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Crescita e tassi, la BCE è attesa da una partita difficile (e pericolosa)

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  • 9 Settembre 2023

Tra Europa e Stati Uniti non c’è dubbio che il blocco economico messo peggio sia il vecchio continente. In Europa la crescita è debole mentre negli USA marcia resiliente, e intanto da noi l’inflazione sta scendendo con maggiore fatica e un ritmo più lento. Per questo la situazione in cui si trova la BCE è delicata.

BCE tra due fuochi: inflazione e crescita

crescita eurozonaA metà settembre le due più grandi banche centrali (FED e BCE) si riuniranno in meeting per decidere cosa fare dei tassi di interesse. L’istituto americano sembra indirizzato verso una conferma del livello attuale, mentre quello europeo vive un compito più difficile. Perché la crescita economica verrebbe ulteriormente messa sotto pressione, e il rischio recessione fa molta paura.

All’attesa di un ‘soft landing‘ negli Usa si contrappone sempre di più il timore di un ‘hard landing‘ in Europa. Per questo bisognerà agire con estrema cautela da qui in poi. L’istituto di Washington sembra essere riuscito a ottenere la discesa dell’inflazione (su base annua è al 3,2%) senza portare l’economia in recessione. La Bce deve invece ancora uscire dal tunnel (l’inflazione è al 6,1% su base annua, quasi il doppio di quella americana, dati Pocket Option Italia).

Incertezza sul prossimo meeting

Sul piatto della bilancia europea comincia però a pesare di più il quadro di una crescita sofferente, rispetto alla necessità di abbassare l’inflazione. Ma siccome la priorità istituzionale della BCE riguarda i prezzi, non la tenuta dell’economia, la partita rimane molto aperta.
Tuttavia a Francoforte sanno benissimo che gli oneri finanziari sono a un livello prossimo alla insostenibilità, e in questo momento i finanziamenti per le imprese (anche le migliori) sono costosissimi. Il relative volatility index RVI è cresciuto tantissimo nell’ultimo anno, mettendo sotto pressione la stabilità finanziaria delle imprese. Alzare ancora i tassi potrebbe dare il colpo di grazia all’economia, innescando la recessione.

Se la BCE guardasse al fatto che l’inflazione sta calando, potrebbe decidere di fermarsi un attimo e stare a guardare i dati del prossimo mese. Se invece dovesse focalizzarsi sul ritmo con cui sta scendendo (molto più lento del previsto) allora i falchi potrebbero prevalere nella decisione finale.

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Inflazione alta, la BCE è sempre più stretta all’angolo

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  • 3 Dicembre 2021

La crescita dell’inflazione aumenta la pressione dei falchi all’interno della BCE. Per chi non lo sapesse, i falchi sono i sostenitori di una politica monetaria più aggressiva. Questo si traduce in minori stimoli e tassi di interesse più alti.
A loro si contrappongono le colombe, ossia coloro che chiedono un sostegno forte per continuare il percorso di uscita dalla crisi Covid.

La gestione complicata dell’inflazione

L’ago della bilancia tra queste due anime contrastanti è rappresentato dall’inflazione. Fin quando continuava a viaggiare sotto il livello ritenuto accettabile dalla BCE, ossia il 2%, la posizione delle colombe era solidissima. Negli ultimi mesi però lo scenario ha cominciato a cambiare.

Gli ultimi dati

inflazioneLa ripresa post Covid ha acuito la pressione sui prezzi delle materie prime e dell’energia. Il gas naturale e il petrolio sono arrivati a livelli altissimi, seguendo un doppio supertrend (ossia sul breve e sul medio periodo), prima di ripiegare solo leggermente.
Questo ha spinto verso l’alto l’inflazione al consumo. Secondo l’ultima stima pubblicata da Eurostat, nei Paesi dell’Eurozona il tasso di crescita è più del doppio rispetto all’obiettivo dichiarato della Bce. Per la precisione 4,9%, con un ulteriore aumento rispetto al 4,1% di ottobre.
Un record mai registrato dall’inizio delle serie statistiche di Eurostat nel 1997.

Non è più temporanea

Finora la banca centrale si era allineata ala FED americana, sostenendo che l’inflazione alta fosse un fenomeno temporaneo. Una scusa che ha cominciato a vacillare da tempo, e adesso perde anche la spalla della FED. Nei giorni scorsi infatti Powell ha chiarito: “è ora di smettere di paralre di inflazione temporanea“.
La naturale conseguenza è che adesso i falchi dell’Eurozona premono per una stretta.

Conto alla rovescia per la BCE

La Bce per adesso resiste, affermando che l’inflazione ha raggiunto il picco proprio questo mese, e da ora in poi dovrebbe calare. Per questo si arrocca per difendere i tassi di interesse bassi. Come seguendo una strategia martingala, la BCE raddoppia ogni volta la posta della sua credibilità.
Ma è una posizione che si sta sgretolando, e già da gennaio potrebbe imporre un cambiamento.

