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Test antidroga delle Iene… altre verità scomode

 Incedibile, ancora una volta le Iene affacciano su realtà per molti inimmaginabili, per altri incredibilmente deludenti, per altri ancora da sempre ritenute plausibili.

2007, una Iena in borghese ha avvicinato i politici e con il pretesto di un’intervista sulla Finanziaria ha fatto tamponare la loro fronte da una finta truccatrice. Il campione doveva essere analizzato per verificare l’uso da parte dei nostri parlamentari di sostanze stupefacenti da sempre vietate nel nostro paese. Il risultato è stato di 16 onorevoli positivi su 50 campioni analizzati. Di questi parlamentari 12 avevano assunto cannabis e quattro cocaina.

Il servizio bomba avrebbe garantito uno scoop senza precedenti, eppure non è andato in onda. Ad intervenire è stato il Garante per la Privacy e così i politici hanno potuto dormire sonni tranquilli. Ma ci sono delle osservazioni che è lecito fare: Il servizio bloccato avrebbe garantito l’anonimato ai politici coinvolti dalla singolare inchiesta. Questo è fuori dubbio una garanzia che il programma, con dieci anni di servizi alle spalle, ha sempre garantito, dai ladri di motorini, ai guaritori filippini, per non parlare degli infermieri che vendevano i morti alle agenzie di pompe funebri. Tutti sempre rappresentati col volto coperto e dall’identità sconosciuta. Quello che viene spontaneo pensare, allora, è che in Italia evidentemente esiste una privacy di serie A per i parlamentari ed una di categoria inferiore per tutti gli altri.

Altra osservazione, il vero problema della situazione, ben più grave e serio è rappresentato dal fatto che in Italia, coloro che detengono il potere legislativo e si fanno portavoce dei diritti del cittadino, violano le stesse leggi che spesso hanno contribuito a far approvare in misura preoccupante. Qui non si tratta di una disputa tra proibizionisti e antiproibizionisti: ogni parlamentare ha diritto di operare secondo le proprie convinzioni, ma dovrebbe farlo nel rispetto della legge. Un personaggio pubblico gode di molti privilegi, ma deve pure accettare qualche regola in più, deve essere un modello di rappresentazione e di guida, incentivare l’educazione ed il rispetto delle leggi. Quanto può far piacere agli italiani sapere che parte dello stipendio dorato di questi signori finisce speso in droga, mentre molte famiglie non arrivano alla fine del mese? Qui c’è quanto basta per avvelenarsi l’animo per bene.

Ci sono casi di tossicodipendenza minore dichiarata e considerata aggravante per tante persone comuni. Non è giusto questa disuguaglianza in un regime democratico come non è giusto lasciare impunito e libero di rappresentare la volontà popolare un parlamentare che non è in grado di rispettare la legge. Ma questa obiezione, in Italia, è forse ormai troppo vecchia e comune, per poter essere presa sul serio. Di fatto la storia non cambia. No, non va bene.
Calissano si è presentato una domenica pomeriggio in Tv per affermare di aver abbandonato la droga e per questo viene accolto come un eroe. Tanti ragazzi qualsiasi devono affrontare lo stesso percorso e, spesso soli, lo devono fare con maggior eroismo. Non sentiamo alcun orgoglio per la nuova figura del parlamentare disintossicato.

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30 milioni di card magnetiche ogni anno!

Secondo uno studio dell’Osservatorio Loyalty Cards dell’università di Parma condotto sulla grande distribuzione, il mercato italiano delle promozioni al consumo vale tra i 2500 e 2800 milioni di euro, ogni anno vengono emesse 30 milioni di carte fedeltà e l’80% delle famiglie italiane utilizza 3 o più tessere.

Le motivazioni che spingono un potenziale cliente a richiedere la tessere fedeltà possono essere molteplici: la maggior parte dei clienti è attratto dagli sconti sulla spesa, dalla chance di fruire di offerte speciali e per accedere a raccolte punti che danno diritto a regali. Quello delle tessere è un vero e proprio boom. I clienti che utilizzano il catalogo hanno una frequenza di visita al punto vendita doppia rispetto alla media della clientela e la loro spesa totale annua è tre volte quella di un cliente che non partecipa al catalogo.

L’idea di fidelizzare il cliente con un regalo si è manifestata per la prima volta in Italia nel 1875 con la famosissima raccolta delle figurine Lebing che si trovavano nei barattoli dell’estratto di carne a cui seguirono numerosi altri casi di raccolte di figurine. Dopo il fenomeno figurine esplose quello dei “bollini”. Una delle prime raccolte fu quella lanciata da Mulino Bianco che dalla fine degli anni settanta decise di stimolare la fedeltà ai suoi prodotti con dei premi che esprimessero i valori del marchio. Oggi la prima “consumer collection” italiana è quella Granarolo che dal 1995 propone una raccolta a punti con regali di grande successo, visto che ogni anno vengono richiesti da 700.000 a 1.000.000 di premi.

I bollini adesivi, soggetti a falsificazione o a usura, sono sempre più spesso sostituiti dalle card in plastica (con codice a barre stampato, con banda magnetica o con microchip), più pratiche e affidabili. Ogni tessera fedeltà contiene tutte le informazioni relative ai nostri consumi e molti rabbrividiscono solo all’idea: dati importantissimi per le aziende che li utilizzano per pianificare le loro strategie di marketing.

Per mezzo di questi studi le aziende possono attrarre ogni anno più clienti alla fedeltà verso il proprio marchio e aumentare così i propri benefici. Come è tipico del marketing, la massa di clienti appare come una gallina dalle uova d’oro da attrarre e ammaliare per ricavare il massimo del beneficio.

E’ poi così vantaggioso fruire dei premi e servizi legati alla carta fedeltà? Se la filosofia adottata è quella di comprare il prodotto scegliendolo in modo che risponda esattamente alla proprie esigenze allora si possono effettivamente ricavare dei benefici. Spesso però accade che queste raccolte a punti ci spingono a comprare dei prodotti in eccesso rispetto alle nostre esigenze solo per completare la raccolta ed avere un oggetto in regalo al prezzo di acquisti inutili e superflui. Inoltre, normalmente, bisogna integrare i punti con una cifra in denaro: il risparmio rispetto all’acquisto tradizionale si aggira allora intorno al 30-35% ovvero quello equivalente ad un prodotto in promozione o in offerta! La raccolta punti può convenire, quindi, a patto che il prodotto serva davvero, che si possa verificare in anticipo la sua qualità e che si possa raggiungere la meta agognata senza dover aumentare i regolari acquisti settimanali.

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Sport e denaro

L’associazione del denaro allo sport ha degradato l’evento di incontro, scambio, divertimento e socializzazione che dovrebbe rappresentare lo sport e lo ha trasformato in un giro di soldi senza precedenti, venendo meno a molti obiettivi utili e nobili a cui invece lo sport, sopratutto a grandi livelli, poteva condurre.

Quando subentra il denaro gli obiettivi delle persone, delle società e delle aziende possono cambiare rapidamente come è normale che ci si aspetti. Questo è lecito nel mondo del lavoro. Ovviamente non è più lecito se conduce all’illegalità, alla mancanza di rispetto, alla violenza o se trasforma un evento sociale, culturale e di intrattenimento in un evento diseducativo. E’ quello che secondo molti è successo a molti livelli dello sport quando questi raggiungendo i livelli massimi di competizione diventano esclusivamente un business per chi li gestisce. Ne sono esempi palesi il calcio, la formula uno, il motociclismo.

Quando dietro un evento gira molto denaro è inevitabile non soffermarsi su alcune osservazioni: inevitabilmente tali eventi acquistano grande importanza in termini di oudiens per cui conquistano un’attenzione incredibilmente grande. Questa attenzione è fornita a pieno dal pubblico ma è pur vero che lo stesso pubblico è indotto a interessarsi ed a seguire certi eventi per opera di un continuo bombardamento di messaggi che giungono continuamente al nostro cervello fino ad interiorizzarli per bene. E’ così che leggendo sempre di calcio mercato, acquisti e contratti delle società, decisioni tattiche se non persino di controversie legali si è continuamente informati di ogni aspetto sportivo. Basta pensare al tempo che la rubrica sportiva occupa all’interno del telegiornale di punta, alle pagine dedicate all’informazione sportiva di un quotidiano… un quotidiano che giornalmente ha sempre molti articoli riguardanti lo sport da pubblicare. Vi è tanto da scrivere sullo sport e sulle società sportive quanto le notizie di cronaca di tutto il mondo! Forse non è proprio così, forse è un semplice questione di scelta, selezionare solo alcune informazioni di cronaca e incrementare quelle sportive. Siamo davvero più interessati allo sport che alle notizie internazionali o siamo forse guidati nelle nostre letture o forse vi è la compresenza di entrambe le cose? Anche quando il cittadino è realmente interessato alle notizie sportive è giusto che un quotidiano di cronaca generale si pieghi alle volontà del pubblico venendo meno al suo ruolo fondamentale di informazione ed educazione? Tutto sommato esistono già i giornali totalmente dediti allo sport.

Altra domanda che molte persone si possono porre è se sia equilibrato la mole di milioni di euro che ruota dietro al mondo sportivo rispetto ai diritti fondamentali di vita che l’uomo dovrebbe avere e non possiede. Sarebbe teoricamente plausibile se anche la salute, l’educazione, il lavoro e infine il tempo libero per ogni singolo essere umano avessero un appoggio monetario paragonabile a quello concesso al mondo sportivo! Ovviamente c’è un disequilibrio disumano che non solo è privo di rispetto verso le persone che combattono ogni giorno con la fame per sopravvivere ma è anche anti-educativo per giovani a cui la società, in questo modo, non insegna cosa sia il rispetto né tanto meno a dare la giusta importanza da un alto all’intrattenimento e dall’altro al denaro, al dovere e all’informazione.

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Ray Charles, una leggenda americana

Se esiste un’esperienza che può dimostrare la possibilità di raggiungere traguardi eccezionali pur partendo da condizioni estremamente svantaggiate, questa è l’esperienza di Ray Charles. Nell’America degli anni Trenta la sua vita potrebbe già destinata all’insuccesso: Ray è nero, povero e cieco dall’età di sette anni. Invece, malgrado tali premesse, egli riesce a imporsi sulla scena musicale americana fino a diventare una leggenda della musica mondiale. Come ciò è stato possibile non è difficile da spiegare. La fortuna centra soltanto relativamente. Sono piuttosto il coraggio, la determinazione , lo straordinario talento che spiegano questo  strepitoso successo.

Ray Robinson nacque ad Albany, in Georgia, il 23 Settembre 1930, e sin da piccolissimo si innamorò della musica conosciuta attraverso gli inni della chiesa battista e il blues dei musicisti locali. A cinque anni era già in grado di suonare il pianoforte. Proprio in quel periodo avvenne anche la prima tragedia della sua vita: la morte del fratello George e l’inizio della perdita della vista. Due anni dopo Ray era ormai cieco, ma determinato a convivere coraggiosamente con l suo handicap. Rifiutò infatti di utilizzare il  bastone, un cane guida o qualsiasi altro strumento preferendo affidarsi al suo udito e ai suoni. Fondamentale, in questo momento, fu la presenza amorevole ma inflessibile della madre. Fu lei a iscriverlo alla scuola pubblica per non vedenti di St. Augustine, dove Ray imparò a leggere la musica in Braille e assorbì le diverse influenze musicali della scena locale: dal jazz allo swing, dal gospel al country. Dopo la morte della madre, avvenuta poco dopo, Ray rimase solo ma non si perse d’animo. A soli 17 anni salì su un Greyhound e attraversò quasi tutto il continente nordamericano fino a raggiungere Seattle. Qui iniziò a esibirsi come pianista e crooner finché non riuscì a ottenere un primo contratto con l’etichetta Swing-time Records. Il primo successo arrivò però all’inizio degli anni Cinquanta, quando Ray firmò con l’Atlantic Records e fu mandato in tournée con la leggendaria Ruth Brown, “Miss Rhythm”. Di li a poco mescolando la spiritualità del gospel con la carnalità del blues, il successo fu immediato. Nel 1956 pubblico “I’ve got a woman” seguito da altri brani memorabili, tra cui “Unchain my heart” e “Hit the road Jack“. A venti anni Ray Charles era già definito “The Genius”. Nel 1959 egli cambiò nuovamente etichetta passando alla ABC-Paramount dalla quale ottenne un contratto estremamente vantaggioso in base al quale manteneva la proprietà dei suoi master: un controllo finanziario che fino ad allora non era stato concesso a nessun altro musicista. Il passaggio alla Paramount segnò anche una svolta nel suo linguaggio musicale che si arricchì delle sonorità della musica country e western. Sono di questo periodo classici favolosi come “Georgia on my mind” e “I can’t stop loving you“. Nei turbolenti anni Sessanta Ray iniziò anche a battersi per i diritti civili dei neri rifiutandosi di suonare in club aperti soltanto ai bianchi. Contemporaneamente, tuttavia, la sua vita privata franò sopratutto a causa dell’eroina. Anche in questo caso però Ray Charles non si lasciò sopraffare: si ricoverò infatti in una clinica e si liberò per sempre dalla tossico-dipendenza. Tornò quindi alla musica e riprese le sue tournée con un ritmo impressionante di concerti. Nel corso della sua carriera Ray Charlesvinse ben 18 Grammy e incise più di 75 album, fino al 10 Giugno del 2004, quando è morto all’età di 73 anni.

Quella di Ray Charles è stata veramente una vita intensa, passionale, drammatica, sofferta, La si può paragonare ad un lungo viaggio pieno di ostacoli ma sommamente affascinante. Un viaggio costellato da grandi successi, ma anche di molti fallimenti personali dai quali tuttavia Ray seppe sempre rialzarsi.

