, ricostruendo le tappe del percorso personale di Luigi Walter Moretti – dall’idea alla realizzazione – strettamente connesso all’evoluzione del programma edilizio nella mente di Renato Ricci tra il 1933 e il 1937. Mostrano, infine, dettagli mai prima evidenziati dell’edificio originale che impongono un ulteriore aggiornamento critico. Si veda, in proposito, il piccolo ambiente collocato sull’asse maggiore dell’ovale che definisce la planimetria del vestibolo destinato agli accademisti, che in una versione progettuale intermedia costituiva il vano di una rampa appartenente al sistema di collegamenti, ai diversi livelli, tra le sale ricavate nel volume cilindrico e lo spazio delle gallerie che costituivano l’interno dell’ala della biblioteca. È una scelta dell’ultim’ora, che comporta la chiusura fra l’atrio e la grande sala in asse, attraverso l’obliterazione della scala, già costruita. Ne scaturisce un settore di volta anulare, stretta fra un lato rettilineo e uno curvilineo: risoluzione plastica di una cesura accidentale.
Gli approfondimenti descritti nel libro e evidenziati nella Mostra consentono l’accreditamento di una ulteriore lettura critica: che vede l’edificio della Casa delle Armi vissuto dal suo progettista come una gigantesca scultura.
L’architetto-scultore si aggira dentro e fuori la sua opera, demolisce e ricostruisce, modula: le masse e definisce gli spazi col suo scalpello fatto di maestranze e di stati d’avanzamento.

Carlo Severati

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SHAGHAYEGH SHARAFI: LA TERRA CHE NON ESISTE.

terraGalleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

SHAGHAYEGH SHARAFI: LA TERRA CHE NON ESISTE.

A cura di Paolo Balmas.

Inaugurazione: venerdì 4 marzo 2011, dalle ore 18.00

Da venerdì 4 marzo a giovedì 17 marzo 2011. Orario: 18.00 – 20.00. Chiuso la domenica.

Da venerdì 4 marzo a giovedì 17 marzo 2011, la galleria Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com) propone un allestimento di Shaghayegh Sharafi, artista iraniana (è nata a Tehran nel 1963,) ma formatasi in Italia (si è laureata all’Università degli Studi di Roma nel 1990). Shaghayegh ha già esposto, tra il 2001 e il 2002, al MLAC di Roma (Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea); nel 2002 alla Galleria Studio Lipoli di Roma; nel 2005 a Cefalonia (in Grecia); infine, nel 2009, alla Galleria Azad di Tehran. La mostra è curata da Paolo Balmas.

Un rumore, fuochi d’artificio o bombe che cadono. Un film con neri passi femminili, su materiale fittile e paglia: non vanno da nessuna parte. Una teca di vetro con terra che non c’è più, senza le piante. Richiamo alla nascita e alla morte: intorno a noi c’è come un panico che coinvolge tutti.
Ognuno prende e usa gli elementi che gli servono per la sua opera; Shagha avrebbe fatto il suo lavoro egualmente anche se fosse stata in Iran,
Shaghayegh cerca un rapporto di continuità tra quello che ci presenta oggi in questa mostra e quello che ha fatto in passato, è quello di saper partire col piede giusto, cioè di usare sì la tradizione del proprio paese ma sempre e solo alla ricerca di quegli elementi che permettono una comunicazione fra tutti, una comunicazione che anche in qualche modo va al di la delle classi sociali e del tempo storico. Una cosa che ho scoperto proprio frequentando lei è che in Iran tutti conoscono certi autori, certi poeti, magari anche se sono di cinquecento o di mille anni fa, c’è cioè una cultura letteraria diffusa, cosa che da noi non esiste o esiste solo in maniera frammentaria. Si conoscono I primi versi della Divina Commedia, ma poi non si va oltre.
Tornando all’Iran quindi c’è questa specie di stasi, di capacità della cultura, al di la delle differenze di classe di distendersi nel tempo e di attraversarlo come se il tempo non avesse una linearità, non fosse irreversibilmente intriso del senso del progresso ecc. Certe cose rimangono uguali per secoli, sono sempre le stesse e tutti, in qualche modo, possono riferirvisi. Questo è il nucleo ideale del lavoro Shaghayegh Sharafi: attraversare la storia cercando valori elementari che uniscano tutti e che tutti possano comprendere.
la presenza del vaso e della terra può esserci utile a capire, si tratta infatti di cose che vengono dall’interno, sono interiorizzate.

