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Marzo record per Facile.it: per la prima volta emesse più di 43.000 polizze di nuovo rischio

I comparatori sono ormai uno strumento con cui gli italiani hanno preso piena confidenza, soprattutto quando si tratta di risparmiare sui costi dell’RC auto. A dimostrare questa tesi i numeri comunicati oggi da Facile.it (http://www.facile.it) che, nel solo mese di marzo 2015, ha consentito alle compagnie assicurative che operano attraverso il sito di emettere, complessivamente, 43.867 nuove polizze.
«Il mese appena concluso – afferma Mauro Giacobbe, Amministratore Delegato di www.facile.it – scrive un capitolo importante nella storia della comparazione di tariffe RC auto: decine di migliaia di italiani ormai si servono del nostro sito per acquistare la loro polizza; il numero di nuovi contratti sottoscritti a marzo è la dimostrazione più evidente che gli automobilisti non si servono più della comparazione solo per avere un’idea dell’offerta, ma per effettuare concretamente l’acquisto».
Se ai 43.867 nuovi contratti stipulati su Facile.it a marzo si sommano anche i rinnovi di polizze, il numero delle assicurazioni auto che sono state firmate nel mese con l’ausilio del sito arriva a superare le 75.000 unità.
«Chi si rivolge al nostro portale – continua Giacobbe – lo fa perché sa di trovare un aiuto valido per risparmiare e, cosa non trascurabile, perché apprezza la facilità di uso e la completezza delle informazioni che gli vengono fornite. La nostra esperienza è cominciata nel 2009 proprio dal ramo RC auto, ma i continui successi e l’apprezzamento degli utenti ci hanno consentito di allargare nel tempo il raggio di azione. Oggi, su Facile.it, oltre alle assicurazioni si possono confrontare le offerte per tutte le principali voci di spesa delle famiglie italiane: gas, luce, telefonia, conti correnti, mutui, prestiti e carte di credito. Non escludiamo di aprire il sito a nuovi settori in un futuro non troppo lontano».

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I dottorati di ricerca: crescità personale, investimento per il futuro o lavoro post laurea?

Col passare degli anni il mondo dell’università sta cambiando notevolmente e dimostra di voler prestare una sempre maggiore attenzione alla realtà produttiva esterna. I vari seminari, corsi, master che vengono frequentemente organizzati e allestiti sono proprio rivolti alla possibilità di voler rendere più accessibile la soglia delle ristrette esigenze curriculari, al fine di creare un maggior collegamento tra le conoscenze acquisite e gli sbocchi produttivi esistenti.

Cosa dice la legge
La legge di riferimento in questo senso è la n. 449 del 27 dicembre 1997, la quale elargisce crediti di imposta a imprese e soggetti di diversa natura dietro una assunzione degli oneri relativi a borse di studio che sono state concesse per la frequenza a corsi di dottorato di ricerca, nel caso in cui il relativo programma di ricerca sia concordato con il soggetto di cui al presente comma e nei casi di assunzione a tempo pieno… di titolari di dottorato di ricerca. La legge in questione, intitolata misure per la stabilizzazione della finanza pubblica, ha delineato tali orientamenti al fine di stabilire un’importante e utile connessione fra il mondo della cultura e il mondo del lavoro: ma per quanto riguarda i dottori di ricerca che operano nell’ambito delle materie umanistiche, questi orientamenti non forniscono alcun ausilio. Al contrario, è possibile ipotizzare che i provvedimenti citati in precedenza creeranno un numero spropositato in favore dei posti di dottorato istituiti nelle facoltà scientifiche e tecnologiche, che, essendo favorite nel mantenere delle relazioni durature e importanti col mondo dell’impresa, potranno usufruire di sostanziose integrazione economiche volte a finanziare borse dottorali, mediante convenzioni con soggetti pubblici e privati che sono in possesso dei requisiti di elevata qualificazione culturale e scientifica e di personale, strutture ed attrezzature idonee.