La sua musica rilegge tutti i generi della cultura americana dando vita a un prodotto del tutto innovativo, capace di affascinare vecchie e nuove generazioni. A lui, non a caso, si sono ispirate icone musicali del calibro di Elvis resley, B King, Stevie Wonder fino ad artisti giovanissimi quali AliciaKeys, Norah Jones e Jstin Timberlake.

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ESSO, la più grande compagnia petrolifera del mondo

Durante le elezioni del 2000 in USA la Esso diede 1.376 milioni di dollari ai repubblicani, più di qualsiasi altra compagnia petrolifera. E non fu la sola. Il 91% delle compagnie appoggiavano l’elezione di Bush. Guarda caso, non appena Gorge W. Bush diventò presidente degli USA rimosse gli Stati Uniti dal protocollo di Kyoto, l’unico accordo internazionale che collegava il riscaldamento globale alla politica che la Esso ed altre compagnie petrolifere promuovevano. Gli USA coprono un territorio vastissimo e come sappiamo è un paese fortemente industrializzato, da soli sono responsabili del 25% dell’inquinamento globale che causa l’innalzamento delle temperature. Ciò significa che il suo contributo ha un grande effetto sull’efficacia del protocollo stesso.

La Esso è famosa per aver sostenuto la campagna più attiva per bloccare lo svolgimento del protocollo di Kyoto e ha supportato organizzazioni corporative a fare lo stesso servendosi dei suoi poteri politici ed economici per ostacolare qualsiasi intervento su ciò che riguarda i cambi climatici. Ricordiamo che l’estrazione del petrolio e la combustione dei combustibili fossili causano di emissioni di gas serra in assoluto più impattanti. Chi vuole è libero di non credere al fatto che la Esso avviò persino una campagna pubblicitaria di condanna del protocollo di Kyoto sulla stampa americana, servendosi di Bush per tirarsene fuori. Patrocinò inoltre una propaganda multimilionaria per annullare le prove su cui basare una azione legale a difesa del clima globale. Ad oggi la Esso riesce ancora ad aggirare il problema diplomaticamente servendosi di studi scientifici vecchi o incorretti per confermare le sue posizioni. Usando strategie perfezionate dalle compagnie del tabacco, queste campagne pubblicitarie confondono il pubblico e i politici nei confronti del riscaldamento globale e mettono a tacere la volontà politica sull’argomento. Non solo: ebbe anche il coraggio di pubblicare un messaggio sui giornali americani, proprio due giorni prima l’entrata di Gorge W. Bush, sottolineando i propri obbiettivi di “una politica energetica per la nuova amministrazione” affermando che l’obbiettivo di Kyoto era dannoso, irrealistico e che andava assolutamente modificato.

Esisteva fino a qualche anno fa una coalizione, detta Coalizione per il Clima Globale (CGG), formata da un gruppo industriale a favore delle risorse energetiche derivanti dai combustibili fossili che esercita un ruolo di leader nel minare le iniziative atte a risolvere il problema del surriscaldamento (il suo sito web proclama  “liberarsi bene dal Kyoto”). La Esso la sostenne per ben due anni. Poi nel 2002 la GCC si “sciolse” dichiarando di aver espletato i propri scopi contribuendo ad un nuovo approccio nazionale nei confronti del riscaldamento globale. In altre parole, con gli Usa fuori dal protocollo di Kyoto la GCC non aveva più ragion d’essere.
Esso è di sostegno finanziario e presiede a capo dell’API, Istituto Petroliero Americano. A partire dal 1998 l’API predispose di reclutare  e formare “scienziati indipendenti”, ovviamente senza nessun trascorso di dispute sulla questione climatica, per intraprendere un lavoro mediatico contro la scienza ufficiale sul clima e il protocollo di Kyoto. La conclusione ovvia di tutto questo discorso è che la Esso non è interessata ai cambi climatici e rifiuta di accettare il legame esistente tra i propri affari e il riscaldamento globale.
Da ciò la Esso si è sempre mossa nel tentativo di fuorviare l’opinione pubblica e i suoi sostenitori tramite l’uso di studi scientifici selezionati scorretti e obsoleti.
La compagnia rifiuta di investire in qualsiasi tipo di progetto per l’energia alternativa, in contrasto con la BP e la Shell che avranno entrambi investito 500 milioni di dollari nei prossimi tre anni. Invece, Esso sta espandendo in maniera prepotente la sua produzione di gas e benzina premendo politicamente per aver accesso a nuove aree petrolifere vergini  come la Artic National Wildlife Refugee in Alaska.

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Paradisi Fiscali

I «paradisi fiscali», sono dei territori piccolissimi o degli stati le cui legislazioni fiscali sono volutamente lassiste o inesistenti atte ad offrire una condizione legale e fiscale del tutto favorevole ai detentori di grossi capitali, indipendentemente dall’origine di questi ultimi. Secondo le stime, il numero dei paradisi fiscali varia dai 60 alle 90 unità.
All’origine alcuni di questi territori non erano che dei porti dove potevano trovare rifugio le navi dei grandi imperi europei dalle intemperie e dai pirati. Parliamo del 1800 a cui corrisponde la fase di attribuzione della bandiera di nazionalità britannica o francese alle isole dei Carabi che si trovano al largo dell’America Latina.
Negli anni venti incominciano a sorgere dei nuovi territori specializzati nella formulazione di legislazioni destinate a sottrarre i patrimoni alla imposte: Bahamas, Svizzera, Lussemburgo.
La fine della Seconda guerra mondiale segna la vera svolta per lo sviluppo dei paradisi: I territori sotto il dominio europeo furono tagliati fuori dal piano Marshall e non ricevettero, quindi,  aiuti economici sperati. Alcuni territori così, invece di continuare a produrre materie prime che non avrebbero più sostenuto la stabilità economica, si specializzano nell’accoglienza e nel concedere asilo ai detentori di capitali istituendo il segreto bancario e l’assenza di tassazione.
Con l’emergere degli eurodollari (capitali in valuta statunitense rimasti sui mercati esteri dopo la dichiarazione di inconvertibilità da parte del presidente Nixon nel 1971) negli anni 60 e dei petrodollari (mezzi di pagamento in valuta statunitense in mano ai grandi produttori petroliferi che in seguito al forte aumento dei prezzi del greggio dei primi anni settanta, risultarono inconvertibili per la svalutazione dichiarata dall’amministrazione Nixon nel 1971) negli anni 70, le grandi banche, le grandi imprese e la City di Londra, che attira tutte le grandi società finanziarie, appoggiarono lo sviluppo di queste strutture, avendo tutte da guadagnare nel poter disporre di zone con debolissima imposizione fiscale. A Bahamas, Svizzera e Lussemburgo si aggiungono, in questo periodo il Liechtenstein, le Isole del Canale, le Isole Cayman, Bermuda, Panama.
Nel corso degli ultimi trenta anni, proprio grazie alla liberalizzazione finanziaria che ha incoraggiato l’assenza di controllo sui movimenti di capitale su scala internazionale, il numero dei paradisi fiscali cresce vertiginosamente. I movimenti di capitale trovano nei paradisi un singolare luogo accoglienza che favorisce soprattutto la criminalità, avendo questa il tempo e modo di ripulire le proprie ricchezze, riacquistando limpidezza e carta bianca.
E’ stimato che l’attività dei paradisi fiscali è oggi caratterizzata da un giro di affari di oltre 1800 miliardi di dollari l’anno. Nei soli paradisi europei sono registrate più di 680.000 società e un numero più che doppio di trust.
I paradisi hanno contribuito e contribuiscono alla fortuna delle potenze finanziarie, implicate sin dall’origine nelle creazioni di questi paradisi fiscali. Difficilmente dunque le potenze accetteranno di disfarsene.

Una curiosità per chi volesse fare un bel giro turistico: Al boulevard Prince Henry di Lussembrugo, capitale dell’omonimo granducato, al nr. 13, tutte nello stesso palazzo si possono trovare le sedi di Pirelli, Mondadori, Tosi, Merloni Ariston e, 50 metri più in là, Meccanica Finanziaria, Lucchini, Autogrill, Franzoni, Gazzoni Frascara e Valentino.
Cosa ci fa il gruppo Mediaset a Malta? E l’Istituto Mobiliare Italiano a Madeira?
Non deve stupire che quasi il 50% (112 su 250) delle società quotate in borsa ed il 25% (22 su 88) dei gruppi bancari hanno partecipazioni, quasi sempre di controllo, in società residenti nei paradisi fiscali.
Bisogna quindi sapere che risparmi investiti in fondi comuni e simili, corrono il rischio di entrare nel giro degli investimenti praticati dalle società che hanno sede in un paradiso fiscale (in Lussemburgo, o alle Bahamas), entrando, quindi, in contatto con altro denaro di dubbia provenienza facilitando operazioni di candeggio o riciclaggio molto redditizie per le banche off shore e per le mafie internazionali…
Molti istituti di credito italiani, dal San Paolo all’Unicredito, dalla Banca Nazionale del Lavoro alla Banca di Roma, dalla Comit alla Banca Popolare dell’Emilia, sono titolari di società off shore con sede in paradisi fiscali, dove possono tranquillamente operare al di fuori di ogni controllo del fisco e al di fuori della legge.

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La natura nel pieno della sua potenzialità si esprime anche attraverso oceani verdi

Solo la libertà e la leggerezza di un uccello può permettere di apprezzare la grandezza del Pantanal, la sterminata pianura tra Brasile e Bolivia che ogni anno finisce sommersa e diventa un paradiso naturale popolato da milioni di esseri, la più grande zona umida del mondo, la più vasta riserva di acque interne della terra.

Il Pantanal, “il pantano” si trova nel cuore profondo del Brasile e rappresenta un immenso declivio alluvionale che a Nord sfiora il bacino del Rio delle Amazzoni e varca, verso occidente, oltre i confini politici, la Bolivia e il Paraguay.

Un vero spettacolo della natura dove fiumi e canali sembrano serpenti attorcigliati l’uno all’altro in un gioco inestricabile, creatori di in un labirinto di acque verde-azzurro. Vi sono fiumi che con regolarità, scompaiono e riappaiono una volta ogni sei mesi. Il Pantanal è una piana a geografia mutante: da Aprile a Settembre, le acque del fiume Paraguay e dei suoi affluenti, sotto l’onda d’urto di piogge torrenziali (1500 millimetri ogni anno), si trasformano in un lago senza confini, in un oceano nascosto nella profondità dell’america latina. E’ come se metà della Francia finisse, di colpo, sott’acqua. Nell’estate australe una coltre acquitrinosa, profonda avvolte fino a sette metri, ricopre la geografia umida del Pantanal. Gli indigeni di questa terra acquatica la chiamavano Mar di Xaraes.

Passati i mesi delle tempeste tropicali, il Pantanal riemerge. Le acque si ritirano e lasciano dietro a loro isole sabbiose ricoperte di boschi e savane. E’ un paesaggio di immense pozzanghere rotonde, di lagune salmastre, di praterie intrise di umidità. Per milioni di esseri viventi il Pantanal è un Eden reale. Qui si trovano 3500 specie di piante, 264 di pesci, 652 di uccelli, 102 di mammiferi, 80 di rettili, 40 di anfibi. Un vero portento di biodiversità, un intreccio di ecosistemi da tutelare assolutamente e allo stesso modo da esplorare e contemplare.

Il Pantanal è un piano inclinato appena percettibile e ciò fa sì che le acque, nella stagione della chuva, la piaoggia, esondino senza fretta: ma è un alluvione che non può essere fermata. Solo quando le grandi piogge rallentano nei mesi della seca, si mette in moto il vazante, il deflusso. E’ altrettanto lento ma alla fine i fiumi ritrovano la pace dei loro alvei contorti. Da Nord a Sud il declivio quasi si azzera: non più di due centimetri di dislivello per centinaia di chilometri. Dunque orizzonti che si perdono a vista d’occhio, nessuna collina, nessuna montagnola, l’immensità del “pantano” rimane solo una sensazione per chi non ha le ali…

Nel Pantanal ci sono anche gli uomini: i pantaneiros, poche migliaia dispersi in fattorie isolate e vastissime. La densità degli uomini non arriva a un abitante per chilometro quadrato. La vita di un pantaneiros è dedita ai cavalli robusti e alle grandi mandrie di vacche e zebù. Le giornate, i mesi e gli anni sono scanditi dalle nascite dei vitelli, dalla vaccinazione annuale del bestiame, dai piccoli rodei di fattoria, dalla paura per le malattie e non ultimo dalla transumanza per radunare le vacche brade prima che restino intrappolate dalle acque che inondano il Pantanal…

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Ospedale amico del bambino

Nel 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) e l’ UNICEF hanno lanciato una campagna mondiale per promuovere l’allattamento al seno, volta a invertire la tendenza dell’uso di surrogati del latte materno e a sostenere tutte le precauzioni volte alla corretta nutrizione dei bambini.

Una nuova contro tendenza nei confronti della modernità del novecento, un riavvicinamento alla naturalità del sistema a cui apparteniamo…

Nel corso del novecento era diventato d’uso comune ricorrere durante l’allattamento all’uso di farine lattee in sostituzione del latte materno. Questa tendenza è ancora quella dominante nella maggior parte dei paesi del mondo. Nelle regioni più sviluppate, la possibilità di allattare il proprio bimbo con surrogati del latte materno, biberon e accessori vari era sicuramente vista come una modernizzazione a cui aderire per il meglio del bimbo stesso è permetteva anche una maggiore emancipazione delle donne. Nei paesi in via di sviluppo però, dove le condizioni igienico-sanitarie sono molto precarie e dove l’acqua è un bene incerto, le conseguenze di questa nuova tendenza hanno condotto ad una maggiore incidenza di morte, malattie e denutrizione. Oggi molte donne continuano a fare ciò che la prassi gli dice di fare e questa prassi, come detto, è ancora quella si svezzare prematuramente il bimbo e di aiutarsi con il latte in polvere.