Carlo Severati

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LETTURE DI UNA SCATOLINA INDUSTRIALE

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

LETTURE DI UNA SCATOLINA INDUSTRIALE

A cura di Carla Corrado e Giovanna Deppi
Allestimento di Vittorio Giusepponi

Inaugurazione: venerdì 10 dicembre 2010, dalle ore 18.00

Da venerdì 10 dicembre a mercoledì 22 dicembre 2010. Da lunedì 10 gennaio a venerdì 14 gennaio 2011.
Orario: 18 – 20, chiuso la domenica.

Il design dimensiona il gesto: partendo da questo assunto, che tutti verifichiamo nel quotidiano – usando un mouse o un apribottiglie -, il tema touch me circola, subliminale, nella comunicazione della Giorgio Fedon & Figli S.p.A. Un tema che evoca le radici del migliore italian design, e assume una valenza che va al di là della pura operazione commerciale.
Una valenza che lo Studio-Galleria Embrice di Roma (www.embrice.com) ha colto, dedicando una mostra alle molteplici letture possibili del prodotto Mignon. Si tratta di una piccola scatolina industriale, appunto, con alle spalle una storia che si lega strettamente al discorso sullo stile portato avanti dalle grandi firme internazionali nella seconda metà del XX secolo.
I primi disegni sono del ’96-97. Il Mignon, rimasto per qualche anno allo stadio di prototipo (’97-‘98), è stato realizzato con sistemi poco più che manuali per delle piccolissime produzioni per occhiali pieghevoli C.D. a fine anni ’90.
La forma è stata ottenuta sezionando e riducendo un guscio di lamiera del modello Orion, studiato per Armani: una forma che si è evoluta, progressivamente dimensionata e perfezionata con diecine di campioni tridimensionali al vero.
I materiali per costruire “maquettes” sono stati, all’inizio, legno o materiale espanso; poi stampi in PVC, o resina, con una fresa a controllo numerico da disegno 3D.
Successivamente il Mignon è stato “attrezzato” per la campagna “Mini Touch – riempie la vita” e contemporaneamente adottato anche dalla GIORGIO FEDON 1919, una divisione dell’Azienda che ha abbinato ad ogni scatoletta un pieghevolino descrittivo dei possibili usi.
Sono seguiti i Mignon per lenti a contatto con e senza specchio.
Risalgono al 2004 una serie di motivi “graffity” a due, tre colori marcati all’esterno e al 2008 le linee “animali”; numerose altre “ linee” sono ancora in corso di progettazione.
Nel tempo, molti Mignon sono stati personalizzati all’interno o all’esterno per firme conosciute o varie aziende, come promozionali.
Oggi la linea di produzione è in buona parte automatizzata.
Il piccolo (Mignon, appunto, della GIORGIO FEDON 1919) astuccio a scatto troverebbe posto in un allusivo ambiente fantastico, composto di futuribili oggetti di probabile fabbricazione industriale, in assenza di gravità.
Molti esemplari dell’astuccio potrebbero volare in uno scenario dall’aspetto un po’ metafisico, nel quale non c’è alcun riferimento dimensionale: tranne, appunto, quello fornito dal Mignon, molti esemplari del quale sono esposti nella loro consistenza reale.
Nel 2000 leader della produzione di astucci per occhiali di griffe al top del mondo industrializzato, la Giorgio Fedon & Figli S.p.A decide di avviare, sulla base di un Brevetto Internazionale dello stesso anno, la produzione di un astuccio per occhiali pieghevoli che progressivamente perde il vincolo della sua funzione iniziale, assumendo l’identità Mignon.
Mignon quindi (scocca in lamiera imbutita, fodera stampata in polistirolo floccato termoformato, rivestimento in centinaia di diversi materiali) diventa, con innumerevoli grafiche aziendali, un autorevole contenitore multiuso. Che cerca di affacciarsi, un po’ contro l’usa e getta, sul versante del bene durevole.