Gli svantaggi del dottorato di ricerca
L’iniziativa del dottorato di ricerca presenta essenzialmente due svantaggi: anzitutto, la struttura tradizionale della Laurea è rimasta immutata e senza sostanziali variazioni, con una durata che è generalmente superiore alla durata media degli altri paesi, mentre il dottorato di ricerca è un’iniziativa che si è semplicemente aggiunta. Inoltre, il fatto che non si sia richiesto e dato alcun privilegio e vantaggio al dottorato per quanto riguarda l’accesso al mondo delle professioni, ha privato il dottorato stesso di un ruolo essenziale nella ricerca lavorativa. Il dottorato è dunque diventato semplicemente un titolo di mero significato accademico, valutato e richiesto soltanto con finalità propedeutiche alla futura carriera universitaria e di ricerca. Alcuni dottorati, poi, specialmente quelli delle materie scientifiche, il dottorato viene ridotto spesso a una semplice continuazione della tesi di laurea e un percorso obbligato al mondo della ricerca. In questo caso, infatti, il dottorato di ricerca assume i contorni di un mezzo di sfruttamento di lavoro semigratuito e un supporto non legale alla reale attività didattica. Nell’ambito delle professioni esso contraddistingue una sorta di apprendistato, pagato dallo Stato, necessario per essere cooptato con i tipici fenomeni di dipendenza lavorativa.

Materie scientifiche
Nell’ambito delle materie scientifiche, il dottorato di ricerca ha subito delle pesanti ripercussioni sulla sua stessa struttura, soprattutto a causa della sua eccessiva accademizzazione: come primo aspetto che risalta in questo senso, c’è il fatto che si è completamente rinunciato a rendere il dottorato un livello culturalmente più elevato della laurea, a causa di corsi di insegnamento troppo generici e dedicati a persone con interessi diversi (tra l’altro sono dei corsi gestiti male, perché svolti a titolo gratuito e spesso coincidenti con corsi specialistici del corso di laurea, con una conseguente scarsa correlazione tra la capacità di apprendimento degli studenti e il livello del corso stesso). Un altro aspetto che bisogna sottolineare è la presenza del concorso selettivo di ingresso: in questo caso, si ottiene generalmente una borsa di studio che permette di frequentare il dottorato. Questo elemento favorisce sicuramente una sorta di contrapposizione tra i dottorandi per l’inserimento nel mondo della ricerca: si andranno dunque a curare maggiormente i risultati pratici (pubblicazioni o titoli equivalenti…) piuttosto che il miglioramento della preparazione personale.

La borsa di studio
La borsa di studio relativa al dottorato di ricerca si è evoluta nel corso del tempo, sotto la spinta di particolari interessi. Inizialmente il numero di posti di dottorato era limitato a causa del numero di borse di studio assegnate a ogni facoltà e da queste ultime a ogni materia specifica. La selezione dei candidati idonei avviene tramite concorso generalista, un concorso che dovrebbe premiare il merito, ma non perfettamente definito nel dettaglio dei suoi obiettivi. Attualmente si è però proceduto verso la soluzione delle borse sponsorizzate, ovvero pagate da enti nazionali di ricerca (come ad esempio il CNR, ENEA…): tra l’altro vi sono anche alcune realtà più avanzate, di industrie private che hanno convenienza a veder preparate, a un costo modesto, persone di alta qualificazione. Le borse di studio sponsorizzate vengono pagate quindi da enti esterni al fine di svolgere un lavoro di ricerca su un tema preciso e rappresentano una soluzione senz’altro utile, rappresentando una sorta di anticamera un lavoro vero e proprio successivo.

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Gli effetti economici degli organismi geneticamente modificati: vantaggi tutt’altro che evidenti!

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  • 10 Gennaio 2009

L’introduzione degli organismi geneticamente modificati (OGM) nel sistema agro-alimentare italiano è sicuramente uno degli argomenti più dibattuti. Tra favorevoli e contrari la disputa è molto accesa: e allora ci possiamo chiedere se può un economista dare delle risposte e delle soluzioni nell’ambito di problemi così tecnici riguardanti l’agricoltura. Anzitutto un economista potrebbe dire che in materia vi è un alto grado di incertezza. Scegliere la tecnologia ogm per un’impresa ha carattere dell’irreversibilità: una volta coltivati questi organismi, non si potrà più tornare indietro. Dunque, dal punto di vista economico, per un’impresa investire nella tecnologia ogm significa perdere un’opzione reale, che viene trattata dalla teoria economica alla stregua di una opzione finanziaria.

