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Economia e Covid, uno studio rivela: meglio chiudere tutto che farlo a macchia di leopardo

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  • 4 Dicembre 2020

Lo scoppio della pandemia è qualcosa alla quale nessuno dei governi mondiali poteva essere preparato. Malgrado alcuni avessero varato piani e programmi di emergenza, quando ti ci trovi dentro è tutto più complicato. La decisione più importante per la nostra economia in questi mesi ha sempre oscillato tra l’ipotesi di chiudere tutto, e quella di fare dei lockdown mirati e selettivi (con tutte le possibili sfumature del caso).

Cosa è meglio per l’economia?

economiaNei giorni scorsi è apparso uno studio redatto da un docente australiano, Michael Smithson, che ha evidenziato come la chiusura totale – benché traumatica – è sempre preferibile a quella selettiva, per aree geografiche o settori economici. Insomma l’esatto opposto di quello che ha sempre affermato l’ex presidente USA Donald Trump, secondo il quale “se chiudi l’economia farai più danni“. Ma come giunge alle sue conclusioni il docente australiano?

Analisi dei dati

Il punto cruciale sta in un confronto. Smithson conferma l’affermazione che chiudendo tutto si crea un forte impatto sull’economia. Basta guardare i principali indicatori dell’economia. Il PIL, l’inflazione, il deficit/PIL, l’indicatore MACD applicato ai consumi. Ma è falso che eliminando i vincoli gli affari continuerebbero a girare come sempre. Ciò è dovuto al falso scambio fra costi sanitari ed economici.

La sanità guida la ripresa

Il professore australiano ha analizzato i dati relativi a 45 nazioni presi dall’Ocse e altri parametri economici. In teoria, un “liberi tutti” avrebbe dovuto provocare una impennata di contagi e morti, ma al tempo stesso anche un migliore andamento dei principali parametri economici. Invece non è così. Infatti nei paesi che hanno avuto più morti per milione di abitanti, per via del fatto che hanno assunto misure blande o tardive, gli indicatori economici non sono affatto andati bene.

Invece Smithson evidenzia che i paesi che hanno contenuto meglio il virus, sono anche quelli che hanno avuto impatti economici meno severi.
La conclusione è che, contrariamente a quanto si creda, i migliori segnali affidabili dicono che è la salute a condurre a una ripresa economica e non l’inverso.

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Mercato dell’argento, l’incremento di offerta può frenare lo slancio

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  • 6 Febbraio 2019

La maggiore attività estrattiva potrebbe dare impulso al mercato dell’argento ma non alla sua quotazione. Il metallo bianco ha vissuto un 2018 tutt’altro che semplice, perché analogamente alle altre commodities, è stato anch’esso penalizzato dagli eventi.

I fattori che hanno inciso sul mercato dell’argento

mercato dell'argentoDue sono stati i fattori che hanno zavorrato i mercati. In primo luogo la crescita del dollaro, innescata dalla guerra dei dazi con la Cina. In secondo luogo la pressione delle forti svendite sul mercato statunitense. Fattori che hanno agito in modo congiunto. Soltanto a partire da dicembre scorso si è assistito a una ripresa del metallo bianco, che era giunto sotto il livello dei 15 dollari per oncia. A dare il senso delle difficoltà del mercato dell’argento, ci pensa il “gold/silver ratio”, ovvero il rapporto tra i due più noti metalli preziosi. Erano 25 anni che questo “ratio” non toccava il rapporto di 1 oncia d’oro per 85 di argento..

Lo scorcio finale del 2018 ha regalato un dicembre positivo (+10%), grazie alla forte correlazione con il dollaro. Ma non si vedono ancora buone prospettive per l’anno in corso. Va però ricordato che il prezzo dell’argento – come altre materie prime – è molto più volatile rispetto a quello dell’oro. I suoi indicatori di volatilità infatti sono frequentemente più “isterici” rispetto a quelli del metallo giallo. Ciò dipende in buona parte dal fatto che si stratta di un bene soggetto sia alla domanda degli investitori (a fini speculativi) che alla domanda del settore industriale (cui è destinato oltre il 50% dell’estrazione).

L’offerta industriale in aumento

Proprio la crescita dell’offerta a fini industriali potrebbe incidere sulle quotazioni. Non ci sono infatti segnali affidabili che possa esserci una ripresa, visto che secondo alcuni esperti infatti, l’offerta di argento potrebbe iniziare ad aumentare per effetto della maggiore attività estrattiva. Questo comporterebbe un freno a ogni tentativo di ripresa dei prezzi, che potrebbero rimanere stabili verso i 16 dollari l’oncia. Sembrano così sempre più lontani i tempi in cui l’argento era giunto a 50 dollari l’oncia, eppure era solo aprile 2011.

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