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CARLA BREEZE: “COCOA/SKY”.

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

CARLA BREEZE: “cocoa/sky”.

Curator Carlo Severati

Opening on Friday,October 22 2010; 18.00-22.00

 From Friday October 22, 2010, to Friday November 12, 2010; 18,00-20,00 – Closed on Sundays.

Carla Breeze’s images, created from printed files, show matter as stretched and spread as in a preparation for histological testing: a transparent matter which light emphasises as colour and textures.

Since September 11th 2001, when she was not at home- a few steps away from WTC- with his husband Wayne, she devoted herself mainly to her artistic work.

She’s been always an attentive observer of American arts and crafts having a background  as a professional photographer based in New York.

In 1979 she graduated in Art History at UNM and from1984 to 1998, both in New York and Albuquerque, she worked as a phoptographer, a writer and  an artist exploring  the relationship between light and matter.

                                                     Gian Luca De Laurentiis

 

Carla Breeze costruisce immagini ottenute da stampe da file, presentando la materia stesa e spalmata, come nei vetrini istologici: una materia permeabile alla luce, che la attraversa, e la evidenzia presentandola come colore e textures.

Carla si dedica quasi esclusivamente al suo lavoro artistico da quando, la mattina dell’11 Settembre 2001 la coglie col marito Wayne, lontano casa che è a pochi passi dal WTC.

Da sempre attenta osservatrice delle american arts and crafts, con alle spalle, nella sua New York, una formazione giovanile di fotografa professionale, nel 1979 si laurea in Art History alla UNM.

Numerose pubblicazioni sull’American Art Deco, lectures e otto mostre, dal 1984 al 1998, fra NY e Albuquerque, presentano il suo lavoro diviso fra fotografia, saggistica e le prime prove artistiche basate sulla ricerca del rapporto tra luce e materia.

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La Galleria Embrice propone la mostra: CARLA BREEZE: “COCOA/SKY

 

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

 

CARLA BREEZE: “COCOA/SKY”.

A cura di Carlo Severati

Inaugurazione: venerdì 22 ottobre 2010, ore 18.00 – 22.00

Da venerdì 22 ottobre 2010 – a venerdì 12 novembre 2010. Orario: 18 – 20, chiuso la domenica.

Carla Breeze costruisce immagini, ottenute da stampe da file, presentando la materia stesa e spalmata, come nei preparati per esami istologici: una materia permeabile alla luce, che la attraversa, e la evidenzia presentandola come colore e textures.

Si dedica quasi esclusivamente al suo lavoro artistico da quando la mattina dell’11 Settembre 2001 la coglie, col marito Wayne, lontana dalla sua casa che è a pochi passi dal WTC.

Da sempre attenta osservatrice delle american arts and crafts, con alle spalle, nella sua New York, una formazione giovanile di fotografa professionale, nel 1979 si laurea in Art History alla UNM.

Numerose pubblicazioni, lectures, e otto mostre, dal 1984 al 1998, fra NY e Albuquerque, presentano il suo lavoro diviso fra fotografia, saggistica e le prime prove artistiche basate sulla ricerca del rapporto tra luce e materia.

Carla Breeze non si preoccupa dell’arte, ma propone una riflessione artistica su materia, spazio, superficie, altezza, larghezza, profondità, luce, colore, calore: aspetti di un mondo tangibile e reale.