L’applicazione del criterio del valore attuale netto
Il criterio del valore attuale netto è sicuramente un modo efficace per comprendere la situazione. Il valore attuale netto (VAN) è la differenza tra guadagni previsti in futuro e costo dell’investimento iniziale: i guadagni futuri devono essere riportati al tempo attuale mediante un coefficiente di attualizzazione che tiene conto dei mancati interessi sul capitale investito. Il ricavo netto futuro sarà quindi dato dalla formula: 1/(1 tasso di interesse premio di rischio). La presenza del tasso di interesse nella formula si giustifica col fatto che, investendo in quel progetto, si rinuncia alla remunerazione che la stessa somma avrebbe in un’attività senza rischio. La teoria economica suggerisce che, nel contesto di incertezza riguardo all’impatto degli ogm e l’irreversibilità della loro scelta, i vantaggi di una loro introduzione dovrebbero essere molto rilevanti per poter essere a favore della loro introduzione. Questo schema, bisogna precisarlo, si applica a tutte le innovazioni, anche agli acquisti dei beni durevoli (computer, auto…). Da un punto di vista squisitamente economico, i favorevoli all’introduzione degli ogm ritengono che il loro utilizzo consenta anche una riduzione degli input intermedi e quindi un risparmio di costi per l’azienda agricola, con un beneficio ulteriore per l’ambiente. Il mercato degli input si trasforma in tal modo, con l’introduzione degli ogm, da quasi concorrenziale a monopolistico, o quantomeno oligopolistico, e la domanda di input diventa più rigida dato che le imprese agricole dovranno far fronte a minori scelte alternative.

Rischio d’impresa
Un altro elemento importante da sottolineare e analizzare riguarda l’aumento del rischio d’impresa : come già detto in precedenza, infatti, l’introduzione degli ogm comporta un alto grado di incertezza e, conseguentemente, degli effetti anche a livello d’impresa. Ad esempio, i possibili effetti nocivi che potrebbero essere evidenziati da future ricerche, avrebbero un impatto notevolmente negativo sul prezzo del prodotto e maggiori costi per un’eventuale rotazione colturale. A questi devono aggiungersi i costi per i danni da contaminazione genetica a terzi produttori di prodotti non ogm: essi possono anche assumere la forma di premi assicurativi per possibili danni.

Come devono comportasi i consumatori?
Le preferenze dei consumatori vengono considerate dagli economisti come un dato. Molto spesso i consumatori ritengono che l’impiego di ogm implica la messa in commercio di prodotti pericolosi per la salute: anche se si tratta di una tesi tutta da dimostrare, l’analisi economica ne deve tenere conto, anche perché produrre un bene senza mercato significa, per le aziende, produrre senza futuro. Le preferenze dei consumatori implicano dunque un rapporto di scambio tra beni ogm e tradizionali a favore di questi ultimi. Se i prodotti ogm e non ogm fossero distinguibili con certezza, esisterebbero due mercati distinti con prezzi diversi, minori per i prodotti ogm: in questo caso si creerebbe un equilibrio non efficiente, un mercato caratterizzato da asimmetria informativa. Se sono un compratore razionale andrò a scontare il rischio di comprare un “bidone” offrendo un prezzo più basso di quello che avrei offerto in caso di un prodotto di alta qualità certa: ma sarà proprio questo basso prezzo a far sì che siano i venditori di “bidoni” a vendere di più e si attiverà un processo che tende a eliminare i prodotti di alta qualità. Questo meccanismo, che nell’ambito della politica economica è conosciuto come “Modello di Akerlof“, si può applicare perfettamente anche al caso degli ogm. La soluzione più probabile in questo caso sarà un netto spiazzamento dei prodotti cosiddetti tradizionali e si verificherà a causa dell’incertezza sulle caratteristiche sul prodotto, in assenza di interventi come, ad esempio, l’etichettatura. L’introduzione degli ogm, anche se etichettati, aumenta sicuramente il rischio anche per le imprese agricole più tradizionali: infatti i produttori convenzionali tendono a osservare un premio sul prezzo del loro prodotto convenzionale, ma questo premio, in caso di apertura agli ogm, non è più certo. L’incertezza, in questo caso, è generata da alcune possibili contaminazioni genetiche e da comportamenti opportunistici da parte dei produttori (si pensi, ad esempio, alla contraffazione dell’olio d’oliva e al vino al metanolo…). La situazione è ancor più realistica in Italia nel caso si provvedesse a una liberalizzazione totale: il contesto agricolo italiano è infatti caratterizzato da una frammentazione della superficie aziendale. Se i consumatori ritenessero, in tale contesto, l’etichettatura non credibile si avrebbe allora lo “spiazzamento” dei prodotti tradizionali in ogni caso.