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Quantitative easing, la BCE si prepara all’uscita graduale

A metà giugno si deciderà probabilmente il futuro della politica monetaria della UE. Lo ha confermato il capo economista della Banca centrale europea, Peter Praet, in vista della riunione di giugno della Eurotower. In agenda infatti ci sarà la discussione riguardo al termine del quantitative easing, ovvero il piano acquisto titoli che ormai va avanti da alcuni anni per sostenere la crescita dell’economia europea.

Il futuro del quantitative easing

quantitative easing bceMai come questa volta c’è la convinzione che qualcosa finalmente possa muoversi. I recenti commenti infatti rafforzano l’opinione secondo cui il Consiglio direttivo potrebbe fissare un termine a breve al piano di acquisto di titoli di debito. Forse al termine del meeting potrebbe esserci anche un annuncio in tal senso. Il consiglio dovrà valutare se i progressi fatti finora sono sufficienti a garantire che l’abbandono del quantitative easing non provocherà grossi contraccolpi all’eurozona. In special modo il riferimento è all’inflazione, che rimane comunque sotto il target del 2% ma finalmente sta crescendo.

Al momento il quantitative easing è programmato per rimanere in vigore almeno fino a settembre, ma seppure non dovesse esserci un annuncio formale, il solo fatto che se ne parli viene preso in grande considerazione da parte dei mercati, visto che sono mesi che la BCE ha evitato di affrontare la questione. Non a caso l’euro ha ricevuto una spinta immediata non appena è trapelato qualcosa. Se seguiamo la guida ichimoku trading system possiamo vedere come il prezzo abbia evidenziato una improvvisa spinta all’apprezzamento.

La mossa tanto attesa dalla BCE

Giugno potrebbe così essere l’occasione per la BCE di far capire ai mercati che fiducia c’è nella solidità dell’economia dell’area dell’euro. Non sembrano esserci neppure grandi preoccupazioni riguardo all’Italia, la cui crisi ha provocato un balzo dello spread (si veda in proposito l’andamento della strategia bande di Bollinger sul BTP) ma che non dovrebbe avere influenze sulle scelte di politica monetaria.

In definitiva, anche se la BCE sembra orientata a continuare il quantitative easing senza ritocchi, a un ritmo di 30 miliardi di euro al mese, potrebbe cominciare a inviare segnali di normalizzazione al mercato. La riduzione progressiva del programma entro la fine dell’anno comincia ad essere sempre più probabile.

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BCE, il “falco” Weidmann già progetta il suo mandato

La Germania sta già lavorando sotto traccia al futuro della BCE. Alla fine del 2019 scadrà il mandato di Mario Draghi alla guida dell’istituto europeo e la “campagna” per la sua successione è cominciata. Il nome caldo – se non caldissimo – è quello del falco tedesco Jens Weidmann, presidente della Bundesbank. Anche per una questione di tempistica, il suo nome si incastrerebbe alla perfezione con il crono-programma della banca centrale europea. Per qualche mese ancora infatti i tassi di interesse e la politica monetaria europea non cambieranno.

Lo scenario futuro della BCE

bce draghi widmannDal 2019 invece dovrebbe aprirsi uno scenario completamente nuovo per la BCE. Proprio per questo Weidmann quando pochi giorni fa ha presentato il bilancio della Banca centrale tedesca 2017 ha gettato uno sguardo sul futuro. Preannunciando che all’epoca i tempi potrebbero essere maturi per una stretta monetaria. Secondo lui la posizione le prospettive economiche e le proiezioni sull’andamento dei prezzi sono molto positive.

In special modo l’inflazione dovrebbe avvicinarsi decisamente al target del 2%. Questo potrebbe dare il via libera al percorso di normalizzazione della politica monetaria, anche se significherebbe un euro con un relative volatility index RVI più forte rispetto al dollaro (cosa poco positiva nell’ottica di competitività commerciale).

Le mosse di Wiedmann

Weidmann comunque è stato abbastanza esplicito: “Se la spinta economica continuerà e i prezzi cresceranno conformemente, dal mio punto di vista non ci sono motivi per cui la Bce non debba chiudere gli acquisti netti dei titoli quest’anno. La normalizzazione della politica monetaria dovrà però essere graduale e affidabile e tenere conto dell’inflazione”. In sostanza il capo della Bundesbank ha sposato la linea Draghi, ma è pronto a cambiarla appena gli verrà lasciato il testimone del comando, tant’è che gli analisti delle piattaforme di trading stanno già prezzando l’evento. Tutto questo dopo aver beneficiato proprio del quantitative easing. Il piano di acquisto titoli infatti ha fatto benissimo ai conti della Bundesbank. Lo scorso anno la banca centrale tedesca ha chiuso con un utile di 2 miliardi, trasferiti quasi interamente allo Stato federale (1,9 miliardi).