Ed è una materia che contraddice la Legge di Conservazione della Massa desunto dalla meccanica classica: non è vero che la materia ha una massa che non cambia anche se variano forma e volume.

E non si tratta neanche di materia eterogenea (come il granito, la cui composizione non definita emerge evidentemente alla vista), ma proprio di un qualcosa che si ricombina e si presenta diverso nei diversi luoghi dello spazio e del tempo.

I suoi elementi essenziali hanno distanze e proprietà variabili, forse si compenetrano, è sono addensati grazie a linee di energia che si intuiscono in negativo nel rapporto che si instaura tra la luce e i componenti elementari della materia.

Il colore attraversando la materia ne esalta i contorni, perché essa è composta anche di vuoto.

Un vuoto occupato dalla luce (energia/calore/colore). In questo modo il colore inizia a vivere intorno alla materia e la materia – che ne emerge – diventa segno (in questo senso le cose che fa Carla Breeze hanno a che fare con l’arte, con la rappresentazione). I segni a loro volta illuminano il colore, perché emergono dalla luce e ci navigano dentro.

Si tratta di esperimenti che hanno precedenti, da Mario De Luigi a Robert Ryman: ma che – al di là e al di qua del necessario tentativo di contestualizzazione e storicizzazione -, portano nei lavori di Carla Breeze a nuove forme di linguaggio e nuove forme di vita.

 

Gian Luca De Laurentiis

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CELSO DEPPI, SONDATORE E PITTORE (1919 – 1985).

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com
Con la collaborazione del Comune di Domegge di Cadore

CELSO DEPPI, SONDATORE E PITTORE (1919 – 1985).

Ex negozio Giacobbi, Piazza del Municipio. Domegge di Cadore (BL).
24 Giugno – 24 Luglio 2010.

A cura di Carla Corrado

Inaugurazione: giovedì 24 giugno 2010, ore 18

Da giovedì 24 giugno – a venerdì 24 lugli 2010.
Orario: tutti i giorni 15.00-19.00. Sabato e domenica anche al mattino: 10.00-12.30. Ingresso gratuito

Quella di Celso Deppi è una storia di emigrazione con una vocazione chiara, quanto irrisolta di pittore. Operaio per necessità, lascia circa trecento opere redatte fra il 1946 e il 1983 per se stesso e per occasionali committenti locali: il parroco, la sezione del Club Alpino Italiano, amici, familiari.
A Praga, dove la famiglia si stabilisce con un piccolo esercizio di gelateria, il suo primo contatto con l’arte figurativa: dipinti a olio, acquerelli e tempere, confinati in una dimensione fra Dilettante e Naïf, in gran parte copiati da, o più liberamente ispirati a, iconografia popolare, cartoline, fotografie.
A Roma nel 1935, e quindi il servizio militare e la guerra nei Balcani dal 1940. Rientra a Domegge nel 1945, dove si sposa nel 1947. Il connubio fra emigrazione, lavoro e pittura merita attenzione in particolare fra il 1959 e il 1973, a questi anni appartiene l’autoritratto sul lavoro. Un lavoro durissimo, quello del sondatore: segnato da colpi, rumori e vibrazioni, affrontato portando con sé – in Europa, Saudi Arabia, Italia – la sua valigetta di colori, pennelli, solventi.