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Il segreto del guadagno? La guida del risparmiatore!

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  • 13 Dicembre 2008

Non è certo agevole il compito del risparmiatore di fronte alla notevole complessità dei mercati finanziari: è da questa insicurezza che nasce la necessità di rivolgersi a professionisti della finanza, persone in grado di massimizzare i risparmi, ovvero il loro rendimento.

Banche e risparmio gestito. La banca è senza dubbio l’attrice fondamentale nell’allocazione dei risparmi delle famiglie. Nonostante un malessere abbastanza diffuso tra gli italiani nei confronti degli istituti creditizi in generale (lamentele riguardanti in particolare i costi dei servizi e delle commissioni), il rapporto tra risparmiatore e istituto si configura come una struttura portante delle strategie di risparmio. In particolare, il risparmiatore può assumere tre diversi atteggiamenti nell’approccio con la banca: 1) di rifiuto, ovvero si agisce in totale autonomia e viene rifiutata ogni proposta da parte dell’intermediario; 2) di delega parziale, si sceglie direttamente la composizione del portafoglio, ma viene delegata all’intermediario la gestione; 3) di delega totale, ci si affida totalmente all’intermediario per la composizione del portafoglio e per la scelta dei titoli.

Il risparmiatore fai-da-te. Per chi vuole operare autonomamente e individualmente, il modo più immediato per investire in borsa è quello del trading online, che permette, da casa o dall’ufficio, con costi contenuti, di collegarsi tramite un computer al sito della banca di cui si è scelto il servizio. Per chi però non vuole arrendersi alla tecnologia, ma al contempo vuole fare di testa propria, bisogna accettare l’intermediazione del proprio istituto di credito.

Acquistare azioni in banca. La compravendita di titoli in banca è un’operazione molto semplice: basta infatti recarsi a uno sportello e rivolgersi al funzionario incaricato. Si compila un modulo e l’ordine può essere eseguito dalla banca stessa, oppure viene inviato a una Sim, che di solito è un’emanazione della banca; l’ordine viene quindi immesso nel sistema secondo le modalità impartite dal cliente e, a questo punto, la banca invia al cliente il fissato bollato che comprova l’attestazione dell’ordine.

Acquistare azioni estere. Stesso discorso vale per l’acquisto di azioni estere: l’unica differenza risiede nel fatto che le commissioni sono generalmente più elevate. Se infatti, per fare un esempio, si acquistano azioni alla Borsa di Parigi, la banca deve appoggiarsi a un intermediario francese, con la conseguenza che la commissione raddoppia. Con l’introduzione del trading online, comunque, questi costi sono stati notevolmente abbassati dalle banche, anche se sono variabili da istituto a istituto.

Acquistare obbligazioni estere. Le banche solitamente acquistano bond esteri al momento dell’emissione nel paese d’origine per metterli poi a disposizione della clientela. Quindi, recandosi allo sportello bancario e volendo acquistare determinate obbligazioni, l’operatore andrà a verificare cosa è rimasto nel portafoglio della banca.