Il latte naturale, ovvero quello che un bimbo può serenamente prendere dal seno della propria madre, è un vero è proprio tesoro, esso  fornisce al bimbo tutto ciò di cui necessita, dall’acqua alle sostanze di difesa immunitaria, al nutrimento richiesto da quel particolare stadio di vita. Un neonato che si nutre esclusivamente di latte materno non soffrirà mai la sete, rafforzerà il proprio sistema immunitario e avrà un nutrimento che si adatta alla crescita giorno dopo giorno poichè è il latte stesso a cambiare nel coso delle ore e delle giornate per adattarsi ad una mervigliosa creatura quale un bimbo.

L’iniziativa “ospedale amico del bambino” offre alle strutture sanitarie le linee guida per diventare veri e propri centri di sostegno all’allattamento materno. Un ospedale che aderisce all’iniziativa si impegna a non accettare campioni gratuiti o a buon mercato di surrogati del latte materno, di biberon o tettarelle e ad attuare dieci passi fondamentali per favorire l’allattamento al seno.
Dalla promozione di questa iniziativa ad oggi sono stati più di 19.000 gli ospedali, in 140 Paesi in via di sviluppo e industrializzati, a ottenere il riconoscimento “amico del bambino”.

I dieci passi raccomandati per il successo dell’allattamento al seno” sono:

  1. Definire un protocollo scritto per l’allattamento al seno da far conoscere a tutto il personale sanitario
  2. Preparare tutto il personale sanitario per attuare compiutamente questo protocollo
  3. Informare tutte le donne in gravidanza dei vantaggi e dei metodi di realizzazione dell’allattamento al seno
  4. Aiutare le madri perché comincino ad allattare al seno già mezz’ora dopo il parto
  5. Mostrare alle madri come allattare e come mantenere la secrezione lattea anche nel caso in cui vengano separate dai neonati
  6. Non somministrare ai neonati alimenti o liquidi diversi dal latte materno, tranne che su precisa prescrizione medica
  7. Sistemare il neonato nella stessa stanza della madre ( rooming-in ), in modo che trascorrano insieme ventiquattr’ore su ventiquattro durante la permanenza in ospedale
  8. Incoraggiare l’allattamento al seno a richiesta tutte le volte che il neonato sollecita nutrimento
  9. Non dare tettarelle artificiali o succhiotti ai neonati durante il periodo dell’allattamento
  10. Favorire la creazione di gruppi di sostegno alla pratica dell’allattamento al seno, in modo che le madri vi si possano rivolgere dopo essere state dimesse dall’ospedale o dalla clinica.

Tutto ciò smentisce la paura di molte donne di non avere abbastanza latte o di non poter sopperire adeguatamente alle necessità del proprio figlio. Secondo questa filosofia infatti è proprio un buon attaccamento al seno e quindi l’avvio di un allattamento naturale e continuativo nel tempo a favorire dal punto di vista biologico la produzione del latte. Se si aggiunge il fatto che l’allattamento al seno rende più intimo e stretto il raporto madre-figlio giovando alla salute, al benessere e alla serenità di entrambi, allora questa iniziativa assume una nobiltà priva di misure..

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Vegetazione, flora, fauna ed ecosistemi: l’azione europea

A partire dagli anni settanta, oltre all’unificazione del mercato europeo, la comunica economica europea ha volto l’attenzione alle sempre più incalzanti problematiche ambientali, divenendone il riferimento principale per tutta l’Unione Europea.A partire da questi anni, infatti, sono state emesse una serie di convenzioni e direttive volte ad indirizzare il quadro normativo degli stati membri che altrimenti non avrebbero attuato opere di volte al ripristino e alla salvaguardia ambientale o lo avrebbero fatto ancora più tardivamente di quanto è avvenuto e dai risultati estremamente eterogenei e di difficile comparazione. Riportiamo qui di seguito le tappe fondamentali che hanno costruito la storia della normativa europea in materia di ambiente, natura ed energia:

La Convenzione di Ramsar,

Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale, soprattutto in riferimento agli habitat degli uccelli acquatici, è stata firmata a Ramsar, in Iran, il 2 febbraio 1971. Ratificata in Italia con DPR 13 marzo 1976, n. 448.

La Convenzione si pone come obiettivo la tutela internazionale delle zone definite “umide” mediante l’individuazione, delimitazione e lo studio degli aspetti caratteristici, in particolare dell’avifauna, al fine di porre in essere programmi che ne consentano la conservazione e la valorizzazione.

Direttiva del consiglio  Concernente la conservazione degli uccelli selvatici, 2 aprile 1979 N. 409. La direttiva concerne la conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo. Essa si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tali specie, comprendendo l’aspetto sia riproduttivo che ambientale e ne disciplina lo sfruttamento.

Direttiva”Habitat” 92/43/CEE per “la conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche”

Scopo della direttiva è contribuire a salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato.

Le misure adottate dalla presente direttiva sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario, senza trascurare tuttavia le esigenze economiche, sociali e culturali, nonché le particolarità regionali e locali.

Con la presente direttiva nasce Natura 2000. Essa è una rete di aree destinate alla conservazione della biodiversità sul territorio dell’Unione Europea, istituita dall’art. 3 della direttiva.

Tali aree denominate SIC (Siti di Interesse Comunitario) e ZSC (Zone Speciali di Conservazione) nel loro complesso garantiscono la presenza, il mantenimento e/o il ripristino di habitat e specie del continente europeo,  particolarmente minacciati dalla frammentazione e dall’estinzione.

La rete Natura 2000 permette agli Stati membri di applicare il concetto innovativo di tutela della biodiversità riconoscendo l’interdipendenza di elementi biotici, abiotici e antropici che concorrono nel garantire l’equilibrio naturale in tutte le sue componenti.

All’interno delle aree SIC e ZSC sono vietate una serie di attività al fine di assicurarne la preservazione. Qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell’incidenza che tanga conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Essa costituisce lo strumento per garantire, dal punto di vista procedurale e sostanziale, il raggiungimento di un rapporto equilibrato tra la conservazione soddisfacente degli habitat e delle specie e l’uso sostenibile del territorio. In Italia la direttiva “Habitat” è attuata dal DPR 8 settembre 1997, n. 357 con lo scopo di salvaguardare l’integrità dei siti attraverso l’esame delle interferenze di piani e progetti non direttamente connessi alla conservazione degli habitat e delle specie ed in grado di condizionarne l’equilibrio ambientale. 

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L’importanza della Naturopatia, ieri oggi e domani

Oggi, sempre più numerose, sono svariate le correnti di pensiero che ricercano un vivere sano ed in equilibrio naturale col mondo che ci circonda. E’ sempre più assodato tra le persone che si può raggiungere uno stato di benessere e prevenire le malattie in modo del tutto naturale, utilizzando rimedi e pratiche non artificiali attraverso cui stabilire il giusto equilibrio bioenergetico, fisico e psicoterapeutico. Equilibrio, la chiave di tutto. Con l’equilibrio si comunica bene, si vive bene, ci si sente meglio. La naturopatia è sempre esistita, prima ancora che qualcuno gli desse un nome. Solo per citare un esempio, i rimedi naturali erano usati fin dai tempi più antichi (anche perchè non esisteva l’industria) e il principio vis medicatrix naturae, “il potere naturale di auto-guarigione” era uno dei fondamenti dell’antica scuola del medico greco Ippocrate (460-375 a.C.). Ai tempi di Ippocrate, il sistema ecoambientale era molto più equilibrato di oggi: aria pulita, acqua incontaminata, cibo genuino, elementi della terra allo stato puro, dal fango all’argilla. Attraverso l’interazione di queste componenti il fenomeno di autoguarigione si innescava facilmente e automaticamente, portando equilibrio all’essere umano. Dall’osservazione di tutto ciò, nasce la Naturopatia, una riscoperta del potere di auto-guarigione. Essa fonda i suoi principi sull’idea che il corpo dell’uomo riesca a guarire spontaneamente se riesce ad espellere le tossine accumulate dai modi di vita non corretti. Utilizzando il potere curativo della natura, essa spinge le nostre difese a tornare in equilibrio e a funzionare correttamente, rendendoci i veri ed unici artefici della nostra buona salute. I rimedi utilizzati a questo scopo sono erbe, prodotti minerali e animali, ma anche altri antichi metodi usati da popoli e civiltà culturalmente lontane da quelle occidentali come le tecniche manuali, l’agopuntura e la riflessologia in generale. In effetti la fitoterapia, l’omeopatia, i Fiori di Bach, gli oligoelementi, la gemmoterapia e la riflessologia sono tutte delle terapie aventi un denominatore comune: la Naturopatia. Anche una passeggiata in un ambiente luminoso, bello e tranquillo concorre alla cura del proprio essere e il suo potere energetico non andrebbe sottovalutato.

 E il Naturopata che cosa fa? Egli cerca di comprendere, in primo luogo, quali possano essere state le cause che hanno condotto il paziente al suo stato di disagio. Contemporaneamente cerca di ripristinare e promuovere le capacità funzionali del corpo, non focalizzandosi sull’apparato affetto da anomalia ma sull’equilibrio fisico, emozionale, mentale ed energetico, lavorando sulle cause che lo hanno alterato. E’ la forza vitale l’energia che ogni uomo possiede e che è in grado di guarirlo. Per questi motivi, il naturopata è colui che “educa” alla salute e non di certo un medico. Un bel passo avanti verso una nuova indpendenza dal sistema medicinale e curativo occidentale, dalla contaminazione diffusa dell’ambiente e dallo stress quotidiano a cui questa vita moderna e frenetica ci spinge!

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Troppi cari mutui e tassi sopra la media Ue

 Da tempo l’Ue combatte per abbassare i costi di operazioni bancarie e mutui in tutta Europa, con l’Italia sempre di più nel mirino rispetto agli altri paesi. I tassi per mutui e per i crediti al consumo sono più elevati della media Ue; il tasso annuo effettivo globale di questi ultimi anni è maggiore di circa un punto percentuale; i tassi praticati dalle finanziarie, specie sulle operazioni di piccolo importo sono ancora più elevati.

Come se non bastasse, dai rapporti pubblicati da Bruxelles negli ultimi mesi, è emerso che i conti italiani sono i più cari del vecchio continente. E si potrebbe incalzare ammettendo che per lavorare un assegno in Italia si richiedono ancora in media sette giorni. In Italia ci vuole una legge per facilitare la trasmissione digitale delle immagini che ne consentirebbe una significativa riduzione.

Vediamo qualche confronto con il resto dell’Europa.

Mediamente in Europa mantenere un conto costa 14 euro all’anno, una cifra ragionevole. In Italia, il prezzo si aggira sui 90 euro. Qualcuno potrebbe osservare che il prezzo maggiore giustifica alcuni servizi garantiti ma è pur sempre una cifra sproporzionata e lontana anni luce dai costi imposti dai cittadini danesi e olandesi che pagano l’inezia di 2,5 euro, o dei tedeschi che arrivano a pagare 40 euro.

Fortunatamente le banche italiane si sono impegnate ad abolire i costi per la chiusura dei conti, visto che fino all’anno scorso divorziare allo sportello costava la bellezza di 60 euro.

Le cose non migliorano se si esaminano le commissioni caricate sui prelievi con carta di credito. In Europa prelevare 100 euro costa in media 1.14 euro, mentre in Italia l’operazione può costare fino a sei volte di più. Sempre in Italia, un commerciante per accettare la carta di credito può pagare fino a quattro volte di più rispetto ad un commerciante europeo, con ovvie ripercussioni sul prezzo pagato in cassa dai consumatori.

Altro esempio poco entusiasmante sono i bonifici transfrontalieri. Italia e Grecia spiccano per la variabilità dei costi da un istituto all’altro. In Italia fare un bonifico di 100 euro può costare da zero a 12 euro con un valore medio di 2,5 euro comunque superiore a quello medio europeo di 1,30.

Trend in aumento per i trasferimenti interni e per i prelievi da bancomat. Nel 2001 per un trasferimento interno si pagava dai 25 centesimi ai 4 euro, nel 2005 tra i 2 e i 5 euro.

Infine, grande piaga per il consumatore italiano, il costo di un mutuo. Secondo i dati di Bankitalia in Italia i mutui sono troppo cari rispetto al resto d’Europa con un differenziale anomalo: a Marzo 2007 il tasso d’interesse sui nuovi prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è risultato essere del 5,2% a fronte del 4,7% registrato in media nell’area dell’euro. Buffo notare che, sempre in Italia, i due terzi dei prestiti contratti per acquistare casa è a tasso variabile mentre in Europa le proporzioni sono ribaltate. Allora i rialzi del costo del denaro in corso in Europa avranno effetti più onerosi per i cittadini italiani.

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Definizione ed aspetti storici della mutagenesi ambientale

 La mutagenesi si è sviluppata come branca specialistica della genetica in relazione al fatto che composti chimici e radiazioni ionizzanti e non, capaci di indurre mutazioni in differenti sistemi sperimentali possono influire negativamente sull’incidenza delle malattie ereditarie nell’uomo.Successivamente, in seguito anche alla conferma che la maggior parte degli agenti chimici che inducono il cancro hanno anche attività mutagena, sono stati sviluppati numerosi test genetici, che formano il corpo della mutagenesi ambientale, e che sono utilizzati per individuare agenti chimici e fisici con capacità mutagena e quindi potenzialmente cancerogena.

L’ispiratrice e la fondatrice di tutto il settore della ricerca sulla “mutagenesi chimica” prima, e della “mutagenesi ambientale” dopo, è stata indubbiamente Charlotte Auerbach, soprattutto negli anni in cui dirigeva la “Mutagenesis Research Unit” del Medical Research council presso l’Institute of Animal Genetics dell’Università di Edimburgo (Scozia), la prima istituzione scientifica di ricerca, riconosciuta a livello nazionale ed internazionale, nel settore della mutagenesi teorica e sperimentale.