Carla Corrado
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INFO
Titolo della mostra: Celso Deppi, sondatore e pittore. (1919-1985)
Location: Ex negozio Giacobbi. Piazza del Municipio – Domegge di Cadore (BL).
Autore: Celso Deppi.
Curatrice: Carla Corrado.
Inaugurazione: giovedì 24 giugno, 2010 ore 18.00
Durata della mostra: da giovedì 24 giugno a sabato 24 luglio 2010
Orario: dal lunedì al venerdì: 15.00-19.00. Sabato e domenica: 10-12.30 e 15.00-19.00
Organizzazione: Galleria Embrice, Roma. Tel. 06.64521396. Email: [email protected].
Con la collaborazione del Comune di Domegge di Calore.
Ingresso: libero

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diarambiente, il portale web per l’architettura e l’ambiente: pomeriggio di studio

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

 

 diarambiente,

il portale web per l’architettura e l’ambiente:

pomeriggio di studio

                                                                                              

giornata conclusiva: martedì 4 maggio 2010, ore 16.30

 

A chiusura della mostra dedicata dalla Galleria Embrice al portale http://w3.uniroma1.it/diarambiente, il 4 maggio 2010 si terrà, a partire dalle 16.30, un pomeriggio di studio, presso il DiAr, Dipartimento di Architettura della Facoltà Ludovico Quaroni di Roma, in via Flaminia, 359.

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http://w3.uniroma1.it/diarambiente Un portale web per l’architettura e l’ambiente di Rosalba Belibani, Franca Bossalino, Anna Gadola.

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

http://w3.uniroma1.it/diarambiente Un portale web per l’architettura e l’ambiente di Rosalba Belibani, Franca Bossalino, Anna Gadola.

A cura di Carlo Severati

Inaugurazione: venerdì 23 aprile 2010, ore 18.00

Da venerdì 23 aprile 2010 – a lunedì 3 maggio 2010. Orario: 18.00 – 20.00, chiuso la domenica.

A partire dal 23 aprile la Galleria Embrice di Roma (Via delle Sette Chiese, 78, www.embrice.com) tiene a battesimo il nuovo sito del Diar, Dipartimento di Architettura della Facoltà “Ludovico Quaroni“ di Roma: “http://w3.uniroma1.it/diarambiente”, portale web dedicato al tema della sostenibilità per l’architettura e per l’ambiente. La mostra, a cura di Carlo Severati, sarà aperta fino a lunedì 3 maggio 2010.

Nella visione di Vitruvio l’individuo e l’ambiente sono considerati coma parte di uno stesso grande disegno universale; in cui “tutto è uno”, tutto è connesso; in cui l’uomo e l’ambiente interagiscono e si influenzano reciprocamente; in cui ritmi, energie, forze tendenze sono comuni all’individuo quanto a tutto ciò che lo circonda.
Da Vitruvio a Wlliam Mc Donough, David W. Orr, Edward Marzia, e gli italiani Piero Pozzati e Felice Palmeri per continuare con gli approfondimenti di Ernst Friedrich Schumacher, di David Suzuki, di Fritjof Capra, di Edgard Morin, James E. Hansen, Thomas L. Friedman: in questo sito sono raccolte le più importanti coscienze ecologiche della Terra.
L’attività edilizia – che coinvolge azioni quali l’estrazione dei materiali, la loro lavorazione, la costruzione, la gestione, la manutenzione e infine la demolizione – con una produzione del 48% di gas serra inchioda il sistema edilizio alle sue responsabilità.
Se riconosciamo agli architetti il ruolo di connettere i diversi campi disciplinari e la capacità di comprendere le propensioni che hanno tutti gli attori che intervengono nel processo della costruzione, capiamo l’importanza che gli architetti rivestono nel far sì che le nuove idee si sviluppino più velocemente e che le informazioni circolino.
L’educazione dell’architetto del XXI secolo è l’ambizioso progetto del portale web per l’Architettura e l’Ambiente del DiAR – Dipartimento di Architettura della Facoltà “Ludovico Quaroni“ di Roma – realizzato da Rosalba Belibani, Franca Bossalino e Anna Cadola.
L’accurata selezione di testi, immagini, contenuti – che si svela dietro gli iperlink del DiARAMBIENTE – è volta alla alfabetizzazione ecologica da realizzarsi entro il 2010 per acquisire gli strumenti necessari a vincere la sfida del 2030 in cui il progetto di architettura dovrà porsi l’obiettivo di curare la terra e di costruire edifici, quartieri e città ad emissioni zero nel 2050.

