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William Stok , artista internazionale post moderno

Luglio 2013 – Lo spazio Tandini di Milano ha recentemente ospitato l’artista William Stok, italiano per nascita, londinese per adozione. L’associazione culturale, che sorge all’interno di uno dei primo edifici in cemento armato del ‘900 e che vuole essere punto di promozione e valorizzazione della cultura e dell’arte internazionale, ha dedicato una serata alla proiezione di un film dedicato alla vita dell’artista.
William Stok, artista italiano trapiantato negli anni 70 a Londra, ha esposto le sue opere nelle più prestigiose gallerie europee. A scoprirlo negli anni ‘80 è stato il critico Charles Jencks , il principale teorico dell’arte post-moderna. Sono gli anni delle opere definite “classiche”, in cui William Stok è impegnato a realizzare grandi opere su carta partendo da foto in bianco e nero ritraenti come soggetti amici e conoscenti dei quali ricalca i lineamenti su tela bianca con la sanguigna. “Mi posizionavo al centro dell’immagine ricalcata su carta, una volta poggiata sul pavimento, lasciavo che il colore riempisse gli spazi da me creati: il colore si spargeva in modo casuale ed incontrollato, creando un’affascinate gioco di chiaro scuri che io stesso non avevo cercato. Il foglio intriso dall’acqua della tempera creava delle affascinati e sinuose ondulature e tutto questo era la mia opera d’arte, che io stesso non avevo ricercato. Il colore si era impossessato di tutto. Allo stesso tempo l’immagine ricalcata si impossessava del colore contenendolo “ . Emerge dunque il tema del “contenitore” che ritroviamo sempre negli stessi anni in alcuni quadri che propongono come unico soggetto la casa: contenitore dei nostri suppellettili e di noi stessi. I quadri hanno tutti la stessa dimensione e vi è sempre un elemento fasciante di colore blu che incornicia la casa “Questi quadri vengono sempre disposti in gallerie in sequenza ed alla stessa distanza per diventare delle finestre che in galleria ricostruiscono la facciata di un edificio. Vi è anche espresso in tema del fotogramma, già esistente nei lavori classici, e che userò anche nelle mie opere successive”.
La collezione Possesion inaugura una serie di produzioni che raccolgono molti dei temi affrontati fin ora, ma presentano anche un mutamento sostanziale nel linguaggio dell’artista.
Ispirato dal movimento del “readymade” di Duchamp, William Stok sperimenta e realizza opere partendo da oggetti di uso comune per esplorare uno dei bisogni più primitivi sai del mondo animale sia di quello umano: il bisogno di possedere, accumulare, conquistare oggetti come trofei di conquista per farli diventare parte integrante del proprio vivere e quindi del proprio essere.
Oggetti che sul piano materico risultano imprigionati e sostenuti da una composizione artistica realizzata utilizzando dei tondini metallici, in realtà sul piano ideologico sono il tentativo di renderli disegni nello spazio, che acquistano attraverso il metallo nuova lucentezza. Il peso della scultura è ribaltato e gli oggetti sono liberati nell’aria. Oggetti apparentemente di uso banale rivivono come protagonisti di una visione prospettica guidata e di una composizione artistica consequenziale. Non c’è solo idea che una nuova prospettiva ovvero una nuova visione permettano a chi osserva di scoprire un nuovo significato, un nuovo stimolo poiché l’oggetto orinario non esiste più. Quello che vede, che gli si palesa davanti agli occhi è qualcosa di nuovo che fino ad allora non era mia esistito. L’occhio è lo strumento attraverso la quale possiamo “impossessarci” di un’immagine, ma allo stesso tempo anche l’immagine si sta impassendo del nostro intelletto che la sta registrando. Ogni tondino rappresenta un movimento dell’occhio del quale l’artista ne proietta idealmente la linea del suo cono visivo. A miriadi di spostamenti oculari , poiché l’occhio umano non sta mia fermo, corrisponderanno miriadi di linee di coni ottici ideali. “L’esempio è dato dalla scultura con la silhouette della figura di metallo che guardando proietta una serie di cerchi che sono la concretizzazione del punto dove l’occhio nel tempo si è fermato.”
Questo rapporto bilaterale che regola l’atto dell’osservare un oggetto ha sempre affascinato William Stok. Infatti quando era ancora studente iniziò a realizzare delle cornici di 14 metri all’interno delle quali inseriva dei veri alberi presi qua e là. L’idea che la i due oggetti fossero interconnessi era espressa da una serie di palanche che partendo dall’enorme cornice si vanno restringendo verso l’albero e si dilatavano invece dall’albero alla cornice nel tentativo di suggerire un passaggio dimensionale dall’asse dell’oggetto all’asse dell’osservatore. Le palanche anche in questo caso sono utilizzata come ripresa ideale delle linee prospettiche dei quadri rinascimentali che partono dal vertice (l’albero), per raggiungere il limiti del quadro (la cornice). La cornice è anche il piano d’incontro delle linee del cono visivo che hanno come vertice l’occhio del fruitore che si è posto di fronte alla cornice. Questo aspetto ci porta alla produzione più recente dove l’elemento “occhio” si fa soggetto prediletto delle opere successive.
Nel 2002 William Stok subisce una serie di interventi agli occhi presso il Moorfields Eye Hospital di Londra e durante questi trattamenti iniziò a fare delle ricerche e rimase affascinato dalle immagini di occhi che lo circondavano ogni giorno. Una volta dimesso questa particolare esperienza si tramutò in una serie di dipinti suggestivi ritraenti gigantografie di occhi (larghe circa 3 metri) realizzati utilizzando tempere all’uovo oppure piccole miniature a pastelli su canavas. L’aspetto intrigante di questa sua ricerca era indagare il rapporto “fisiologico” mutevole che c’è tra la cornea, l’iride e la pupilla. I dipinti realizzati non sono da considerarsi come un attento studio anatomico dell’organo della vista, ma come immagini astratte e significati o scuri che si palesano nella mente dell’artista e di chi le osserva.
In questi ultimi anni, invece, la produzione artistica di William Stok si è concentrata sulla realizzazione di dipinti e sculture di forme apparentemente astratte che suggestivamente vengono ricongiunte ad immagini di oggetti reali che in fase di creazione non erano state pensate ma che si sono progressivamente palesate nella mente dell’artista. “Non sono alla ricerca di chissà quale significato, l’oggetto reale è semplicemente un oggetto. L’aspetto interessante è come l’astratto preso singolarmente non ci dice nulla, ma una volta elaborato prima dai nostri occhi con l’atto del guardare e poi dalla nostra mente diventa qualcosa di concreto e parte della nostra memoria.” La foto affiancata all’opera pittorica o alla scultura suggerisce il “titolo”, ma mai il significato. William Stok vuole suggerirci il punto da cui tutto nasce, il significato ed il valore che uno da agli oggetti è del tutto arbitrario ed individuale.

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