Lo sviluppo invece della Mutagenesi Ambientale è riconducibile ad un numero limitato di ricercatori in diversi Paesi dell’Europa e del  Nord America.

Con i loro studi hanno gettato le basi scientifiche, sia pure con argomenti individuali, di un corpo di conoscenze che oggi ha raggiunto il massimo consolidamento scientifico “sperimentale e teorico”,  pari a quelli di altri settori di ricerca e di conoscenza all’interno delle scienze genetiche

La Auerbach pubblicò il suo primo lavoro sperimentale sulla mutagenesi chimica nel 1946, ma come rivela lei stessa nel 1951 “Sono trascorsi appena 10 anni da quando il Dr. Muller (1941), nell’ultimo Cold Spring Harbour Symphosium sul gene e le mutazioni, aveva detto che i tentativi di indurre mutazioni mediante sostanze chimiche non avevano ancora prodotto risultati chiaramente positivi”.

A dire la verità, questa affermazione già allora non era vera, risultati chiaramente positivi erano stati ottenuti qualche settimana prima (dell’affermazione di Muller) con il gas mostarda, ma, a causa di ragioni di sicurezza nazionale che proibivano la pubblicazione di ricerche di guerra, questi risultati sono stati tenuti segreti sino a qualche tempo dopo la guerra “(Auerbach e Robson, 1942, 1947).)

Durante la Iª Guerra Mondiale i farmacologi erano stati colpiti dalla somiglianza esistente tra le ustioni prodotte sulle persone dalle radiazioni X e dal gas mostarda (gas asfissiante usato abbondantemente in tale guerra ed anche dopo!) che rimarginavano debolmente e successivamente si riaprivano. Da ciò l’ipotesi che il gas asfissiante potesse indurre aberrazioni cromosomiche e quindi mutazioni.

Inoltre, in analogia con i Raggi X, si ipotizzò che composti BI-FUNZIONALI della famiglia delle MOSTARDE AZOTATE, potessero essere degli utili composti ANTI-NEOPLASTICI.

Cio portò allo sviluppo, presso il CHESTER BEATTY RESEARCH INSTITUTE (attualmente Institute of Cancer Research), di importanti composti anti-neoplastici parzialmente in uso anche oggi. Praticamente la mutagenesi chimica  si è sviluppata ininterrottamente e con grande successo durante i 25 anni successivi alla scoperta di C. Auerbach e collaboratori, coinvolgendo diversi ricercatori in moltissimi laboratori

Nel 1964 fu pubblicato il primo numero della rivista “Mutation Research” edita da F.H.Sobels.

A partire dal 1965, avendo fatto molta attenzione ai pericoli genetici prodotti dalle radiazioni ionizzanti (dalla bomba atomica lanciata su Hiroshima il 6 agosto 1945 e dopo) i ricercatori di genetica e di mutagenesi riuscirono a convincere la Società del pericolo esistente anche per la potenziale induzione di mutazioni nella popolazione umana da parte di numerose sostanze chimiche sintetizzate per vari impieghi e trovate mutagene su una serie vasta di organismi animali, vegetali e microbici.

Molte di queste sostanze rientravano in settori di applicazione industriale per la produzione di materie utilizzate in medicina, nell’industria chimica, nei pesticidi, nei conservanti degli alimenti, nei cosmetici, ecc., che comunque comportavano un’esposizione più o meno rilevante della popolazione umana a materiale potenzialmente mutageno.

Il rilevante interesse suscitato dal possibile rischio per la salute umana rappresentato dalle sostanze mutagene ed il forte impegno della ricerca sulla mutagenesi chimica negli Stati Uniti ed in Europa, determinarono la fondazione della  Environmental Mutagen Society (EMS) in una storica riunione organizzata a Washington  nell’Aprile 1969, dove era anche presente una decina di ricercatori europei. 

Uno dei primi atti dell’ EMS fu la costituzione di un registro delle sostanze chimiche valutate per la loro potenziale mutagenicità e dell’ Environmental Mutagen Information Center (EMIC) ad Oak Ridge, per volere di A. Hollaender e diretto da J.Wasson

L’evento di Washington fu immediatamente seguito dalla costituzione della European Branch della EMS (EEMS), con una riunione scientifica organizzata a Monaco di Baviera il 10 luglio 1970.

Tale riunione, presieduta dal Presidente della EMS, A.Hollaender, fu aperta dall’intervento di C.Auerbach sulle problematiche dei test in relazione all’interesse scientifico del processo di mutagenesi; da L. Ehrenberg, di Stoccolma, sui problemi chimici della mutagenesi ambientale; da G.Röhrborn, di Heidelberg, sui rapporti tra mutageni chimici e l’uomo; da N. Loprieno di Pisa, sulla specificità dei mutageni chimici.

Nell’ottobre 1991, in Italia, è stata fondata la Società Italiana di Mutagenesi Ambientale (S.I.M.A., primo presidente Prof. Nicola Loprieno), che è andata ad unirsi ad un panorama di analoghe Società europee e mondiali.

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Muccino d’America

 Con La ricerca della felicità, alias, the pursuit of Happyness, Gabriele Muccino ha decisamente conquistato Hollywood. Il mondo patinato del business cinematografico si è inchinato al suo talento, offrendogli non poche opportunità. Da quasi due anni Muccino è di stanza in America, corteggiato da grandi star, tra cui Tom Cruise a casa del quale è ospite di riguardo. Amato dal pubblico italiano ma sempre un po snobbato dalla critica di casa nostra, ha cercato altrove nuovi scenari possibili, mantenendo immutata la voglia di fare bel cinema.

Dopo Come te nessuno mai, Muccino aveva stipulato un contratto con la Miramax per il remake di C’eravamo tanto amati. Il progetto è andato in fumo ed il contratto è scaduto. Stava per iniziare un film con Al Pacino, altro progetto non andato in porto, quando Eva Mendes, entusiasta dell’Ultimo bacio, durante le iprese di Hitch, ha parlato del film a Will Smith. Il quale, dopo aver visto anche lui la pellicola, ha dichiarato di voler lavorare col regista italiano proponendogli di dirigere La ricerca della felicità. Deciso a fare questo film, Muccino si presenta con Will Smith ai boss della Columbia, futuri produttori del film insieme a Smith. Stando a quanto dice Muccino, i produttori erano terrorizzati all’idea di affidare un film ad alto budget a un regista italiano che non aveva mai girato una scena in lingua inglese. Alla fine crede di averla spuntata solamente perchè Will lo ha imposto alla produzione quando solitamente sono i produttori ad imporsi sulle scelte della ragia o nella sceneggiatura.

Il film è tratto dalla storia vera di Chris Gardner, durante l’era Reagan, in una San Francisco senza sole. Venditore di macchinari ospedalieri, Gardner, con un figlio (nel film interpretto dal vero figlio di Smith, Jaden) che studia in una scuola di cinesi nel quartiere Chinatown e una moglie che lavora in una lavanderia, non ha una vita brillante. Un pensiero prende corpo nella sua testa, quello di dare una svolta alla sua vita. La ricerca i Gardner è la ricerca di una vita migliore dell’attuale contrassegnata dal benessere che gli manca, dal sorriso scomparso dal viso di sua moglie, e dalla routine di un lavoro di venditore privo di soddisfazione. Abbandonato dalla moglie, messo in carcere per un giorno, sporco di vernice e vestito come un operaio si presenterà alla selezione più importante di un corso di formazione per futuri broker all’interno di una famosa società. L’emozione aumenta durante tutto il film: un emozione che prende il cuore e anche lo stomaco nel seguire l’onestà, la forza e la caparbietà di un uomo che non demorde mai anche quando, sfrattato di casa, inventa un gioco con lo scopo di distrarre il figlio e farlo addormentare nel bagno della metropolitana.

La ricerca della felicità è lontana dai racconti intrisi di pessimismo del nostro Muccino: i suoi film, infatti, sono sempre stati raccontati con una punta di cinismo, tanto da essere etichettato in Italia come “il regista della borghesia”. Il film è una storia che tocca molti americani, che spesso arrivano a vivere una povertà estrema. Racconta la sopravvivenza di un uomo che trasforma e riscatta la sua vita. Forse l’unico particolare che lo accomuna agli altri lavori del regista italiano è che Gardner si trova, come gran parte dei personaggi di Muccino, al limite della disperazione e deve fare una scelta che determinerà la sua vita. Un dramma raccontato senza un velo di enfasi lontanissimo dalla retorica dell’happy end.

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La delusione del cittadino italiano

 Un forte senso di sfiducia e amarezza pervade l’aria del nostro bel paese, il risultato di tanti anni di aspettative continuamente ripagate da una gestione politica deludente.

In uno scenario politico così frammentato, labile, statico e retrogrado  è davvero facile fare irruzione in scena palesando apertamente tutto quel malcontento comune del cittadino italiano che le altre forme di comunicazione di massa si ostentano a censurare.

Così Beppe Grillo, comico italiano, forte del suo carisma e con i suoi eccessi verbali, è riuscito a conquistarsi l’attenzione di molti cittadini e a travolgere il delicato sistema politico e la maggioranza che attualmente governa il nostro paese nel faticoso tentativo di riprendere ossigeno.

Già da anni Beppe Grillo ha colpito nel segno con il suo blog, uno spazio web dove il comico italiano schiaffeggia il conformismo della stampa italiana pubblicando una serie molto eterogenea di notizie, che nessuno stampa. Infatti già la censura dei giornali e la monotonia che li caratterizza ha contribuito da anni a far nascere un forte senso di repulsione dei cittadini verso l’informazione politica di cui parlano.

Ma la nausea per l’informazione odierna è nulla se paragonata a quella per la politica italiana.

I giovani sentono di vivere in un paese fantastico posto nelle mani di persone chiuse, inefficaci e per molti versi ancora conservatrici rispetto a molti altri paesi dell’Unione Europea. Non meraviglia, quindi, se Grillo promuovendo una campagna, come quella portata avanti nel V-day, per un parlamento pulito e ringiovanito ha avuto l’appoggio di molti giovani, studiosi e non, che vorrebbero veder fare qualcosa in più per il loro paese dalle persone che hanno scelto alle innumerevoli elezioni parlamentari… si fa per dire: rappresentanti della volontà popolare personificati in deputati condannati ed eletti dalle segreterie dei partiti più che dai cittadini.

Ancora non basta, per avere una svolta, secondo Grillo, si deve eliminare l’odierno sistema dei partiti sfilacciati, fatti di formazioni sempre più numerose e poco rappresentative, ma potenti e invadenti. Alla luce di tutto questo forse una buona percentuale di italiani sarebbero disposti ad avere Beppe Grillo come premier, non tanto per la fiducia nelle sue abilità politiche (ammesso che ne abbia) ma perchè semplicemente non ne può più.

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Il mistero irrisolto dell’Isola di Pasqua

 Uno dei misteri più grandi sulla terra è la presenza delle grandi statue di roccia che si levano in piedi sull’isola di Pasqua. L’isola di Pasqua è una delle isole più distanti dalla terra ferma, essa infatti è in pieno oceano pacifico del sud, 3.700 Km ad ovest del litorale del Cile e 4.022 Km a sud-est della Tahiti. L’isola più vicina è a 2.252 Km di distanza ed è disabitata. Già questa distanza rende l’isola molto particolare. Tanto famosa quanto piccola, l’Isola di Pasqua è lunga solamente 24 Km e larga 16 Km. Tuttavia, l’isola di Pasqua, che era quasi deserta quando è stata scoperta il giorno di Pasqua del 1722 da un capitano olandese, è ricoperta da centinaia monoliti, ognuno dei quali pesa diverse tonnellate e possono arrivano fino a 9 metri di altezza. Chi ha costruito queste statue giganti e perchè? Nessuno conosce la risposta sicura ma molti, da sempre, stanno cercando di capirlo. E’ stato Persino suggerito che gli extraterrestri possano aver svolto un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’origine di queste statue giganti e della civiltà che le ha costruite e molte sono le teorie che emergono. Una teoria suggerisce che l’isola di Pasqua è stata abitata dai marinai Polinesiani giunti sin li attraverso un viaggio lungo migliaia di miglia per mezzo delle loro canoe, guidati dalle stelle, dai ritmi dell’oceano, dal colore del cielo e del sole, dalle figure delle nubi, se non persino dalla direzione di volo degli uccelli in migrazione. I Polinesiani sarebbero così giunti sull’isola nel 400 d.C. Tuttavia, le correnti dell’oceano che li hanno condotti sin là non gli avrebbero permesso di tornare indietro. Bloccati sull’isola, si impiantarono lì originando una nuova civiltà con le sue proprie usanze e credenze. Sembra che tra la popolazione esistessero due ranghi sociali diversi, quello caratterizzato dagli orecchi lunghi, più importanti e quelli dagli orecchi corti, gli operai. Potrebbe essere per questo motivo che la maggior parte delle famose statue dell’isola  hanno le orecchie lunghe.

Ci sono 887 statue che sono state ritrovate sull’isola. Tuttavia, soltanto alcune statue sono giunte alla loro destinazione finale. Il resto è stato abbandonato lungo il tragitto. Le statue sono rocciose e sembra che siano state intagliate dal bordo superiore delle pareti rocciose del vulcano sull’isola. Una volta che la statua fosse stata intagliata, veniva presumibilmente trascinata verso la base del vulcano così da poter esser legata da corde e posta in piedi. Per mezzo del sistema della puleggia, la statua veniva infine condotta alla relativa destinazione.

Le statue furono poste tutte allineate tra loro, con lo sguardo volto verso l’isola. Poiché un opera del genere richiedeva la cooperazione dell’intera popolazione, la gente doveva esser convinta che tale opera fosse voluta dalle loro divinità.