Le gestioni patrimoniali. Per chi decide di delegare a dei professionisti la gestione totale dei propri risparmi, lo strumento più adatto è sicuramente la gestione patrimoniale. Esistono due categorie di gestioni patrimoniali:

1. GPM. Sono le Gestioni Patrimoniali Mobiliari, in cui si può investire prevalentemente in valori mobiliari: è uno strumento molto adatto a chi dispone di capitali molto consistenti, anche perché maggiore sarà la somma in denaro data in gestione più alta sarà la prospettiva di guadagno

2. GPF. Le Gestioni Patrimoniali in Fondi permettono di investire solo in fondi comuni e si adattano a coloro che dispongono di capitali più modesti. Esse sono nate da un’esigenza ben precisa: tra i numerosissimi fondi proposti, è facile che il risparmiatore possa entrare in confusione. Le GPF rappresentano lo strumento più adatto per districarsi in questa “giungla”, in quanto permettono la possibilità di affidare incombenze come la scelta del fondo o il ribilanciamento del portafoglio fondi a un money manager, un professionista della finanza.

I costi. Le spese sono variabili: solitamente sono richieste delle spese periodiche di gestione. I costi in media oscillano tra lo 0,5% e il 2% del capitale investito e tendono ad accrescersi quanto maggiore sarà la componente azionaria della gestione. I risparmiatori sono disposti a sostenere costi aggiuntivi in cambio della garanzia della gestione professionale del loro portafoglio: garanzia che comunque non è sempre scontata. Il consiglio è quello di provare a trattare una riduzione della commissione o di rivolgersi ai gestori che offrono GPF “multimarca”, ovvero che investono in fondi di più emittenti, garantendo una diversificazione di prodotti e portafoglio.

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I brand con maggiore valore economico

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  • 10 Dicembre 2008

La classifica stilata la settimana scorsa da Interbrand, la società inglese attiva dal 1974 su scala internazionale per quanto riguarda la gestione e la consulenza sui principali brand mondiali, illustra quali sono le principali aziende che hanno raggiunto il maggior valore economico: i dati che ne risultano sono molto interessanti, sia per quanto riguarda le comparazioni che si possono effettuare sulle società che sono maggiormente cresciute rispetto al 2007, sia perché offrono uno spaccato fondamentale su come si sta evolvendo la società attuale, in base, ovviamente, ai consumi internazionali. Uno degli aspetti che è necessario sottolineare è la forte presenza nella classifica di società che operano nel settore tecnologico: sono ormai diversi anni che la tecnologia ha invaso la nostra vita quotidiana e questo fatto viene fortemente ribadito dalle venti e più realtà hi-tech che fanno parte del novero delle società dal marchio maggiormente valorizzato. Apple, che ha scalato ben nove posizioni rispetto a un anno fa (dal 33° al 24° posto, ovvero una crescita del 24%), si è distinta tra le altre, soprattutto grazie al lancio e alla commercializzazione su scala mondiale dell’iPhone, prodotto che ha riscosso immediatamente un forte successo; è cresciuta in misura notevole anche la Samsung, il cui marchio vale più di quello della Sony e di Yahoo.

Non deve perciò stupire la presenza dei marchi di società come Ibm, Microsoft, Nokia e Intel nella Top 10 della classifica (rispettivamente al 2°, 3°, 5° e 7° posto): notevole è stata anche l’ascesa di Google, passata dalla ventesima alla decima posizione. Il primo posto in assoluto appartiene però al marchio della Coca Cola, che conferma tale supremazia per l’ottavo anno consecutivo: tra l’altro la parola “coke” è la seconda più utilizzata al mondo dopo “ok“. Un altro dato che sicuramente non stupisce è il forte calo, in termini di posizioni, subito dai colossi del mondo finanziario, come, ad esempio, Morgan Stanley, Citi e Merril Lynch: la perdita è dovuta in maniera abbastanza evidente dalla grave crisi del credito che si è scatenata negli Stati Uniti, la quale ha esposto più intensamente le compagnie al rischio di erosione del marchio. Nella Top 10 figurano inoltre marchi di società automobilistiche come General Motors e Toyota, oltre a McDonald’s e Disney. La crescita più consistente è risultata quella di Google che, oltre al portentoso guadagno di posizioni, è cresciuta del 43%.

