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Economia, la corsa del petrolio è una miccia per aggravare la crisi globale

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  • 23 Aprile 2023

Negli ultimi mesi le banche centrali di tutto il mondo hanno spinto sull’acceleratore dei tassi di interesse per riuscire a domare l’inflazione, spendo bene che questo avrebbe depresso l’economia. Ma sono andate avanti, anche a rischio di innescare una recessione.
Adesso che all’orizzonte si prospettano delle manovre più accomodanti e un ritorno dell’inflazione e dei tassi di interesse verso valori più normali, ecco però che il petrolio aleggia come una minaccia che rischia di vanificare tutti gli sforzi.

L’OPEC+, il petrolio e l’economia

economia e petrolioLa vera miccia che rischia di innescare una crisi economica globale, ancora più feroce di quella attuale, è la recente mossa dell’OPEC+. Il cartello dei produttori ha infatti deciso di tagliare la produzione di greggio di un milione di barili in un giorno.

Una mossa del genere ha immediatamente innescato una dinamica rialzista delle quotazioni del barile di greggio, che ha superato di slancio quota 80 dollari al barile, superando la media mobile del prezzo degli ultimi 10 mesi. Alcuni analisti hanno rispolverato le previsioni di $100 al fusto prima della fine di quest’anno.

Il problema è che la pressione rialzo dei prezzi del petrolio innescherà aumenti a cascata su tutti i settori dell’economia, rendendo così ancora più complicati gli sforzi delle banche centrali per raffreddare l’inflazione. In primo luogo la FED, che per prima ha cominciato ad alzare i tassi in modo vigoroso.

Equilibri geopolitici

La mossa dell’OPEC+ e la crisi dell’economia solo però un riflesso soprattutto di questioni di carattere geopolitico. Il taglio alla produzione è voluto principalmente dall’Arabia Saudita, uno dei due grandi stati del petrolio assieme alla Russia. Chi andrà più in difficoltà per via di questa mossa sarà la Federal Reserve americana.

Da una parte ci sono Riyad e Mosca, con una partnership sempre più forte, dall’altra c’è Washington con cui è in atto una rottura. Le conseguenze di questa crisi nei rapporti potrebbero essere però fatali per inflazione e sostenibilità dell’economia, come evidenziano gli analisti di XTB. Potrebbe quindi stagliarsi all’orizzonte una crisi peggiore di quella già in arrivo.

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Economia messicana, che trasformazione in 12 mesi (malgrado il Covid)

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  • 24 Settembre 2021

Guardando lo stato dell’economia messicana 12 mesi fa e guardandolo adesso, si stenterebbe a credere che sia lo stesso Paese. Soprattutto perché di mezzo c’è la pandemia.
Un anno fa le prospettive per il paese centroamericano erano terribili, ma ora la situazione è ben diversa.

La trasformazione dell’economia messicana

economia messicanaTra aprile e giugno l’economia messicana è cresciuta al ritmo del 19,7% su base annua (su base trimestrale la crescita è stata invece dell’1,5%), ed è chiaramente migliorata anche la fiducia dei consumatori grazie alla riduzione delle restrizioni dovute al Covid. Inoltre la campagna di vaccinazione, anche se cominciata in ritardo, sta progredendo a ritmo sostenuto.

Il Messico ha beneficiato di “rimbalzo” anche della ripresa dell’economia USA, grazie alle consistenti rimesse dei cittadini messicani che lavorano negli Stati Uniti.
Inoltre ricordiamo che il Paese è in buona posizione nella classifica produttori petrolio al mondo, e il prezzo del barile è cresciuto rispetto a un anno fa.
Dato lo scenario, anche il Fondo Monetario Internazionale ha adeguato le sue previsioni, aumentandole. Adesso vede un’espansione del 6,3% per quest’anno.

L’atteggiamento della Banxico

Bisogna evidenziare soprattutto la condotta della Banxico (la banca centrale messicana) durante la crisi. A differenza di quasi tutte le altre banche centrali, ha tagliato i tassi di 300 punti base al 4%, ma oltre a questa misura di sostegno, non ha implementato un significativo pacchetto di stimoli fiscali in risposta al Covid. Cosa che invece hanno fatto USA ed UE.
Il Presidente Andrés Manuel López Obrador ha riallocato risorse e varato misure di austerità per l’economia messicana, senza emettere debito. Ha invece fatto ricorso a una linea di swap con la Fed per garantire il buon funzionamento dei mercati finanziari.