Il decadimento della civiltà fu probabilmente dovuto all’esaurirsi delle risorse sull’isola, ormai troppo piccola per 11000 abitanti. Il lavoro sulle statue si fermò e le statue in costruzione furono abbandonate e quando i primi Europei giunsero sull’isola, trovarono un numero molto esiguo di abitanti. Questa storia rappresenta solo una delle tante ipotesi plausibili eppure non considera e non chiarisce tanti misteri rimasti ancora irrisolti: gli abitanti dell’isola avevano un proprio sistema di scrittura, differente da qualsiasi altro nel mondo. Nessun altro abitante del pacifico ha saputo scrivere come loro, neanche gli indiani americani. Chi ha insegnato loro a scrivere? Hanno forse sviluppato un sistema proprio? Inoltre gli abitanti dell’isola di Pasqua hanno vissuto lontani dalle patate dolci che hanno coltivato. Queste patate dolci si trovavano in America. Come le hanno ottenute? Ancora più assurdo sembra che qualcuno possa aver viaggiato per 2300 miglia in assenza di mezzi opportuni. Eppure l’arrivo dei cileni attraverso questo lungo percorso è la teoria di base per il libro ed il film Kon-Tiki. E’ stato fatto uno studio sul DNA prelevato da campioni ritrovati in tombe appositamente scavate che hanno dimostrato il collegamento filogenetico con i polinesiani. Dunque i polinesiani hanno vissuto sul mare ed hanno saputo come viaggiare attraverso le loro piccole canoe migliaia di miglia. Sapevano dove stavano andando. Gli indiani americani non hanno mai saputo come riuscirci.

Come potete vedere, allo stato odierno, ci sono parecchie teorie per quanto riguarda l’isola di Pasqua e le statue che vi risiedono. Altre teorie hanno persino suggerito l’intervento degli alieni per spiegare simili eventi. L’isola di Pasqua continua ad essere uno dei misteri irrisolti più grandi del mondo.

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Un motivo per l’invasione in Iraq

 Il mondo intero è vincolato economicamente a una sola valuta, il dollaro americano, che un solo paese può produrre a volontà, gli USA. Questo permette loro di controllare il commercio mondiale. Gli Stati Uniti importano notevoli quantità di merci e servizi a costi relativi molto bassi. Infatti come è noto, gli Usa risultano la prima potenza economica mondiale. Adesso l’euro comincia ad essere una seria minaccia per l’egemonia del dollaro e per l’egemonia economica statunitense. Non solo perché attualmente è più forte ma anche perché compete con l’euro nell’ex Unione Sovietica, in Asia Centrale, nell’Africa Sub-sahariana e in Medio Oriente.

Il primo segno in questo senso è emerso nel novembre del 2000 quando l’Iraq, per la prima volta all’interno dell’OPEC, vendette il petrolio in valuta europea. Da allora, il valore dell’euro è aumentato del 17% e il dollaro ha cominciato a calare. Si potrebbe quindi pensare che una possibile ragione dell’invasione e dell’insediamento del governo USA in Iraq è stata quella di costringere il paese a tornare sui propri passi per gli scambi petroliferi in dollari. Se ciò fosse vero un altro motivo per l’invasione potrebbe allora essere quello di scoraggiare altri slanci dell’OPEC verso l’euro, specialmente da parte dell’Iran, visto il precedente, il secondo produttore dell’OPEC, che stava attivamente discutendo il passaggio all’euro per le esportazioni di petrolio.

A causa degli enormi deficit commerciali oggi il dollaro è attualmente sopra valutato di circa il 40%. Allo stesso tempo l’area dell’euro non ha grossi deficit, applica tassi d’interesse più elevati e possiede una quota crescente nel commercio internazionale. Questo equivale a dire che l’euro si sta rafforzando sempre più a dimostrazione della sua crescente diffusione e che il dollaro non sarà più l’unica scelta a livello mondiale.

Perché dovrebbe risultare tanto assurdo che di fronte al declino della propria potenza economica in campo internazionale, la superiorità militare risulterebbe essere l’unico strumento rimasto agli USA per dominare il mondo? Considerando che il costo di un tale sforzo militare sia insostenibile, il mondo potrebbe rovesciare gli Stati Uniti dalla loro posizione egemonica, se solo volessero, con l’abbandono concertato del regime monetario basato sul dollaro. I governi non possono non essere consapevoli di questa possibilità. Eppure allo stato odierno stiamo ancora così, nulla sembra essere cambiato: gli Usa si impongono militarmente non solo in Iraq ma in molti alti paesi del mondo, invadono e sostengono dittature in paesi a loro lontani per un meschino interesse economico ed il resto del mondo, le stesse dittature, accettano questo compromesso dietro una sottile rete di interessi avvolte davvero incomprensibile anche ai più esperti. Dal momento che si è parlato ben poco della connessione euro-dollaro con la «guerra al terrorismo» e che i media continuano a  non parlarne, la discussione, quale che sia stata, dovrà comunque allargarsi in futuro, poiché né quella per il dollaro e per l’economia statunitense, né la minaccia rappresentata dagli USA per la pace mondiale svaniranno molto presto.

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L’uso di integratori alimentari per il nostro benessere

 Affinchè una dieta sia sana ed equilibrata deve comprendere tutti i nutrimenti: componenti degli alimenti che l’organismo usa per svolgere le sue normali funzioni vitali. Una alimentazione carente di uno, pochi o molti di questi nutrienti può causare problemi di varia natura ed entità. Si può allora ricorrere all’uso di integratori alimentari

 I nutrienti organici, detti anche macronutrienti, sono, come noto, i carboidrati, le proteine e i grassi. Essi sono indispensabili fonti di energia e di materia (gli amminoacidi) per costruire altra materia (massa muscolare ed enzimi). I nutrienti inorganici o micronutrienti sono i sali minerali, l’acqua e le vitamine. Quest’ultimi spesso sono presi sotto gamba pur essendo fondamentali per la formazione delle molecole e la regolazione dei processi metabolici. Al contrario dei macronutrienti sono presenti in quantità minime negli alimenti ed un regime alimentare che omette determinati cibi può facilmente condurre ad una caranza ad alcuni di questi micronutrienti. Una loro mancanza può causare scompensi nel metabolismo e  lungo andare condurci a diversi problemi più o meno cronici e molto antipatici come i crampi, le unghie deboli ma anche a situazioni di anemia ed osteoporosi.

Ormai è indiscutibile che privarsi di frutta e verdura a sufficienza fà sì che manchino vitamine e minerali. Oltre ad una dieta poco ricca ci possono essere altri motivi che rendano inadeguato l’apporto di nutrienti: malattie che non consentono all’organismo di assorbire in maniera adeguata queste sostanze oppure fasi della vita (crescita, gravidanza, vecchiaia) in cui si ha particolarmente bisogno di certi  nutrienti. In tutti questi casi, è bene e a volte necessario, integrare la propria alimentazione sopperendo alla mancanza di una o più di queste sostanze. Gli integratori alimentari altro non sono che una fonte concentrata di nutrienti. Possono contenere sostanze vegetali o non ma comunque naturali come la propoli, la pappa reale o il polline d’api. Gli integratori possono essere assunti solo per via orale e non rappresentano medicinali né prodotti dietetici atti a curare malattie o a dimagrire. Essi servono a favorire il benessere dell’organismo contribuendo ad un’alimentazione bilanciata e corretta e ad aiutare le funzioni fisiologiche dell’organismo.

Concludiamo con una breve panoramica sugli integratori alimentari che sono comunenmente disponibili nelle erboristerie. A seconda dei componenti, si distinguono quelli costituiti da painte officnali e loro derivati, integratori di vitamine, di sali minerali, di fattori nutrizionali non essenziali ma che partecipano ai processi metabolici, di amminoacidi e loro derivati, di protenie, integratori energetici, di acidi grassi, integratori a base di probiotici (microorganismi capaci si superare a barriera gastrica e di arrivare “vivi” nell’intestino dove, riequilibrando la flora intestinale, normalizzano le funzioni intestinali e contrstano l’insorgere delle infezioni) ed infine intergratori di fibra. C’è davvero un mondo di benessere da scoprire dietro questi integratori ma non bisogna scordarsi che l’integratore più sano e naturale resta una sana ed equilibrata nutrizione. Ci si domanda solo se, col massimo dell’impegno, la vita moderna ci consenta di acquistare prodotti davvero sani e ricchi di nutrienti come è normale che sia o se la recente mania delle colture intensive non ci stia automaticamente rendendo vittime di una carenza nutritiva ormai diffusa.

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Feng-Shui

Il Feng-Shui è un’antica disciplina cinese che risale a migliaia di anni fa. Oggi giorno si sta diffondendo ampiamente anche nella cultura occidentale come stile di bioarchitettura, armonia e rispetto dell’uomo nell’ambiente in cui vive. Essa agisce in modo d a migliorare l’energia della casa, strutturando la costruzione e l’arredamento dello spazio vitale in maniera opportuna così da poter raggiungere il massimo beneficio in termini di salute, rilassamento mentale, successo economico e professionale e benessere in generale. La casa rappresenta il nostro nido, un luogo sicuro dove riposarsi, trovare conforto, staccare dal mondo esterno e riappropiarsi dei propri pensieri e della propria coscienza. E’ perciò fondamentale che essa sia in piena sintonia col nostro essere.

Perchè ciò abbia successo bisogna integrare l’architettura, l’arredamento e l’ambiente della domus con le dimensioni interiori dell’uomo. Se ciò non fosse fatto o se fosse eseguito senza il rispetto di tal principio si rischia di produrre squilibrio energetico nella vita quotidiana.

Fortunatamente per gli animi accorti a creare situazioni ambientali favorevoli da un punto di vista energetico, tale disciplina risulta estremamente pratica e di semplice attuazione, basta seguire le poche regole di base ed applicare ad esse il proprio istinto energetico. Ciò vuole anche significare che chiunque può attuarla senza nessuno studio particolare.

Dal punto di vista ancor più pratico, il Feng Shui, quando collegato direttamente all’arredamento di un locale, non costringe a dover sostenere costi per cambiare o comprare altro mobilio. In un arredamento poco armonioso, nella maggior parte dei casi, basta spostare la disposizione dei mobili. Al più questa disciplina si serve di piante, pietre e minerali, specchi, luci, colori, cristalli, wind chimes, flauti di  bamboo, acquari e fontane, oggetti simboli, oggetti personali.
Feng Shui ,che tradotto vuol dire Vento e Acqua (i due elementi vitali per l’uomo) è in sintesi il Buon senso applicato.

I Cinque Elementi

Fondamentali è la conoscenza delle proprietà dei cinque elementi e dei loro giusti accostamenti. Conoscere il ciclo creativo e quello cosiddetto “di controllo” permetterà di non commettere errori nell’accostamento di materiali non in armonia tra di loro. Supponiamo di avere un camino blu. Il blu rappresenta l’acqua e quindi richiama questo elemento, ma il camino rappresenta l’elemento fuoco perciò nel ciclo di controllo l’acqua spegne il fuoco. Mentre se il camino è di colore terra avremo creato il ciclo creativo perché il fuoco dà vita alla terra. Come mostra l’esempio gli elementi possono essere richiamati non solo dal materiale con i quali sono composti, ma anche dal colore abbinato a ciascun elemento.

Nel ciclo Creativo dei 5 elementi si vede che il Legno dà vita al Fuoco, il Fuoco dà vita alla Terra, la Terra dà vita al Metallo (inteso come tutti i minerali), il Metallo dà vita all’Acqua, l’Acqua dà vita al Legno. Viceversa Nel ciclo di Controllo dei 5 elementi il Fuoco fonde il Metallo, il Metallo taglia il Legno, il Legno consuma la Terra, la Terra infanga l’Acqua, l’Acqua spegne il Fuoco. Sulla base di questi cicli è possibile armonizzare le forse dell’ambiente con le nostre esigenze.

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Il Condizionamento dei Prodotti Ortofrutticoli

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  • 3 Gennaio 2008

Il condizionamento rappresenta una serie di processi a cui sono sottoposti gli ortofrutticoli successivamente alla loro raccolta e permette di preparare il prodotto per il mercato del consumo fresco.

Frutta ed ortaggi sono raccolti, in relazione alle caratteristiche biologiche possedute, a maturità commerciale o a maturità fisiologica. Una volta raccolti, i prodotti, come prevedono i disciplinari di produzione, sono sottoposti ad una fase di “pre-packing” che consente una prima cernita degli stessi per portare alle successive linee di lavorazione prodotti con caratteristiche omogenee. Dopo la raccolta  gli ortofrutticoli sono trasportati nei magazzini di deposito temporaneo. Al momento dello scarico si opera a mano o meccanicamente una campionatura del prodotto caratterizzata dal prelievo di un numero significativo di ortofrutticoli sui quali vengono valutati i parametri che servono alla classificazione morfologico-qualitativa Parimenti si effettua anche una prima selezione qualitativa che prende in considerazione soprattutto le condizioni igieniche e sanitarie con lo scopo di effettuare una separazione preliminare dei prodotti ritenuti idonei da quelli non idonei al mercato fresco.

In seguito alla esecuzione dei controlli, frutta ed ortaggi sono sottoposti a diverse operazioni nelle linee di lavorazione di condizionamento, in relazione alle differenti caratteristiche possedute.

Generalmente le varie fasi del condizionamento degli ortofrutticoli per il mercato o la conservazione prevedono una serie di lavorazioni comuni.

Una prima operazione a cui i prodotti sono sottoposti è la pulizia. Questa può essere effettuata mediante bagnatura con acqua o con soluzioni detergenti tramite macchine operatrici fornite di ugelli o docce posti al di sopra di spazzole fisse che puliscono il prodotto movimentato tramite nastri trasportatori. Successivamente si opera l‘asciugatura realizzata attraverso macchine costituite da tunnel provvisti di ventilatori che soffiano aria alla temperatura di circa 15°C su un nastro trasportatore dove passano i prodotti.

Gli ortofrutticoli non bagnabili sono sottoposti a spazzolatura meccanica tramite spazzole in crine o in fibre vegetali poste superiormente ai nastri trasportatori che strofinano delicatamente i prodotti asportando le impurità.

