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L’ESPOSIZIONE DEL WERKBUND A COLONIA, MAGGIO-AGOSTO 1914. PRODUZIONE DI PACE IN TEMPO DI GUERRA. MOSTRA DOCUMENTARIA D’ARCHITETTURA.

Il 22 ottobre 2014, alle ore 18, si inaugura, presso la Biblioteca Centrale della Facoltà di Architettura (Roma, via Gramsci 53, Info: Tel. 06.49919126, e-mail: [email protected]), la mostra, L’Esposizione del Werkbund a Colonia, Maggio Agosto 1914. Produzione di Pace in Tempo di Guerra. La mostra, a cura di Alberto Giuliani, rimarrà aperta dal 23 ottobre al 28 novembre, dal lunedì al venerdì dalle 09.00 alle 19.00; ingresso libero.

Questa mostra, organizzata nell’ambito delle celebrazioni sull’ Esposizione del Werkbund tedesco nella città di Colonia, ci offre la possibilità di riflettere in maniera approfondita, a cento anni di distanza, su un evento che possiamo considerare epocale nel quadro dello sviluppo delle Arti Applicate e dell’Architettura del Novecento europeo e mondiale. Il 1914 è segnato dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale che rappresenta uno spartiacque nella storia contemporanea e che coincide, a livello culturale, con un momento di grande crisi. Le nuove istanze di rinnovamento artistico convivono ancora con una tradizione – spesso recente e gloriosa come nel caso della Secessione viennese – la cui influenza è ancora viva e presente negli artisti e nella realtà produttiva. Nel caso specifico la natura a tratti contraddittoria dell’esposizione stessa, caratterizzata dalla presenza di alcuni dei personaggi che, a vario titolo, saranno i protagonisti del rinnovamento del linguaggio architettonico e del design negli anni immediatamente successivi, rappresenta in modo particolarmente evidente il travaglio attraverso il quale si cominciavano a prefigurare gli orizzonti futuri.

La presenza all’Esposizione di Colonia di personalità note come Hoffmann,  Van de Velde,  Behrens, Gropius e Taut, e di altre sin qui trascurate, ci introduce in una temperie all’interno della quale il dibattito sullo stile e sulla forma assumeva i connotati di uno scontro tra mondi ormai lontani e non più conciliabili: proprio le visioni ormai estenuate della grande tradizione austriaca e tedesca avevano posto le basi, in ambito mitteleuropeo, per quel corto circuito che prelude all’avvento del Movimento Moderno. Il serrato confronto tra gli operatori che vedevano nel rinnovamento della produzione artigianale attraverso il diretto apporto dell’arte e dell’industria l’unica strada plausibile per permettere una diffusione capillare del prodotto di qualità all’interno della società, era percorso da tensioni che nell’Esposizione di Colonia ebbero uno dei momenti di maggiore espressione. Le tesi propugnate da Hermann Muthesius sulla necessità di standardizzare il prodotto artistico e le rivendicazioni di Henry Van de Velde sull’unicità non replicabile del gesto creativo ne sono la testimonianza più nota ed evidente.

In realtà, come la mostra cerca di illustrare, le diverse posizioni teoriche spesso non coincidevano con una coerenza progettuale che ne costituisse la concreta dimostrazione. Grandi personalità come lo stesso Muthesius, tra i fondatori del Werkbund tedesco nel 1907,  o come Peter Behrens – che nel 1909 aveva realizzato gli innovativi e fondamentali edifici dell’AEG di Berlino – di fronte al tema leggero dei padiglioni dell’Esposizione, decidono di non andare oltre ad architetture di circostanza, improntate a una depurata  tradizione tardo ottocentesca – Muthesius nella Casa del Colore (Farbenschau) – o a un austero classicismo – Behrens nel Padiglione delle Feste (Festhalle).

Inaugurata il 16 Maggio 1914 in un clima di festosa euforia, l’Esposizione, che era previsto dovesse proseguire fino all’Ottobre successivo, viene drammaticamente e repentinamente chiusa ai primi di Agosto a seguito della dichiarazione di guerra della Germania alla Francia: in brevissimo tempo vengono smantellati tutti gli allestimenti e demoliti i padiglioni, creando una lunga catena di fallimenti e disastri finanziari tra le industrie e le ditte produttrici che avevano sponsorizzato o investito ingenti capitali nell’evento. Il primo ad essere demolito fu il Padiglione del Vetro (Glashaus) di Bruno Taut, forse proprio a causa delle frasi che correvano nel fregio perimetrale esterno non propriamente consone ad un momento nel quale il confronto tra i popoli lasciava il posto alle ostilità militari: questo edificio insieme ad alcuni elementi della Fabbrica Modello di Walter Gropius (Musterfabrik), diventerà tra le icone più note e celebrate dell’Architettura del Novecento.

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