L’appeal del Paese è cresciuto

Una strategia senza dubbio rischiosa, ma che alla fine sta ripagando. Infatti l’economia messicana si è ripresa, e questo non è avvenuto a scapito dei conti del Paese, che sono sani. In tal senso, il contrasto con gli altri mercati della regione è molto evidente.
Questo ha un effetto secondario importante, giacché molti analisti dei broker online sottolineano quanto il mercato dei capitali è stato attirato dal Messico.
Il Messico sta vivendo un boom del private equity. E molte di queste nuove ed interessanti aziende, sebbene non ancora quotate, stanno attirando l’interesse degli investitori globali.

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Mercato energetico, il regno del petrolio vacilla. Ormai è solo questione di tempo

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  • 15 Ottobre 2020

La pandemia ha probabilmente accelerato un processo che era comunque già in corso. Non c’è dubbio che la transizione del mercato energetico sia in crescita, e la spinta verso le energie rinnovabili sta rendendo sempre più vacillante il trono del petrolio.

Il cambio di leadership nel mercato energetico

mercato energeticoL’oro nero durante il periodo del Covid ha subito dei contraccolpi pesantissimi. Ad aprile addirittura il prezzo del WTI è sceso in territorio negativo, a quota -37 dollari circa. Roba mai vista. Il fatto è che i lockdown hanno depresso la produzione, e di conseguenza la domanda di carburante. Il legame indissolubile tra industria e petrolio s’è manifestato nel modo peggiore per il mercato energetico.

Il picco ormai è alle spalle

Tuttavia anche dopo l’avvio della ripresa economica, il prezzo del greggio non è che abbia brillato. Al momento le quotazioni continuano a muoversi in prossimità dei 40 dollari al barile. Giusto la metà di quello che si vedeva nella primavera del 2019. La buona stella del mattino (moring star), adesso si sta spegnendo (evening star). Certo, la ripresa non ha ancora portato l’attività produttiva ai livelli pre-pandemia. Ma secondo molti anche quando questo avverrà (e chissà quando) il prezzo del petrolio non toccherà più i livelli di un tempo.

La spinta verso le rinnovabili

L’accelerazione del mercato energetico verso le rinnovabili, in sostanza, ridurrà drasticamente gli ultimi anni di regno del petrolio. Solare ed eolico avanzano, anche per la presenza di altri fattori. Il cambiamento climatico ovviamente, ma anche motivazioni economiche, con i costi di produzione di energia pulita ormai in allineamento con quelli dei combustibili fossili. Oltre a questo c’è una spinta forte che arriva proprio dai consumatori, che esigono un cambiamento (come evidenzia la crescita di richiesta di veicoli elettrici). Lo stesso dicasi per i mercati, con una sempre maggiore attenzione verso gli investimenti sostenibili.

Quello che resta da chiedersi è quando durerà ancora il predominio energetico del petrolio. Secondo British Petroleum, a seconda dell’accelerazione del processo di transizione energetica, il calo potrebbe oscillare tra il 10% e il 55% entro il 2050. Se questo sprint dovesse andare anche oltre le previsioni, lo scenario più aggressivo sarebbe di un calo addirittura dell’80%.

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Quotazione del petrolio ancora bassa, ecco quali Paesi rischiano di più

Malgrado il discreto recupero dei prezzi avvenuto da metà aprile in poi, la quotazione del petrolio continua ad essere decisamente più bassa di quando la crisi da Covid scoppiò a inizio anno. Nel primo semestre i prezzi del petrolio hanno perso il 36%, per via di un fortissimo calo della domanda determinato dalla pandemia.
Tra i diversi produttori mondiali, è chiaro che un impatto così forte può avere conseguenze diverse a seconda delle singole e specifiche situazioni. Alcuni Paesi esportatori potrebbero correre il forte rischio di un aumento del deficit delle partite correnti.

Il breakeven e la quotazione del petrolio

quotazione del petrolioPer comprendere il problema, va evidenziato che la quotazione del petrolio e il modo in cui essa incide sulle economie dei Paesi esportatori, dipende dal “breakeven“. Si tratta del prezzo necessario per coprire le spese legate alle importazioni.