Dopo la pulizia gli ortofrutticoli sono sottoposti ad una serie di trattamenti estetici ed igiènizzanti che svolgono il ruolo di offrire un prodotto dalla presentazione appetibile ed esente da patologie prolungandone così la vita commerciale.

La rifinitura è una delle cure estetiche utilizzata per alcuni ortaggi da operatori che effettuano a mano una serie di lavorazioni. Per esempio la sgambatura di cipolle, porri, scalogni che avviene con il taglio degli steli per ottenere prodotti uniformi e più facili da consumare; la sgranatura dell’aglio o la rifinitura di frutta in guscio.

Altra pratica estetica è rappresentata dalla ceratùra che svolge, inoltre, la funzione di limitare la traspirazione ed aumentare la conservabilità del prodotto. Questa si pratica su numerose specie frutticole ed alcune orticole tramite cere di paraffine con funzione fungicida spruzzate a caldo da ugelli posti sopra ad un nastro trasportatore.

Tra i trattamenti igienizzanti certamente il principale è la curatura che si realizza su ortaggi e tuberi per aumentarne la conserrvabilità e permettere la cicatrizzazione delle lesioni. La tecnica attualmente in uso prevede di stoccare i prodotti in magazzini ventilati e con umidità relativa attorno al 95%, e, talvolta, anche refrigerati per circa 2 settimane.

A questo punto si opera la selezione qualitativa finale attraverso la definizione delle categorie di appartenenza dei frutti effettuata manualmente o meccanicamente e all’osservazione di altre caratteristiche qualitative quali dimensione, colore, difetti ammessi, calibro, oltre a parametri relativi alla struttura interna, chimici, nutrizionali verificati con adeguate strumentazioni poste in linea di lavorazione.

L’obiettivo di queste operazioni di selezione è quello di ottenere una standardizzazione dei prodotti con lo scopo di determinarne il valore economico e di ottimizzare le successive fasi di confezionamento con una più omogenea distribuzione dei prodotti nell’imballo.

Successivamente alla selezione gli ortofrutticoli debbono essere preparati per il confezionamento per predisporli al trasporto, alla conservazione ed alla vendita. Questi sono suddivisi in imballi diretti che rappresentano le unità di vendita (borse, sacchetti, fardelli, maniche) e gli imballi indiretti ideali per il trasporto e la distribuzione. Gli imballaggi, che sono progettati secondo modelli matematici per la corretta distribuzione dei frutti al loro interno, sono realizzati in materiali plastici, carta o cartone, cellulosa pressata, legno e, più raramente, in vetro. Debbono possedere caratteristiche che garantiscono la resistenza, la protezione dagli urti, la coibentazione da variazioni di temperatura ed umidità e permettere un adeguato scambio gassoso.

I prodotti confezionati sono, a questo punto, pronti per la fase successiva di condizionamento che è rappresentata dalla conservazione la quale prevede una serie di aspetti tecnologici volti a mantenere i prodotti in condizioni di temperatura, umidità ed atmosfera opportunamente controllate.

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Ken Follet, Il volo del calabrone

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  • 21 Dicembre 2007

Einstein spiegò a proposito del calabrone: da un punto di vista fisico, per come è strutturato e per il suo peso, il calabrone è un insetto che non potrebbe volare ma lui non lo sa e quindi vola.Ken Follet, autore di innumerevoli best seller come I pilastri della terra e Il terzo gemello, ha scritto un romanzo intitolandolo Il volo del calabrone. Un volo attraverso il mare del nord affrontato per mezzo di un biplano da due ragazzi appena diciottenni per portare dalla Danimarca in Inghilterra importanti informazioni militari indispensabili per bloccare l’avanzata di Hitler. Un volo inimmaginabile, pieno di pericoli e affrontato in condizioni avverse, in altre parole impossibile. Eppure i due ragazzi non lo sanno e vi riescono.

Siamo nella seconda guerra mondiale e la forza dell’armata tedesca è ormai una realtà innegabile,

la Danimarca è occupata ma si lascia al Re Cristiano X e alla polizia danese il proprio posto in cambio della collaborazione coi nazisti. Ogni forma di avversione e spionaggio verso il nazismo è perseguita con l’arresto.

Molte persone sono amareggiate dalla presenza nazista, altre ne vedono alcuni benefici. Manca una vera resistenza. E’ il 1941. Vi è solamente un gruppo di persone, la Ronda di Notte, dedite ad accumulare informazioni da inviare agli Inglesi, una forma di spionaggio di basso livello.

Sarà un ragazzo a scoprire per caso un’istallazione militare tedesca sconosciuta alle forze alleate che sta mettendo fuori gioco ogni raid aereo di bombardieri inglesi, l’ultima speranza per costringere Hitler a far rientrare le sue truppe in Germania prima che invadano definitivamente anche la Russia.

I contatti con i paesi neutri e alleati sono interrotti, quelli clandestini troppo rischiosi, la posta è controllata e censurata, ogni forma di comunicazione o di evasione dal paese è perseguita dalla polizia danese se non si hanno i permessi.

La scoperta del piccolo corpo di spionaggio da parte della polizia danese costringerà il ragazzo a fornire agli inglesi le preziosi informazioni miliari solamente con le proprie forze e con l’aiuto di un’incredibile ragazza. L’unica possibilità è portare le informazioni di persona, ma come?

La soluzione è rappresentata da un biplano posto in un vecchio ripostiglio dove il giovane ragazzo alloggia per sfuggire alla polizia. Il biplano è vecchio, fuori uso e privo di alcuni pezzi ma questo non impedisce al protagonista di mantenere l’entusiasmo e di riuscire a ripararlo per farlo tornare a volare.

L’avventura riesce, i bombardieri alleati riescono proprio all’ultimo minuto a sapere come evitare la decimazione ed Hitler è costretto a ritirare le truppe dalla Russia. I due ragazzi inizieranno una nuova vita in Danimarca, identità nuove per una nuova importantissima missione: istaurare una rete di spionaggio e resistenza alle forze tedesche.

La resistenza danese si rivelò uno dei più validi movimenti clandestini d’Europa. Fornì un costante flusso di informazioni militari agli Alleati, portò a termine migliaia di azioni di sabotaggio contro le forze occupazione e assicurò vie di fuga segrete attraverso le quali quasi tutti gli ebrei danesi riuscirono a sfuggire ai nazisti.

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Istruzione: La riforma fallita

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  • 21 Novembre 2007

A distanza di cinque anni sono ancora molte accese le critiche mosse verso la riforma cosiddetta del “3+2″ operata dal Luigi Berlinguer nel 2001. Infatti dopo le novità introdotte dai ministri Berlinguer e Moratti, la didattica sarebbe dovuta cambiare molto ma gli stessi docenti universitari, secondo un inchiesta condotta su rettori, presidi, docenti e direttori amministrativi di sei atenei pubblici, hanno ammesso (il 57,7%) di aver fatto poco o nulla per adeguare programmi ed esami alla logica, avversata da molti di loro, del”3+2” (laura triennale seguita dal bienno di specializzazione).

La riforma della didattica universitaria era stata concepita per raggiungere due scopi: aumentare il numero dei laureati e formare giovani in grado di trovare in breve termine un posto di lavoro. Solo il primo obiettivo è stato raggiunto. Infatti, secondo i dati forniti dal ministero della pubblica istruzione e dall’Istat,  nel 2000 i laureati sono stati 162 mila, cinque anni dopo, 301 mila.

L’ultima ricerca svolta dal consorzio Almalaurea, svolta sui laureati del 2005 in 49 atenei, dimostra anche che dal 2001 al 2006 è scesa l’età media a cui ci si laurea, sono diminuiti i fuoricorso (pur restando comunque troppi) e sono aumentate le frequenze alle lezioni e la partecipazione a stage. Dati confortanti, almeno sembra, eppure gli studenti, vere “vittime” di questa riforma non sono entusiaste dei cambiamenti apportati. Perchè?

L’origine dell’insoddisfazione studentesca probabilmente trae origine dall’avversione del corpo docente alla riforma stessa. Alla base vi è la paura dei professori di perdere il proprio potere e prestigio assunto in tanti anni di lavoro alla cattedra e a livello pratico si traduce in programmi e metodi d’esame inalterati. La mancanza d’attuazioni e di adeguamenti alla riforma dei docenti varia da una facoltà all’altra. I più refrattari alle novità sono i docenti di materie umanistiche. I professori di discipline scientifiche, invece, hanno compiuto sforzi maggiori.

Adeguarsi poteva significare ridurre drasticamente il programma d’esame proposto, ridurre il numero di ore dedite alla lezione e uniformarsi a tutti gli altri corsi svolti presso la facoltà. In una sola parola, perdere visibilità.

Altra conseguenza della riforma “3+2” è stata la proliferazione, dal 2001 ad oggi, dei corsi di laurea più bizzarri, nati più per creare nuove cattedre che per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro.

Per quanto riguarda l’occupazione, gli aspetti più significativi sono due: alla vigilia della tesi, 83 laureati di primo livello su cento dichiarano di voler proseguire gli studi. Ciò vuol dire che un’elevatissima percentuale di neodottori non si sentono pronti per rispondere alle domande di mercato o che non si sentono soddisfatti della propria preparazione. Concludendo, gli studenti trovano discrete ragioni per non essere soddisfatti dello stato attuale delle cose.

Il ministero sta lavorando per migliorare la situazione ed introdurre delle correzioni, prime tra le quali la diminuzione dei corsi ed una minore frammentazione delle discipline. Verrà proposto anche di vincolare la nascita dei nuovi corsi a una giusta proporzione tra i docenti di ruolo e gli sterni. Politici e docenti saranno in grado di apprendere dai propri errori e agire secondo un obiettivo comune, la formazione universitaria? 

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Un “passo” avanti nel benessere…

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  • 4 Novembre 2007

L’uomo, simbolicamente, affonda le proprie radici nei piedi che costituiscono la base su cui poggia il corpo e attraverso i quali l’individuo è “vincolato” al suolo. Il modo in cui un soggetto è fisicamente ancorato al tereno riflette spesso il modo in cui si affronta la vita a livello emotivo. Non per niente, frasi idiomatiche quali: “tenere i piedi per terra” o “andare con i piedi di piombo”,  fanno parte di un linguaggio figurato che esprime qualcosa appartenente alla nostra sfera incoscia. Nella concezione indiana, il piede è addirittura considerato il primo germe, esso esprimerà l’intero corpo ed il suo divenire. La dinamica del simbolismo spaziale, espressa in ogni manifestazione culturale umana, ci insegna che in basso c’è la terra, la parte più densa, concreta e materiale, mentre in alto c’è il cielo, la parte più spirituale, lieve ed intellettiva. Gli stessi autori cinesi ritenevano che l’uomo fosse espressione di tensione fra due poli, situati l’uno sopra la testa, l’altro sotto i piedi, appunto il cielo e la terra. Se queste due parti del corpo sono come due poli, le mani, che sono situate nel mezzo, sono gli “strumenti” con cui si mettono in atto le idee, strutture di interazione fra il soggetto ed il mondo circostante. E’ proprio grazie a questo “apparecchio antropo-dinamico” che il professionista è in grado di riconoscere i punti focali del piede e lavorando su questi, per mezzo di diverse tecniche,  può agire sulle sue tensioni ed i suoi blocchi aiutando il soggettoa liberarsi di numerosi fattori di stress.

Si noterà purtroppo che al giorno d’oggi si dà poco valore ad una parte del corpo così importante come il piede. Le stesse calzature che indossiamo possono evidenziare a quali torture sottoponiamo i nostri piedi. Dobbiamo dunque trattarli con cura e rispetto perchè da essi dipendono la deambulazione, l’equilibrio, la postura e la buona salute di tutto l’organismo, ma sopratutto perchè essi rappresentano il nostro “secondo cuore”, dato che il loro sistema venoso funge da pompa all’interno dell’organismo permettendo al sangue di ritornare al cuore per essere riossigenato. Cosa fare allora per mantenere in forma i piedi? Il primo provvedimento da adottare è sicuramente la scelta di una calzatura adatta. Prima di acquistare un paio di scarpe vanno considerati due aspetti: l’assetto e i materiali. L’assetto deve consentire al piede tutti i movimenti per cui è preposto, non deve avere un tacco superiore ai 3,5-4 cm di altezza, la parte posteriore deve essere contenitiva ma non rigida per mantenere il tallone in asse e, infine, deve avere il giusto compromesso tra rigidità e flessibilità. I matreiali di cui è composta la calzatura devono essere traspiranti e naturali, per evitare tutta una serie di disagi legati all’uso dei materiali sisntetici. Non si potrà mai ottenere un benessere reale per i nostri piedi se prima non decidiamo di anteporre la nostra salute al fattore puramente estetico che ormai domina il mercato.

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Le cause di occorrenza degli incendi

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  • 21 Ottobre 2007

Le cause di occorrenza degli incendi possono essere distinte in predisponenti e determinanti. Nelle prime ricadono tutti i fattori che generano le condizioni favorevoli all’innesco di un fuoco. Quindi tra esse ricadono le caratteristiche intrinseche della copertura vegetale, il sistema di governo e trattamento, le condizioni climatiche e quelle orografiche.

Si chiamano, invece, determinanti quelle che instaurandosi in una situazione definita da cause predisponenti possono dar luogo all’immediato sviluppo del fuoco. Queste si dividono in naturali ed antropiche.

Ricadono nelle cause naturali: il fulmine, le eruzioni vulcaniche e l’autocombustione. Il fulmine è causa di sviluppo d’incendi là dove si verificano i “temporali secchi”, ossia quei temporali che non sono accompagnati da precipitazioni. Questo evento, frequente in alcune zone dell’America, da noi è eccezionale se non del tutto impossibile così come l’autocombustione.

