Archives

Comunicati

Banche, filiali in continuo calo e anche il bancomat è a rischio

  • By
  • 12 Maggio 2021

Da molti anni ormai è in atto una progressiva riduzione del numero di filiali di banche in tutta Europa. Se consideriamo l’ultimo decennio, in Italia il numero di sportelli è sceso da 34mila fino a 24mila. Un taglio di un terzo, che peraltro dovrebbe continuare anche nei prossimi anni. E’ interessante fare un paragone con quello che accade nel resto d’Europa. In Italia oggi ci sono 29 filiali ogni 100mila abitanti. In Finlandia se ne sono appena 5, in Olanda 9.

La virtualizzazione delle banche

bancheAlmeno su questo trend quindi, non c’entra nulla la pandemia, perché era già abbondantemente in atto prima ancora che potessimo mia immaginare di vivere una situazione del genere. Semmai la pandemia ha agito come acceleratore di un processo già in corso, ma non come causa scatenante.

Struttura diversa

A pesare in modo forte sulla situazione è comunque il cambiamento profondo della struttura delle banche, che rivoluziona le relazioni con i clienti. Ci sono infatti tanti segnali operativi che le banche non possono non cogliere. L’avvento dell’home banking in particolare, ha quasi del tutto eliminato la necessità di recarsi in filiale per certi tipi di servizi.

In dieci anni, in Italia i clienti che operano sul proprio conto tramite sito o app sono praticamente raddoppiati, visto che erano il 18% e oggi sono il 35%. Allo stesso modo, incide anche la diffusione dei mezzi di pagamento elettronici a scapito del contante.

Un futuro senza ATM

Tutto questo potrebbe segnare il declino dei bancomat, perché per ogni cosa c’è un indicatore momentum che evidenzia la fase calante. E questo momento sembra arrivato anche per i bancomat. Oggi infatti tutto quello che si può fare con loro, si può fare anche con gli smartphone. L’unico servizio esclusivo dell’ATM resta il prelievo del contante, che però va riducendosi sempre di più. Inoltre, al di là della praticità di usare i propri device anziché recarsi agli ATM, c’è anche un aspetto ambientale da sottolineare, perché meno bancomat significa anche meno carta e meno plastica.

No Comments
Comunicati

Inflazione troppo bassa, siamo nella fase di “repressione finanziaria”

  • By
  • 9 Novembre 2017

Se l’inflazione è più forte dei rendimenti, per ogni risparmiatore è un bel problema. Prendete il caso della Germania dove i titoli di Stato sono stati venduti all’asta a un rendimento di -0,39%. Sì avete letto bene: un valore negativo. La cosa peggiore però è che l’inflazione tedesca viaggia sull’1,6%, e tutto questo si traduce in un rendimento reale per il risparmiatore pari a -2%. In pratica l’investimento non produce profitti, ma erode il capitale e spinge il Market facilitation index forex (MFI) all’ingiù.

Ricordiamo peraltro che stiamo parlando della Germania, ovvero di uno dei paesi economicamente più solidi che esistano, uno dei pochi con la Tripla A di rating. Se ci spostiamo in altri paesi del mondo la situazione molto spesso è simile. Il controvalore complessivo delle obbligazioni che esprimono tassi inferiori allo zero è infatti pari a circa 11mila miliardi di dollari. Per lo più parliamo di Bond sovrani.

La repressione scatenata dall’inflazione

Questo fenomeno per il quale l’inflazione batte i rendimenti si chiama “repressione finanziaria”. Non è un fenomeno nuovo oppure di questi tempi. Già in passato c’erano state situazioni simili. Ad esempio nei casi in cui il debito pubblico si accumulava diventando insostenibile. Ma rispetto al passato, quello che caratterizza fortemente la situazione odierna è che la “repressione finanziaria” si sta manifestando in tutte le principali aree economiche, tanto quelle sviluppate quanto quelle emergenti. Inoltre la vera causa non è l’inflazione, bensì i rendimenti dall’indicatore momentum trading al ribasso. Frutto delle politiche ultra-espansive delle banche centrali.

Va fatta una considerazione in merito. Le Banche centrali hanno adottato queste politiche per spingere l’inflazione, ma rischiano l’effetto opposto. Già perché la repressione finanziaria favorisce i debitori, e non li incentiva a cambiare la loro struttura eco-finanziaria. Questo significa che possono continuare a far concorrenza ai produttori che invece sono finanziariamente efficienti. La conseguenza è che la battaglia dei prezzi li spinge all’ingiù: deflazione. Ecco perché molti sperano che finisca l’attuale ciclo di “repressione finanziaria”. Tuttavia al momento non sarebbe possibile farlo senza pregiudicare la sostenibilità dei debitori, e di conseguenza senza dare contraccolpi molto violenti alla crescita economica. Agli investitori quindi non resta altro da fare che abituarsi, e cercare altre fonti di rendimento che non siano i classici titoli di stato.

No Comments
Comunicati

Brexit, gli accordi UE-Londra sono ancora lontani

  • By
  • 11 Ottobre 2017

Continua ad essere molto delicata la situazione del Regno Unito, sul quale incombe ancora l’incertezza legata ai negoziati sulla Brexit. Con Bruxelles si è giunti al quinto “round” dei negoziati per l’uscita dalla UE. Nonostante il calendario sia stato infittito di summit, non sono stati fatti passi avanti significativi. L’intesa tra Londra e i negoziatori comunitari rimane ancora un miraggio. Con l’aggravante che il tempo continua a trascorrere, e dopo oltre un anno dal referendum ancora non si capisce cosa succederà.

brexitChiaramente questo ha effetti importanti sull’economia britannica, che viaggia su e giù sulle montagne russe. Ad esempio, la sterlina ha vissuto un momento di forte debolezza a inizio del mese di ottobre, con l’indicatore momentum trading che ha evidenziato una forte volatilità sui mercati finanziari, oltre che una spinta dei venditori. A innescarla è stato il voto dell’Europarlamento (557 voti a favore, 92 contrari e 29 astenuti) sulla risoluzione di Juncker che ha rifiutato la proposta britannica.

I punti controversi sulla Brexit

Il negoziatore per l’UE Michel Barnier ha spiegato che uno dei punti critici è che i 27 Paesi non ci pensano nemmeno a pagare per ciò che si è deciso quando si era in 28. In pratica ha chiamato in causa le responsabilità finanziarie del Regno Unito. Qualche passo avanti è stato fatto circa i diritti dei cittadini europei, ma manca da concordare il ruolo della Corte europea di giustizia. E poi resta sempre aperta la questione Irlanda del Nord. In tutto questo quadro non va trascurato che Theresa May, primo ministro britannico, sta subendo un assedio interno da parte di molti parlamentari (e anche da qualcuno della sua stessa corrente).

Non stupisce quindi che si faccia strada sui mercati l’idea di un divorzio senza accordi o comunque non così vantaggiosi per il Regno Unito, e che giungano dall’indicatore MACD segnali operativi che non sono certo rialzisti. Il pound inglese si indebolisce nei confronti della moneta unica europea, e questo crea altre tensioni sui mercati.

Fatto insolito: questo accade mentre si è sempre più convinti che la Bank of England procederà con l’aumento del costo del denaro di qui a breve, forse a dicembre. Normalmente questo dovrebbe dare una spinta alla sterlina sui mercati, ma così non sta succedendo. La circostanza insolita tradisce quindi ancora di più la situazione anomale del mercato. Ma del resto, nessuno prima ad ora aveva mia fatto i conti con una Brexit.

No Comments