Dopo che la quotazione del petrolio raggiunse il picco di 100 dollari nel 2013, i Paesi esportatori hanno cominciato una politica volta a ridurre il breakeven, portandolo verso i 55 dollari al barile. Oggi il prezzo del barile oscilla tra i 40 e i 45 dollari al barile, con i lagging indicators che evidenziano il problema che si trovano ad affrontare i Paesi esportatori. Complicato per chi è solido, terribile per gli ha un breakeven superiore alla media.

Paesi a rischio e quelli più solidi

Tra i paesi più vulnerabili al calo del prezzo del petrolio ci sono Oman, Kazakistan e Colombia, ma pure Algeria, Angola e Nigeria. Questi Paesi – con quote di mercato aggregate al 9,4% del totale – hanno un breakeven alto. Per questi paesi quindi un prolungato periodo di prezzi bassi, implicherebbe una crescita del deficit fiscale e delle partite correnti. La conseguenza sarebbe poi un calo di valore delle rispettive valute. Una rischio che gli hedge funds più grandi al mondo stanno monitorando con attenzione.

Al contrario Russia e Arabia Saudita risultano i meno fragili, perché il loro breakeven è basso. Stanno messe bene anche Iran, Kuwait, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Questi paesi totalizzano il 39,4% di tutto il petrolio fornito nel mondo dalle nazioni esportatrici. Per le ragioni contrarie rispetto ai paesi con un breakeven alto, in questi casi si potrebbe assistere anche a un apprezzamento della valuta.

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Materie prime, un anno orribile tra volatilità choc e ribassi record

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  • 4 Dicembre 2018

Dopo aver vissuto un 2017 all’insegna dei rialzi (in alcuni casi anche in doppia cifra), per il mercato delle materie prime il 2018 è stato un duro colpo. Complice la frenata economia globale, la guerra dei dazi USA-Cina e l’aumento del dollaro, l’intero settore ha vissuto periodi di vera bufera.

I numeri deludenti sono evidenziati dagli indicatori di performance, che nel corso di quest’anno che volge ormai al termine hanno accumulato perdite superiori al 7%. Peraltro il trend ribassista è andato in crescendo nelle ultime settimane. A fungere da traino sono stati i metalli, combustibili e molti prodotti agricoli.

La volatilità delle materie prime

materie primeQuello che lascia perplessi è soprattutto l’estrema volatilità che ha riguardato il settore energetico. Tanto il petrolio quanto il gas hanno avuto delle oscillazioni di prezzo molto violente, che hanno messo in difficoltà anche gli investitori più navigati. La volatilità, che normalmente è amica degli speculatori, stavolta ha fatto danni. Anche calcolare supporti e resistenze trading è diventato esercizio complicato, tanto oscillano i prezzi nel medio lungo periodo.

Il caso più eclatante riguarda l’estrema volatilità che si è scatenata sul mercato del petrolio. Da ottobre a novembre le quotazioni del barile sono passate dai record pluriennali ad accusare perdite del 25%. Per tre volte durante questo lasso di tempo, si sono viste sedute in cui le perdite si sono aggirate intorno al 7%. In media gli hedge funds specializzati in materie prime sono scesi del 4% nel 2018. A tal proposito è stato virale il video di James Cordier, fondatore di OptionSellers.com, che ha ammesso di aver bruciato 150 milioni di fondi dei clienti per colpa delle violente oscillazioni del petrolio e del gas. Non parliamo di piccoli trader che fanno operazioni di piccolo importo su piattaforme forex online italiane, ma di società che investono milioni di dollari.

Un altro esempio concreto riguarda il gas. Al Nymex non si vedevano oscillazioni violente come quella del 2018 da un decennio. Quella implicita infatti è schizzata da 30 a 130. Si può quindi ben parlare di bufera sugli energetici e in generale sul mercato delle materie prime. Il guaio è che se pochi immaginava che sarebbe successo, quasi nessuno sa come finirà.

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Petrolio, l’OPEC deve intervenire per evitare un nuovo tracollo

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  • 16 Novembre 2018

Le settimane trasversali tra ottobre e novembre saranno ricordate come il periodo più nero della storia recente del petrolio. Durante questo lasso di tempo la quotazione dell’oro nero è scesa del 20%, schiacciata dal timore di una nuova e incontrastabile eccedenza di offerta rispetto alla domanda.