Stando alle cause naturali, il problema incendi non dovrebbe essere poi così preoccupante , invece, il fenomeno è reso calamitoso dall’azione, volontaria o involontaria (aggettivi che dal 1988 hanno sostituito i precedenti termini “doloso” e “colposo”, per esigenze di uniformità terminologica a livello europeo), dell’uomo.

Quando l’uomo provoca deliberatamente un incendio per cagionare danno le cause vengono definite volontarie. Le motivazioni del dolo vengono distinte in sei categorie:

  • per guadagnare finanziariamente;
  • per nascondere un altro crimine;
  • per vandalismo o protesta;
  • per diventare un eroe;
  • per disordine mentale;
  • per noia.

Si noti che il campo è estremamente variabile e spazia dall’esclusivo interesse economico alle forme più spinte di psicodinamica sociale.

L’incidenza percentuale del numero degli incendi boschivi classificati come scaturiti da cause volontarie sono considerevolmente aumentati negli ultimi trenta anni. Le ragioni di questo aumento hanno un’origine sociale che, a volte, è espressione di un disagio, mentre altre, di abitudini agronomiche. Infatti, la frequenza degli incendi è maggiore dove c’è un impiego massiccio di operai forestali assunti occasionalmente, così come nelle zone in cui è ancora radicata l’errata convinzione di migliorare il terreno od il pascolo con il fuoco.

L’ampia variabilità, che dipende dalle strutture economiche e sociali diverse per nazioni ed epoche, rende difficile individuare ed eliminare le cause volontarie degli incendi boschivi. Comunque non sempre è agevole stabilire se la causa sia volontaria od involontaria, pertanto nelle statistiche si ricorre alla definizione di causa sconosciuta o dubbia.

Gli incendi appiccati per vendetta, ormai sono limitati alle zone più marginali ed arretrate del nostro Paese. Negli anni ‘60-’70 molti boschi furono dati alle fiamme con intenti speculativi in campo edilizio. Per prevenire tale crimine dal ’75 la legge n. 47 pone, sui terreni percorsi dal fuoco, il vincolo di assoluta inedificabilità fino alla naturale ricostituzione del manto boscato, anche in presenza di varianti che modifichino la destinazione d’uso dei fondi colpiti. Ciò avrebbe dovuto far decadere l’interesse degli speculatori, ma, di fatto non esiste, in gran parte del nostro Paese, la mappatura dei terreni percorsi dal fuoco e quindi risulta difficile imporre i vincoli.

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Effetti tossici dei metalli pesanti sugli organismi

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  • 8 Ottobre 2007

Una sostanza è definita Inquinante quando è presente in concentrazione maggiore rispetto a quella naturale, come risultato dell’attività umana, che ha un netto effetto dannoso sull’ambiente o su qualcosa di valore in esso.

Le sostanze contaminanti, che non sono classificate come inquinanti a meno che non abbiano qualche effetto dannoso, comportano delle deviazioni dalla normale composizione dell’ambiente.

Ogni inquinante ha origine da una sorgente. La sorgente è particolarmente importante perché è generalmente il luogo più logico per eliminare l’inquinamento.

Il recettore è un qualsiasi corpo su cui l’inquinante ha effetto. Sono recettori, ad esempio, gli esseri umani a cui bruciano gli occhi per colpa degli ossidanti presenti nell’atmosfera. Le piccole trote che possono morire in acqua, in seguito all’esposizione al dielrin sono un altro esempio di recettori.

Eventualmente, se un’inquinante ha vita lunga, può essere immagazzinato in un sink, un deposito a lungo termine, in cui esso resterà per molto tempo, anche se non necessariamente per sempre.

Per fare un esempio che renda conto della gravità delle situazione e quindi della sua importanza si può considerare l’esempio della contaminazione dl suolo:

100 milioni di ettari di suolo contaminato nel mondo di cui 20 milioni solo nella Comunità Europea.

METALLI PESANTI

Chi non ha mai sentito parlare dell’inquinamento da metalli pesanti?

La maggior parte di essi ha azioni tossiche sistemiche solo se in forma di composti solubili o in forma ionizzata. L’effetto tossico si esplica per la formazione di un legame, spesso assai stabile (covalente) con gruppi funzionali reattivi delle molecole organiche: ossidrili  (-OH), carbossili (COO-), carbonili (= CO), sulfidrili (SH), aminici (NH2), imminici (=NH), ecc.

Le funzioni organiche svolte da questi gruppi funzionali reattivi, essenziali per le normali attività biochimiche cellulari, vengono inattivate dal legame col metallo.

Sotto il profilo biochimico, il meccanismo della loro attività tossica deriva dalla forte affinità dei cationi metallici per lo zolfo. Pertanto i gruppi “sulfidrilici” (-SH), normalmente presenti negli enzimi che controllano la velocità delle reazioni metaboliche critiche nel corpo umano, si legano facilmente ai cationi dei metalli pesanti ingeriti o alle molecole che contengono tali metalli.

Dato che il complesso metallo-zolfo che ne risulta interessa tutto l’enzima, questo non può funzionare normalmente con conseguente danno per la salute dell’uomo, fino causarne talvolta la morte.

Quando queste sostanze tossiche vengono assorbite dall’organismo per ingestione, inalazione o per via cutanea, vanno incontro ad una serie di reazioni come precedentemente illustrato. Si parla allora di BIODISPONIBILITÀ di un elemento in tracce nell’organismo umano come il

rapporto tra la quantità che, dopo essere stata assorbita, esercita il suo effetto nell’organismo e quella totale assorbita. La biodisponibilità è un parametro molto importante per quantificare l’effetto citotossicologico di un metallo pesante ed esso varia in funzione di

  • Fattori intrinseci

Età, Sesso, Ambiente

  • Fattori estrinseci

Proprietà fisiche:

 (solubilità in acqua, in alcol, nei lipidi, nel succo gastrico, nel succo intestinale)

Proprietà chimiche:

 l’elemento può reagire con altri componenti della matrice alimentare, oppure con farmaci, formando composti in cui ha diverso grado di ossidazione, ecc.

Proprietà biochimiche:

interessa in particolare la capacità di competere con altri elementi per i siti attivi dell’organismo.

Nella tabella che segue è riportato un elenco dei metalli pesanti più comunemente diffusi nell’ambiente con la loro relativa sorgente e l’effetto tossico assunto negli organismi.

 

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Monopoli: capitalisti contro anticapitalisti

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  • 28 Settembre 2007

Giochi da tavolo addio! Sembra proprio che  le nuove tecnologie abbiano inesorabilmente preso il sopravvento sui tradizionali passatempi che allietavano lunghe serate fra amici in un passato non troppo lontano. E’ proprio per una sottile nostalgia che abbiamo deciso di parlare di Monopoli, il gioco da tavolo che in molte nazioni è diffuso quanto la TV, quello che è stato pubblicato in 40 paesi e in 20 lingue diverse e di cui esistono due esemplari speciali, commissionati dalla NASA, utilizzabili in assenza i gravità!

Non dappertutto però è lecito giocare a Monopoli: sembrerà bizzarro ma ci sono nazioni in cui questo gioco è vietato. Fidel Castro, ad esempio, subito dopo aver preso il potere, lo bandì e fece confiscare tutti gli esemplari esistenti a Cuba; nella Germania nazista, il ministro Goebbels fece altrettanto e in Cina e in Corea del Nord è ancora proibito.

Del resto, per chi lo ha provato almeno una volta, è facile immaginare il perché: il Monopoli è considerato, infatti, il simbolo del capitalismo, delle speculazioni edilizie e della possibilità di diventare sempre più ricchi grazie ad investimenti e monopóli, appunto.

Eppure, il Monopoli è stato inventato con intenzioni tutt’altro che in linea con il capitalismo. Un’affermazione del genere, tuttavia, è sostenibile soltanto se si riconosce che l’antesignano del gioco attuale fu The Landlord Game dell’americana Elizabeth Magie.

La questione, infatti, è stata per lungo tempo controversa: la signora Elizabeth inventò un gioco in cui le proprietà non avevano nomi e non vi si potevano costruire sopra né case né alberghi, in virtù di quel dogma economico, condiviso dalla Magie, secondo il quale la speculazione sulle proprietà terriere sarebbe la base di tutti i problemi economici e sociali. Per lei, quindi, questo gioco doveva avere una funzione decisamente anticapitalistica. Tuttavia, The Landlord Game non ebbe mai una pubblicazione vera e propria: Elizabeth fece a mano alcune centinaia di copie e, nonostante i suoi intenti iniziali, l’invenzione si trasformò presto in Monopoly, un appassionate gioco sugli affari.

L’ulteriore beffa arrivò quando, nel 1933, l’ingegnere Charles Darrow, allora disoccupato, s’imbatté nel gioco della Magie: disegnò infatti un tabellone più attraente (versione utilizzata ancora per il Monopoli americano), riuscì a ottenere il copyright sulla “sua” versione e, dopo vari tentativi, firmò un accordo con la Parker Brothers, una delle aziende leader in America nel settore dei giochi, dichiarando di aver inventato lui il Monopoli.

Il successo fu immediato e Darrow diventò presto ricco e famoso. Quando la Parker capì che Darrow non era il vero inventore, cercò di tenere nascosta la questione e vi riuscì per parecchi anni, fino a quando il professore di economia Ralph Anspach inventò l’Anti-Monopoly (evidentemente un vero e proprio strumento di controffensiva per così dire lucida!) e intraprese una lunga battaglia legale con la Parker che indusse poi quest’ultima ad ammettere l’inganno.

Ora che conoscete la storia, non vi resta che invitare un po di amici, prendere il Monopoli e trascorrere una lieta serata, in barba alla divisioni tra capitalisti e anticapitalisti!

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Estate Autunno Inverno Primavera e di nuovo Estate…

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  • 18 Settembre 2007

Il nostro organismo vive al ritmo di un orologio biologico interno, antichissimo, che è sincronizzato  proprio sull’alternanza di luce e buio e che, in base a questa, scandisce i nostri cambiamenti quotidiani e stagionali. Sarebbe un errore non prenderne atto.

In estate, le giornate sono più lunghe, la luce più intensa e prolungata. Da questo ci sentiamo più forti, sicuri e pieni di energia nonostante ci si attardi maggiormente la sera e non si rinunci alle solite attività quotidiane. Poi, c’è il rovescio della medaglia: quando il sole cala (sia d’estate che d’inverno) il crollo è in agguato. L’attenzione scende al minimo e accendere le lampade non cambia le cose.

Rispettare i ritmi non deve essere visto come una sottomissione alle regole biologiche ma un vero elisir di lunga vita. Essere consapevole che a mezzogiorno si ha l massimo delle nostre capacità intellettive e di concentrazione può aiutare a organizzare meglio la giornata per porre gli impegni più gravosi proprio in quelle ore e migliorare, quindi, l’efficienza delle nostre attitudini. Un altro momento di grandi prestazioni è tra le diciotto e le venti. In questa fase la temperatura corporea aumenta e la forza muscolare è ai livelli più alti della giornata.

Il ritmo circadiano ( dal latino circa, intorno, e dies, giorno) lo ritroviamo anche nelle altre forme di vita. La stessa vita, infatti, è stata organizzata in base all’andamento del ciclo solare, da quando è comparsa sulla terra. Lo rivela il fatto che anche gli organismi molto diversi da noi possono avere ritmi molto simili.

Cosa succede quando non rispettiamo il ritmo biologico?

Quando dormiamo solo qualche ora, saltiamo un pasto, dormiamo di giorno e stiamo svegli di notte, contraiamo dei debiti di energia. Questo avviene perchè l’interruzione forzata dei ritmi altera il metabolismo. A scansionare il tempo nel nostro corpo sono delle cellule specializzate atte a sincronizzare con l’ambiente esterno la produzione enzimatica, ormonale, il battito cardiaco, la pressione del sangue, la temperatura ma anche il sonno, l’accoppiamento, il riposo e la voglia di compiere grandi imprese. Il vero orologio è però nel cervello, nell’ipotalamo, dove risiede un punto sensibile ai segnali luminosi che vengono captati e ritrasmessi dalla retina.

La nostra dipendenza da questi segnali è così forte che ogni qual volta  che ne alteriamo lo schema, per esempio passando notti in bianco o spostandoci di fuso orario, il corpo soffre.

Vista la diffusione in natura, il ritmo circadiano rappresenta un vantaggio evolutivo che migliora le possibilità di sopravvivenza aumentando l’efficienza complessiva dell’organismo. Grazie all’orologio biologico, infatti, le funzioni dell’organismo si sincronizzano su quello che presubilmente si verificherà nell’ambiente nelle ore successive. Per lo stesso motivo l’assunzione di farmaci risulterebbe molto più efficace se eseguita in orari adeguati della giornata così come dormire durante le ore di buio, a parità di ore ripostae, permette di recuperare molta più energia.

Concludendo si può affermare che siamo degli essere con delle regole biologiche innate. Non rispettare queste regole potrebbe esaltarci e farci sentire superiori ma potrebbe costarci caro.

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Oulipo

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  • 8 Settembre 2007

Novembre 1960 ,un giovedì sera nella cantina del “Vero Guascone” si ritrovarono alcuni amici dagli interessi comuni e complementari: matematici con la passione per la letteratura, uomini di lettere con l’amore per le scienze esatte. Così nacque l’Oulipo, “Ouvroir de Littérature Potentielle”, ovvero un “opificio” che si occupa di letteratura potenziale.

A fondarlo fu il matematico-scacchista François Le Lionais, a cui si unì immediatamente lo scrittore Raymond Queneau insieme ad altri: Jacques Bens, Claude Berge, Jacques Ducheteau, Jean Lescure e Jean Queval.

Il gruppo indagava, e tuttora indaga, sulle potenzialità della parola, utilizzata come materia informe da forgiare, distorcere e quasi torturare, allo scopo di creare nuove forme letterarie che prescindono dalla libera ispirazione attenendosi, invece, a regole ferree. Quelli che solitamente si ritengono divertenti giochi di parole come l’acrostico, il lipogramma, il palindromo, l’olorima, vengono presi molto sul serio dagli oulipiani.