Leone Spita
Titolo della mostra:
http://w3.uniroma1.it/diarambiente
Un portale web per l’architettura e l’ambiente
Autori: Rosalba Belibani, Franca Bossalino, Anna Gadola.
Curatore: Carlo Severati
Inaugurazione: Venerdì 23 aprile, 2010 ore 18.00
Durata della mostra: da venerdì 23 aprile a lunedì 3 maggio 2010
Orario: dal lunedì al sabato dalle 18.00 alle 20.00
Ingresso: libero

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IL LETTORE ACCECATO. Presentazione del volume Fotografia come fatto mentale, di Giorgio Stockel.

Studio-Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

IL LETTORE ACCECATO.
Presentazione del volume Fotografia come fatto mentale,
di Giorgio Stockel.

A cura di Carlo Severati
venerdì 26 marzo 2010. Orario: 18:30 – 20:30,

A chiusura della mostra di Giorgio Stockel, Fotografia come fatto mentale, giovedì 26 marzo 2010, Embrice propone un incontro con l’autore per la presentazione del suo omonimo volume, edito da Kappa. A partire dalle 18:00, presso la sede di Via delle Sette Chiese, 78, è prevista, infatti, la quarta e ultima tappa dell’evento dedicato al fotografo, architetto e docente di “Percezione e comunicazione visiva” della Facoltà di Architettura L. Quaroni di Roma.
Sono previsti interventi di Humberto Nicoletti Serra, Francesco Galli e Carlo Severati, oltre a un dibattito che coinvolgerà il pubblico e lo staff di Embrice.

Già il titolo, Fotografia come fatto mentale, indica come Giorgio Stockel intenda la fotografia come atto conoscitivo sulla realtà, inquadrandola in un generale ambito gnoseologico. E il testo ne affronta tutte le conseguenze, toccando tanto questioni teoriche quanto dettagliati aspetti operativi della condizione del fotografo all’inizio del terzo millennio.
Da Lascaux alla comparsa della scrittura, alfabetica, ideogrammatica, geroglifica, il volume non si astiene dal toccare, nell’oscuro percorso, coraggiosamente tracciato da Giorgio Stockel, tutti gli aspetti disciplinari che, man mano, si presentano come obbligatori nello svolgimento del tema,.
Si tratta di un’operazione che viene compiuta a partire da un azzeramento di ogni forma di pregiudiziale teorica del lettore che, sin dall’introduzione, viene di fatto accecato e riportato a un grado zero di conoscenza; sistematicamente gli vengono cancellate tutte le possibili accezioni nelle quali egli è abituato a declinare il termine fotografia. Non a caso in apertura largo spazio è dedicato alla cronaca di fotografi non vedenti: se degli individui ciechi possono a buon diritto essere collocati nella categoria di fotografi operatori, è automatico che il buon senso comune, contro il quale Kant già si scagliava, non può più esser invocato a difesa delle proprie convinzioni e una nuova estetica, un nuovo modo di vedere l’immagine fotografica, deve nascere. O meglio: è già nata, e solo pochi di noi lo sapevano.
A tenere dritta la barra della argomentazione verso la direzione della rappresentazione, è la domanda dal quale parte lo stesso Stockel “Perché un cieco fotografa? (piuttosto che “come fa un cieco a fotografare?”). Ed è, quello della rappresentazione, il nodo centrale della stessa pratica della fotografia, poiché “senza rappresentazione”, si dice più avanti nel testo, in forma assiomatica, “non c’è comunicazione.”

Giorgio Stockel, Fotografia come fatto mentale, Edizioni Kappa, Roma 2006.

Gian Luca De Laurentiis

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POVERI, PREZIOSI. Di Barbara Brancaleoni.

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

POVERI, PREZIOSI. Di Barbara Brancaleoni.