La nuova crisi del petrolio

petrolioLa boccata di ossigeno è giunta lunedì 12 novembre, dopo l’intervento dell’OPEC. Il cartello – per bocca del ministro per l’energia dell’Arabia Saudita – ha preannunciato un possibile taglio alla produzione di greggio. Anche l’altro big del mercato, la Russia, acconsentirà a rallentare la produzione. Questo nuovo assetto dovrebbe essere sancito quando i paesi produttori si incontreranno il prossimo mese. Dovrebbe quindi ripetersi quella stessa alleanza che procedette al taglio della produzione da gennaio 2017, e che ha consentito alla quotazione del petrolio di risalire fino ad oltre gli 80 dollari al barile.

Quell’intesa però non è bastata a far sì che il mercato si reggesse in equilibrio sulle sue sole gambe. Da ottobre in poi i futures del greggio sono calati bruscamente. Adesso gli investitori non cercano neppure più segnali di inversione del trend, ma le figure di continuazione trading perché considerano un nuovo trend (stavolta ribassista) già in corso.

La botta definitiva agli equilibri di mercato l’hanno data due fattori. L’incremento dell’offerta generato dall’aumento delle forniture di petrolio dagli Stati Uniti, dall’OPEC e dalla Russia. Dal lato l’indebolimento della domanda.

Quotazioni in discesa verticale

Se un mese fa il clima totalmente diverso che si respirava aveva portato la quotazione ai massimi di quattro anni, adesso lo scenario è del tutto diverso. Basta una qualsiasi piattaforma di trading online gratuita per vedere i dati: il greggio Brent è attorno quota 70 dollari, dopo che era arrivato anche a 84. Il greggio intermedio del West Texas è sui 60 dollari, dopo essere giunto a 75. Peraltro a inizio novembre il WTI ha registrato la sua più lunga serie di sconfitte in oltre 34 anni, scendendo per 10 giorni consecutivi.

Questi fattori hanno spinto l’OPEC e la Russia a incaricare un comitato di monitorare il mercato. Le conclusioni sono che le forniture di petrolio stanno crescendo più velocemente della domanda, minacciando di lasciare il mercato in eccesso. Da qui la necessità di un nuovo accordo sui tagli. Presumibilmente servirà una sforbiciata di circa un milione di barili. Almeno per ora.

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Incontro di lavoro tra Asif Ali Zardari e Paolo Scaroni

San Donato Milanese (Milano), luglio 2012Il Presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, e l’Amministratore Delegato di Eni, Paolo Scaroni, si sono incontrati a Karachi per fare il punto sullo sviluppo delle attività e sui progetti di Eni nel Paese.

Durante l’incontro sono stati condivisi i possibili ulteriori sviluppi della partnership strategica tra la compagnia e il Governo del Pakistan nel settore degli idrocarburi, nel quale Eni sta mettendo a disposizione il proprio know how e le proprie tecnologie innovative. Prima dell’incontro, l’AD di Eni si è recato a Islamabad dove ha incontrato il Ministro del Petrolio e delle Risorse Naturali del Pakistan, Asim Hussain.

Eni è presente nell’upstream del Pakistan dal 2000 e oggi è la più importante compagnia petrolifera internazionale operante nel Paese. La produzione equity attuale è di circa 58 mila barili al giorno, prevalentemente a gas, e rappresenta circa il 10% della produzione totale del Pakistan. Nell’ambito della partnership Eni sta portando avanti nelle aree in cui svolge proprie attività un programma di supporto sociale alle comunità locali, che include progetti scolastici e socio-sanitari, lo sviluppo di reti idriche, la promozione della sicurezza alimentare e corsi di informatica.

Contatti societari:

Ufficio Stampa: Tel. +39.0252031875 – +39.0659822030
Numero verde azionisti (dall’Italia) : 800940924
Numero verde azionisti (dall’estero): +39.800 11 22 34 56
Centralino : +39.0659821
[email protected]
[email protected]
[email protected]
Sito internet: www.eni.com

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OIL & GAS ANNUAL MEETING 2011

La GE Oil & Gas Annual Meeting è un convegno dedicato alla presentazione di soluzioni tecnologiche avanzate per tutti i segmenti del petrolio e del gas, da perforazione e produzione attraverso la trasformazione e la formazione di prodotti a base di idrocarburi. Il programma mette in evidenza anche diversi interventi da dirigenti di aziende del petrolio e del gas, seminari e workshop su tecnologie nuove ed emergenti di GE. una fiera di prodotti con una vasta gamma di soluzioni di tecnologia avanzata, e tour della produzione state-of-the-art di GE e di collaudo in Firenze e Massa dove sono fabbricate, testate, imballate e pronte per essere installate in progetti in tutto il mondo, alcune delle più grandi e avanzate macchine per i segmenti del petrolio e del gas.