Raymond Queneau nei suoi “cent mille milliards de poèmes“, per esempio, compose dieci sonetti con le stesse rime e con una struttura grammaticale tale che ogni verso di ciascun sonetto risulta intercambiabile con ogni altro verso situato nella stessa posizione. Per ciascun verso quindi si avranno così dieci possibili scelte indipendenti; poiché i versi sono 14, si otterranno in totale 1014 sonetti, cioè un numero incredibile di poesie.

Lo scrittore Georges Perec ne “La Disparition“, un suo romanzo, non utilizzo mai la lettera “e”. I critici neanche se ne accorsero e ritennero l’opera “normale”, in realtà si trattava di un testo, che faceva totalmente a meno di una vocale che nella lingua francese è molto frequente. In seguito lo stesso Perec superò una prova ancora più ardua con un altro romanzo, “Les Revenentes“: 127 pagine scritte usando come vocale soltanto la “e”. Le poesie della raccolta “Alphabets“, invece, offrono, nella stessa pagina, su di un lato un quadrato di undici lettere per undici e sull’altro le stesse lettere scritte per esteso, inframmezzate da spazi. Ciascuno dei 176 testi della raccolta è una poesia di undici versi e ha undici lettere e utilizza una stessa serie di lettere diverse tra loro. Inoltre tutte le poesie hanno in comune le dieci lettere più frequenti dell’alfabeto francese: E-S-A-R-T-I-N-U-L-O. L’undicesima lettera è una delle rimanenti. Ci sono così undici poesie in B, undici poesie in C e così via. In totale 16 x 11 = 176 poesie.

Italo Calvino tentò di trasportare questo tipo di esperienze nella nostra lingua, dove le difficoltà risultavano maggiori a causa della modesta possibilità di varianti fonetiche.

Tra i suoi scritti è notissimo quello che riferisce un dialogo tra una spogliarellista e il proprietario di un night club per una scrittura: “Sa? Sessi isso su!”, frase che si regola sulla successione fonetica SA-SE-SI-SO-SU. Dello stesso genere è la storia di una portinaia, la quale ogni giorno deve rispondere alla medesima domanda di un amico della signorina del terzo piano: “Sa se c’è in casa…?”. Il discorso tra i due diviene sempre più conciso fino allo scambio lapidario: “Sa se?..” – “Sì, so: su!”.

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Perché l’Italia non ha mai soldi per i suoi cittadini

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  • 28 Agosto 2007

Storicamente sono sempre esistiti diversi motivi che hanno portato il paese ad avere, alla fine dell’anno, un bilancio negativo. Spese inutili, debiti, sprechi, frodi fiscali, ecc… spesso riportati in forma allarmistica da svariati comunicati stampa, senza che se illustrino veramente le cause. In questo articolo se ne vuole affrontare uno in particolare, qualcuno può ritenerlo superfluo, altri sono veri accaniti sostenitori contrari a questo fenomeno tanto da raccoglierne petizioni. Si tratta del Signoraggio. Cominciamo con un introduzione semplice ma necessaria: La moneta moderna (fiat money o moneta fiduciaria) è emessa principalmente da tre entità: le banche ordinarie, che emettono moneta virtuale sotto forma di “credito“; la privata Banca d’Italia che emette cartamoneta e il ministero dell’economia che emette monetine metalliche. Questa emissione tripartita assegna ad ognuno dei tre partecipanti il relativo signoraggio (il signoraggio è rappresentato dalla differenza tra il costo di produzione della moneta stessa ed il suo valore facciale).

Secondo una definizione data da Bagliano e Marotta, la creazione di base monetaria in condizioni di monopolio dà la possibilità alla banca centrale di ottenere redditi (il cosiddetto signoraggio) pari alla differenza tra i ricavi ottenibili dall’investimento in attività finanziarie e reali e i (trascurabili) costi di produzione. Poiché questi redditi derivano dalla condizione di privilegio concessa dallo Stato, i profitti sono in genere incamerati in misura prevalente da quest’ultimo, sotto forma di imposte. Un limite alla produzione, potenzialmente illimitata di base monetaria è posto dall’obiettivo del mantenimento di un livello dei prezzi relativamente stabile, data la relazione diretta che storicamente si è osservata tra inflazione e offerta di moneta. Così Al sistema bancario che emette moneta-credito tramite la creazione di falsi debiti, va circa il 98% del signoraggio a cui vanno aggiunti gli interessi sui falsi debiti. Questo privilegio è garantito loro dallo Stato, che “emette delle obbligazioni” che sono altrettante promesse di dare di più a quelli che hanno già molto, sempre controllando l’inflazione che dovrebbe consistere nel ridurre i consumi di quelli che mancano del necessario. Il pagamento di un [illegittimo] interesse da parte dello Stato determina il tasso di interesse a tutte le fasi della struttura economica, risultando, quindi, dannoso sopratutto alle tasche dei cittadini. Alla Banca d’Italia va circa il 1,9% più gli interessi che prende sui titoli di stato emessi in “contropartita”, ed al Ministero dell’economia, circa lo 0,1%.
Le banche normali e la Banca d’Italia occultano il signoraggio tendendo a conservare segreti e prevaricatori i propri meccanismi contabili falsificando sistematicamente i bilanci al fine di tenere la gente nella massima confusione e incertezza possibile.
Un esempio per chiarirne meglio il meccanismo è quello che avvenne prima della strage di Piazza Fontana: lo stato aveva provato ad emettere cartamoneta (le 500 lire cartacee) che aveva la denominazione “Biglietto di Stato a corso legale”. Ogni emissione portava nelle casse statali 150 miliardi di signoraggio.
Oltre al proprio signoraggio, perché lo Stato deve emettere titoli di debito per coprire IL VALORE NOMINALE di banconote che potrebbe stamparsi da solo, ammettendo anche che debba attenersi alle quantità stabilite dai prestigiatori della Banca Centrale?  Non è più logico che lo Stato si stampi le proprie banconote, evitando di indebitarsi e di pagare interessi, riducendo il suo debito pubblico e le sue spese per interessi?
La Banca Centrale ha consegnato allo Stato le sue banconote, queste sono state pagate al loro valore facciale; Se ipoteticamente lo stato volesse restituire le banconote emesse e riavere indietro il proprio denaro dalla Banca Centrale, questa ultima sarebbe obbligata, dato che non è in grado di convertirle in oro, ad emettere in cambio le proprie obbligazioni..
Tutto ciò, presumibilmente accade poiché nello Stato esistono delle collusioni con i privati proprietari della Banca centrale, che vivono di rendita a nostre spese, cosicché ai cittadini vengono imposti dei tassi di interesse e delle imposte per coprire queste spese. Questi soldi, non finiscono allo stato per essere gestiti con un corretto criterio economico e sociale. Allo stato di fatto vanno a sostenere un falso capitalismo italiano.

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Privatizzazione della Banca d’Italia

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  • 15 Agosto 2007

La Banca d’Italia, dopo l’ultima legge bancaria, è divenuta una S.p.a. totalmente privata, le cui quote sociali, caso unico nelle ex banche d’emissioni europee attualmente socie della BCE, sono detenute solo da alcuni gruppi bancari ed assicurativi privati.Da ciò non poteva che derivarne un conflitto d’interessi molto forte poiché la Banca d’Italia, attraverso il controllo che ancora detiene sull’intero sistema bancario e creditizio, compreso sulle sue banche socie, esercita in assoluta autonomia il controllo economico e monetario dell’intera Nazione, secondo propri fini, spesso contrastanti da quelli governativi.

Quale ruolo assumono allora i politici in questo scenario contrastante? il ruolo dei politici in campo economico di fatto risulta essere quello di semplici comparse mosse secondo la volontà della privata Banca d’Italia

Vi sono pesantissime polemiche esistenti in campo finanziario e monetario come è normale che ci si aspetti da questa degenerata e assurda situazione. Seppure tale situazione è assurda e impensabile è la realtà dei fatti. Ma il Governo può e deve fare qualcosa. In primo luogo, se il Governo intende veramente governare le sorti del Paese e mantenere gli impegni assunti con gli elettori, deve agire risolutamente e rapidamente per trasferire all’Esecutivo la vera guida economica e, di conseguenza anche quella politica, dell’intera Nazione.

A riprova del conflitto istituzionale, Antonio Fazio, intromettendosi in questioni di pertinenza non sua per distogliere l’attenzione dalla situazione che lo circonda, ha screditato pubblicamente l’operato dell’Esecutivo politico sostenendo, senza alcun pudore, che per rilanciare l’economia nazionale occorre destinare più risorse per rimettere in moto i cantieri delle “Opere Pubbliche” e ridurre il debito pubblico nazionale.

La mancanza di pudore non risiede certo nell’affermare delle vere e risapute ma per gli oltre 600 mila miliardi di lire di cui il Governo dovrebbe rientrare in possesso corrispondenti ai “residui passivi” versate più di dieci anni fa ed ancora stanti nelle casse della Banca d’Italia. Una bella faccia tosta.

Questa gigantesca massa monetaria, potenzialmente disponibile, sottratta dalla circolazione e dalla quale mancanza ne risente pesantemente l’economia dell’intero mercato, era destinata proprio alla realizzazione delle opere di pubblica utilità. Quale consiglio vuole dare allora Fazio?

Questa situazione, nel complesso, ha portato ad una serie di conseguenze quali:

–   la progressiva deflazione sull’intero mercato nazionale con la caduta degli investimenti strutturali e la mortificazione del PIL;

–  l’impossibilità di poter destinare alla ricerca, pubblica e privata, le indispensabili risorse finanziarie;

–  l’impoverimento generale dell’intero sistema economico nazionale, sia pubblico che privato che si ripercuote direttamente ed indirettamente su tutti i cittadini.

La situazione risulta ancor più grave se si considera che mentre la circolazione monetaria si è drasticamente ridotta, il debito pubblico generato dall’emissione monetaria corrispondente alla somma dei residui passivi congelati, è stato mantenuto in essere.

Pertanto o lo Stato si riappropria di questa ingente somma per riassettare il proprio bilancio e la situazione territoriale o deve pretendere l’abbattimento del debito pubblico corrispondente all’importo della massa monetaria sparita.

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Protezione dagli incendi boschivi

L’approccio al problema degli incendi boschivi ha subito notevoli cambiamenti nel tempo.Fondamentale è stata l’evoluzione concettuale di base della pianificazione antincendio, che, superando il criterio del “Fire control”, è approdata a quello del “Fire management”.

In questa ottica ha assunto notevole importanza la ricerca scientifica in campo meteorologico, selvicolturale e modellistico.

La lotta agli incendi boschivi diventa così materia interdisciplinare, essendo il fuoco interessato da una serie di fattori che costituiscono l’argomento di altrettante discipline.

La pianificazione va intesa quindi come un momento di coordinamento di interventi di varia natura, che portano all’elaborazione di un piano antincendio. Tale coordinamento è tanto più efficiente quanto più numerose sono le informazioni sul comportamento del fuoco in un determinato territorio.

Un incendio è un elemento di grave perturbazione dell’equilibrio ambientale, poiché colpisce i mosaici agro-forestali costituenti le unità elementari del territorio, nella totalità delle loro componenti.

Le foreste, i parchi, i boschi e le aree verdi periurbane, costituiscono un bene prezioso, non soltanto dal punto di vista paesaggistico, economico e ricreazionale, ma anche da quello protettivo. In particolare, il territorio italiano è ricco di zone scoscese, declivi, ambienti collinari e zone impervie che trovano stabilità ed equilibrio grazie all’azione regimante e contenitiva offerta dal soprassuolo boschivo.

I fattori che determinano l’importanza dei soprassuoli forestali nella protezione del territorio, sono gli stessi che li sottopongono ad un elevato rischio d’incendio. Questi possono essere racchiusi in due categorie: i fattori orografici e quelli climatici.

Clima ed orografia, su vasta scala come può essere il bacino del mediterraneo, mutano molto lentamente nel tempo, tanto da non essere percepibili nei secoli ma soltanto attraverso ere geologiche. Al contrario, vi sono altri fattori, il cui repentino cambiamento, ha determinato, negli ultimi trenta anni, un sensibile aumento della frequenza e dell’estensione degli incendi non solo in Italia ma in tutta l’Europa meridionale. Questi fattori sono essenzialmente di natura sociale e riguardano il rapporto dell’uomo con l’ambiente in cui vive.

L’uomo è stato sempre legato alla natura, dipendendo in larga misura da essa. Tuttavia, con lo sviluppo industriale, si è affievolito quel contatto diretto che resta vivo soltanto per alcune categorie di persone, quali quelle che operano nel campo dell’agricoltura e della selvicoltura, tra l’altro settori in continuo calo di adesioni. La presenza dell’uomo sul territorio se da un lato costituiva un elemento di disturbo dall’altro rappresentava una garanzia di gestione e d’intervento.

Lo spopolamento delle campagne, accompagnato dalla meccanizzazione agricola, ha portato all’abbandono di molte aree marginali che un tempo, invece, venivano sistematicamente coltivate. Queste aree, anche se lentamente, sono state selvaggiamente riconquistate dalla natura e sono divenute teatro di una migrazione di cenosi verso una comunità stabile, quella climax.

Per quanto riguarda, invece, le aree che ospitavano un bosco la situazione è molto diversa. Venendo a mancare le cure selvicolturali, tali superfici hanno subito un progressivo invecchiamento ed arricchimento di materiale combustibile, creando una situazione di elevato rischio d’incendio. Tale fenomeno ha contribuito all’aumento non solo della superficie boscata, che per certi aspetti costituisce un fattore positivo, ma anche degli incendi che negli ultimi anni vanno assumendo dimensioni a dir poco drammatiche, tanto da destare sempre maggiore preoccupazione.

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