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BCE ostaggio dell’euro: valuta troppo forte per il tapering

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  • 6 Settembre 2017

Ci sono Mario Draghi e la BCE al centro dell’interesse dei mercati finanziari. L’Eurozona sta vivendo una fase molto delicata, non soltanto perché a breve ci sarà l’appuntamento elettorale in Germania, ma anche perché si deve decidere se e fino a quando continuare il Quantitative Easing. Il programma di acquisto titoli voluto un paio di anni fa per sostenere la crescita sembra essere giunto al capolinea. Tuttavia i vertici della BCE sono rimasti spiazzati dal crollo del dollaro e dal conseguente apprezzamento dell’euro. Tutto questo infatti complica terribilmente i piani.

L’euro ostacola i piani della BCE

bce draghiLa valuta unica da diversi mesi sta avanzando costantemente e gradualmente contro il biglietto verde. Ha spazzato via tutte le resistenze tecniche importanti (qui si può approfondire il tema come calcolare supporti e resistenze), comprese quelle dall’alto valore psicologico: prima 1,10, poi 1,15 e adesso sta testando 1,20. Morale della favola? L’euro troppo forte blocca la crescita dell’inflazione che resta ben lontana dal target del 2%. Con questa premessa, parlare di tapering sembra molto complicato.

Per questo motivo i mercati finanziari guardano con grande interesse soprattutto a quello che sta succedendo in Europa. Nessuno sa cosa passa per la testa dei banchieri europei. Decideranno di spostare ancora più in là nel tempo il processo di normalizzazione? Chissà. Forse potrebbero fare il contrario e annunciarlo per fine anno/inizio 2018. Il rischio nel primo caso è trovarsi ancora più spiazzati da una valuta che sale le scalette del Renko senza sosta. Il pericolo nel secondo caso è dare ancora maggiore spinta ad un euro già forte di suo, finendo per vanificare tutti gli sforzi fatti in questi due anni.

Potrebbe andare a finire come dicevano i latini: “in medio stat virtus“. In questo caso significherebbe rivedere l’idea di tapering spinto, abbandonandola a favore di un processo a fasi intermedie nella diminuzione, comunque graduale, degli acquisti di bond.

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BCE, battaglia a distanza con la FED sul rapporto di cambio

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  • 1 Settembre 2017

La BCE vince. No anzi, la BCE perde. Nel giro di pochi mesi la politica attendista della Eurotower è passata dall’essere saggia nella sua eccessiva prudenza, all’essere vulnerabile e stretta all’angolo. Dopo l’elezione di Trump, gli USA hanno avuto un sussulto molto forte, al punto che la FED (forse incautamente) preannunciò 3 o 4 rialzi del costo del denaro. L’effetto è stato di un continuo e imperioso apprezzamento del dollaro, trascinato da dati macroeconomici sempre positivi.

bceMa da primavera in poi lo scenario è cambiato. Le riforme preannunciate da Trump non si sono viste, i dati macro non sono stati troppo positivi e il dollaro ha cominciato a ridiscendere. L’indicatore alligator-coccordillo, che pochi mesi prima teneva le fauci ben spalancate, le ha chiuse. Anzi è stato l’euro a spalancarle di nuovo. Tanto che adesso la FED ha cominciato ad assumere un atteggiamento da “colomba”. E gli conviene, visto che l’attendismo della BCE ha nel frattempo spinto l’euro verso picchi altissimi. Questo rende meno costoso importare dagli USA, che ringraziano e fanno respirare la loro bilancia commerciale.

La posizione scomoda della BCE

La patata bollente è in mano alla Bce. Ha aspettato troppo per il tapering (ovvero la riduzione del piano di stimoli all’economia) e adesso non può più farlo. Il tapering infatti avrebbe come effetto una ulteriore spinta all’euro. Che però è già troppo forte. Sarebbe come pompare una gomma che è ià oltre pressione. La spia delle preoccupazioni dell’istituto centrale europeo sono i rumors riguardo un presunto meeting tra banchieri, addirittura una settimana di anticipo sul board dell’Eurotower. Segno evidente che i timori di aver aspettato troppo sono forti.

E i mercati come hanno reagito? Boom. La valuta comune europea, salita pochi giorni fa oltre la quota psicologica di 1,20 sul dollaro, è ridiscesa fin sotto 1,19 portando giù anche l’indicatore MACD trading. Ma la discesa è durata poco. Però il problema resta. Tutti sapevano che gli Usa stavano lavorando per un indebolimento del dollaro, ma la BCE ha negato finché ha potuto. Adesso però la situazione s’è fatta molto difficile, e la battaglia a distanza tra euro e dollaro sta premiando la FED.

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