Per quanto riguarda l’Italia e limitandosi ai primi cento marchi presenti nella Best Global Brands, quattro sono le aziende del nostro paese: Gucci (al 45° posto), Prada (91°), Ferrari (93°) e Armani (94°). In particolare è il marchio Ferrari quello ad aver guadagnato maggior valore economico. La primazia di Google e Apple in termini di crescita testimonia la capacità delle due società di prevedere e riuscire ad anticipare i bisogni e i gusti degli utenti. La Best Global Brands 2008 risente senza dubbio dell’andamento attuale dell’economia globale: fattori fondamentali come la crisi finanziaria e creditizia che ha sconvolto gli Stati Uniti e la parallela crescita dei mercati emergenti (in particolare quelli dell’America Latina), oltre alla maggiore attenzione nei confronti della sostenibilità, si riflettono in maniera evidente nella crescita o perdita dei diversi marchi. Nonostante ciò, vi sono anche le immancabile eccezioni che confermano la regola: brand finanziari come HSBC (Hong Kong

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Assicurazioni: le polizze vita

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  • 30 Novembre 2008

Destinare una parte dei propri risparmi per la costruzione di una pensione integrativa è diventato sempre più un imperativo per l’Italia. Per i giovani di oggi non è infatti pensabile arrivare all’età della pensione senza un qualche strumento integrativo che vada a compensare la rendita garantita dallo Stato. Il modo più tradizionale e semplice per costruirsi una rendita aggiuntiva consiste nella sottoscrizione di una polizza vita. La polizza vita si è evoluta nel tempo: dalle iniziali forme tradizionali si è passati a strumenti più complessi con maggiori contenuti in termini finanziari, come ad esempio le polizze vita “unit linked” e “index linked“, ancorate all’andamento di particolari indici azionari.

Come funziona la polizza vita

La polizza vita è un contratto particolare stipulato tra un privato (il contraente) e una compagnia di assicurazione. In cambio del pagamento di una determinata somma di denaro, la compagnia di assicurazione si impegna, ad una data prestabilita, a corrispondere una rendita o un capitale. La somma di denaro che l’assicurato versa alla compagnia di assicurazione viene definita “premio” e rappresenta la remunerazione della società assicuratrice per il rischio che si assume. Quattro sono i soggetti che danno forma alla polizza vita: 1)la società di assicurazione; 2)il contraente, ovvero colui che stipula il contratto; 3)l’assicurato, la persona, cioè, a cui è riferito l’evento; 4)il beneficiario, ovvero colui che, al verificarsi di un determinato evento, ha diritto a ricevere la prestazione.

Come si sviluppa il premio. Come già detto in precedenza, la polizza vita prevede il pagamento di un premio. A seconda dei tipi di polizza, il pagamento avviene in un’unica soluzione al momento della stipula del contratto (premio unico), oppure attraverso versamenti periodici con scadenza annuale (premio ricorrente) per una certa durata. Esistono poi anche polizze a premio unico ricorrente: sono polizze molto flessibili che consentono, anziché impegnarsi in un versamento unico una tantum di grosso importo, di effettuare più versamenti con una frequenza scelta dall’assicurato e per un importo fissato di volta in volta. Al momento della sottoscrizione del contratto è senz’altro importante informarsi se il premio è al lordo o al netto dei caricamenti, dei costi accessori e delle imposte.

Rendita o capitale? In cambio del versamento del premio da parte del contraente la compagnia assicuratrice si impegna al versamento a una data stabilita, di un capitale o di una rendita. Optando per il capitale si ottiene dalla compagnia assicuratrice il versamento in un’unica soluzione di quanto maturato negli anni in base ai premi versati; chi sceglie invece la rendita, si assicura un vitalizio per il resto della propria esistenza o per un periodo prefissato. Come scegliere tra le due alternative? Dipende dalle necessità finanziarie del singolo e dalle motivazioni che lo hanno portato a sottoscrivere una polizza. Nella decisione finale rientrano anche motivazioni di carattere fiscale, perché il fisco riserva un trattamento diverso a seconda che si tratti di capitale o rendita.

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