A cura di Carla Corrado
Fotografia di Fabio Andriotto

Inaugurazione: venerdì 19 febbraio 2010, ore 18

Da venerdì 19 febbraio 2010 – a mercoledì 3 marzo 2010. Orario: 18 – 20, chiuso la domenica.

Poveri preziosi sono gli ornamenti artigianali prodotti da Barbara Brancaleoni con il marchio BIBIJOU; la lavorazione esalta sempre le qualità materiche dell’oggetto creato senza giungere in alcun caso a processi di finitura o lucidatura. Ed è proprio “il rigore con cui è trattato il materiale, a essere apprezzabile,” come sottolinea Mauro De Luca: “la prevalenza della monomaterialità, l’evidenziazione della artigianalità dei procedimenti, la raffinata scelta dei colori.”
Collane a dischi di cuoio colorato e lamine circolari in ottone, grezze e leggermente irregolari nella forma. Anelli, che sembrano plasmarsi sulle dita della mano, assecondando concavità e convessità anatomiche. Insomma “una collezione di oggetti da indossare,“ secondo Paola Bossalino, che conservano “colori armoniosamente combinati e forme sinuose anche quando le sagome composte suggerirebbero figure geometriche spigolose.”
La Cardiosfera mima il cuore se sospesa ai due estremi, oppure, disposta in maniera asimmetrica, si scompone in due o più gruppi di elementi.
Povertà e autenticità: così l’oggetto indossato introduce una nuova antologia di metafore.

Carla Corrado

Titolo della mostra: “Poveri Preziosi”
Autore: Barbara Brancaleoni
Curatrice: Carla Corrado
Fotografia: Fabio Andriotto
Inaugurazione: Venerdì 19 Febbraio, 2010 ore 18.00
Durata della mostra: da venerdì 19 febbraio a mercoledì 3 marzo 2010
Orario: dal lunedì al sabato dalle 18.00 alle 20.00
Ingresso: libero

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CITTÀ ATTIVA 2009.

Galleria Embrice Arti e Mestiere – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

Città attiva 2009.

A cura di Carla Corrado e Carlo Severati.

Da mercoledì 13 gennaio 2010 – a mercoledì 20 gennaio 2010.

Orario: 18:00 – 20:00, chiuso la domenica.

Inaugurazione: venerdì 18 dicembre 2009, ore 18:00

 La Galleria Embrice e la “Associazione Culturale Via delle Sette Chiese” presentano CITTÀ ATTIVA 2009 una sintesi dell’attività multidisciplinare (architettura, artigianato, arte) svolta lungo tutto il corso del 2009. Una serie di eventi locali,  ma con un’apertura sul panorama internazionale (dall’Iran alla New Zeland ).

 

Architettura: le sessioni di studio: “Edoardo Gellner Architetto (1909 – 2004), tenutasi lo scorso gennaio, in occasione del centenario della sua nascita; e Il convegno “Via delle Sette Chiese, Archeologia, Urbanistica, Architettura” svoltosi il 12 Giugno presso la Libreria Rinascita.

Le mostre: “Paolo Marconi, Architetto: interpretazioni, Repliche, Interpolazioni” (tenutasi a maggio); e “Casa Valva: Radici Organiche a cinquant’anni dalla morte di Frank Lloyd Wright” (tenutasi a dicembre).

L’artigianato con “Rome Streetmates”, dedicata agli oggetti di Nina Tamaro, evento che si è legato alla manifestazione Città Attiva XI, in occasione dell’8 marzo, con attività in strada e con la proiezione, all’Urban Center, del film iraniano As Simple As That  (in edizione originale con i sottotitoli).