L’incontro, organizzato da NUOVO PIGNONE S.P.A. – GRUPPO GENERAL ELECTRIC, si terrà a Firenze lunedì 31 gennaio e  martedì 1 febbraio 2011 presso l’ottocentesca Villa Vittoria in cui ha sede il Palazzo dei Congressi in Piazza Adua 1, davanti alla Stazione Centrale di Santa Maria Novella, nel centro di Firenze, vicino  a molti siti di interesse storico e artistico.
Tutti i partecipanti alla riunione riceveranno un badge personalizzato al momento della registrazione presso il Palazzo dei Congressi.

Firenze Affittacamere è un b&b nei pressi del Palazzo dei Congressi

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SANTOCHIRICO: “SU NUCLEARE E PETROLIO SERVE UN ATTO DI COERENZA DEL MINISTRO PRESTIGIACOMO”

Il vice presidente della Giunta regionale e assessore all’Ambiente, Territorio e Politiche della sostenibilità, Vincenzo Santochirico, ha inviato una lettera al ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, affinché si adoperi per ripristinare il ruolo e le competenze delle Regioni in materia ambientale, soprattutto a seguito dei provvedimenti che riguardano la realizzazione di centrali nucleari e le attività estrattive. L’assessore lucano riconosce al ministro di avere “rivendicato, con determinazione e con tenacia”, le prerogative del ministero, ottenendo l’approvazione da parte del Governo di un successivo provvedimento correttivo al cosiddetto “decreto anti-crisi”, che ne ripristina le competenze. Il provvedimento, come è noto, esautorava, di fatto, il ruolo del ministero dell’Ambiente, nonché quello delle Regioni e degli Enti locali.
“Tuttavia – scrive Santochirico alla Prestigiacomo -, non è la prima volta che provvedimenti legislativi introducono novità tali da sopprimere, di fatto, le prerogative in materia ambientale. E’ accaduto con l’approvazione della legge sullo Sviluppo e internazionalizzazione delle imprese, che, oltre a fissare i criteri per la localizzazione e costruzione di centrali nucleari e di stoccaggio e deposito delle scorie, cambia radicalmente la normativa in materia di estrazione di idrocarburi. Le Regioni vengono esautorate delle loro competenze e vengono meno, altresì, le garanzie per la salvaguardia dell’ambiente e del territorio: adesso i permessi di ricerca e le concessioni per l’estrazione di idrocarburi possono essere rilasciati senza l’Intesa Stato-Regione, bensì con un procedimento unico in capo all’Amministrazione dello Stato, mentre la Valutazione di impatto ambientale – richiesta soltanto per le attività di perforazione – è ora affidata all’Unmig, ufficio periferico del Ministero dello Sviluppo economico, non soltanto sottraendo la competenza alle Regioni, ma anche negandola al Suo Ministero. Queste norme sono, evidentemente, inaccettabili”.
La richiesta del vice presidente della Basilicata è che venga riaffermato “il principio di autoderminazione dei territori e delle comunità, per cui le Regioni devono poter esprimere pareri vincolanti sotto il profilo della Valutazione di impatto ambientale”. Pertanto – scrive Santochirico al ministro Prestigiacomo – ci attendiamo un gesto di coerenza. Come ha difeso le prerogative in materia ambientale a favore del suo Dicastero, lo faccia anche a favore e a sostegno di quelle delle Regioni. Solo chi si occupa e preoccupa istituzionalmente di ambiente, a livello statale come a livello regionale, può difenderne e tutelarne le ragioni. Del pari, riteniamo che in materia di impianti e siti nucleari, le Regioni debbano poter esprimere il loro pare vincolante sia in sede di Via che in sede di Intesa. Lo diciamo per difendere principi costituzionali, perché sul piano politico eravamo e siamo contrari all’opzione nucleare”.
Ribadita, inoltre, la contrarietà della Basilicata sul tema del ritorno al nucleare “non soltanto per ragioni di carattere generale – tutela della salute, sicurezza, assorbimento di risorse – ma anche perché la nostra regione contribuisce già in maniera determinante al bilancio nazionale, assicurando circa il 90% della produzione di petrolio su terraferma ed oltre il 76% dell’intera produzione italiana”.

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