Arte, pittura e scultura. Nella mostrata titolata “Infusion” 5 artisti neozelandesi – Claudia Pond Eyley, Miriam Van Wezel, Clinton Weaver,John Pusateri, Finn Scott – artisti e docenti della Scuola di Architettura di Unitec a Auckland, Nuova Zelanda hanno cercato di dimostrare come i processi creativi possano essere infusi nella cultura dell’istruzione d’architettura (in mostra a giugno).

L’esperienza scultorea di Vittorio Giusepponi, presentata come confronto con la materia nella sua progressione da argilla a ceramica è stata protagonista di “Maleducata per definizione” in esposizione fino allo scorso ottobre.

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La Galleria Embrice propone: TRANSLATING: TRASMETTERE L’INTRASMITTIBILE. Incontro con Francesco d’Ayala Valva. Introduzione di Carlo Laurenti.

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

Translating: trasmettere l’intrasmittibile. Incontro con Francesco d’Ayala Valva. Introduzione di Carlo Laurenti.

Giovedì 3 dicembre 2009 – alle ore 18:00.

 A commento della mostra: “ Casa Valva: radici organiche a 50 anni dalla morte di F.Ll.Wright”, dedicata all’opera dell’Architetto Francesco d’Ayala Valva, Carlo Laurenti introdurrà un incontro con l’autore con una conversazione dal tema: “Translating: trasmettere l’intrasmittibile”.

“Imparare facendo” è l’assunto, maturato nell’ambiente di Taliesin –East and West- più frequentemente ripetuto da Francesco d’Ayala Valva. Per l’architettura organica, imparare facendo era nella natura dei materiali. Decisivi elementi di contesto datano ormai la teoria di questo ambito professionale e maieutico. Che tuttavia resta suggestivo nella sua intraducibilità sotto il cielo dell’Europa di oggi. Il tema centrale della collocazione dell’artigianato nella pratica del Tao, che Laurenti ha già affrontato con acutezza e acribia in più di una occasione.

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CASA VALVA. RADICI ORGANICHE A 50 ANNI DALLA MORTE DI F. L. WRIGHT

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com 

  CASA VALVA. RADICI ORGANICHE A 50 ANNI DALLA MORTE DI F. L. WRIGHT

Con il patrocinio di:

Dipartimento di Studi Euro-Americani, Università Roma Tre. – The U.S.- Italy Fulbright Commission. – Fondazione Bruno Zevi. – Ambasciata del Messico. – Istituto Italo-Latino Americano.

 A cura di Carlo Severati

 Inaugurazione: venerdì 20 novembre 2009, ore 18.

 Da venerdì 20 novembre 2009 – a sabato 5 dicembre 2009. Orario: 18 – 20, chiuso la domenica.

 Casa Valva  è il titolo sintetico della mostra dedicata all’Architetto Francesco D’Ayala Valva, che ha frequentato Frank Lloyd Wright dal 1954 come borsista Fulbright. La Mostra è organizzata col Patrocinio di: Dipartimento di Studi Euro-Americani di Roma Tre, Commissione Fulbright, Fondazione Bruno Zevi, Ambasciata del Messico, Istituto Italo-Latino Americano. L’Architetto, dopo un lungo soggiorno in Messico, affronta anche temi locali: come la prima casa ricostruita a Valva, in Irpinia, dopo  il terremoto del 1980.

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L’OPERA NON PIANGE. Incontro con Vittorio Giusepponi, Paolo Balmas e lo staff di Embrice

Galleria Embrice – Roma, Via delle Sette Chiese, 78 – Tel. 06.64521396 – www.embrice.com

L’OPERA NON PIANGE.
Incontro con Vittorio Giusepponi, Paolo Balmas e lo staff di Embrice
a conclusione della mostra “MALEDUCATA PER DEFINIZIONE”.

sabato 31 ottobre 2009, dalle ore 18.00.

A conclusione della mostra “Maleducata per definizione”, la galleria Embrice promuove un incontro con Vittorio Giusepponi, Paolo Balmas, e gli amici di Embrice per una riflessione sulla scultura e le materie di Vittorio.

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