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Edyta Wachowicz: a Spoleto incontra Venezia le trasfigurazioni oniriche dell’artista polacca

“Spoleto incontra Venezia” si propone come vetrina internazionale a cui si ricollegano nomi di esponenti di prestigio come Dario Fo, Eugenio Carmi, Pier Paolo Pasolini, Josè Dalì. La grande mostra è in allestimento dal 28 settembre al 24 ottobre 2014 con la curateladel professor Vittorio Sgarbi e la direzione del noto manager produttore Salvo Nugnes. L’allestimento è nel magnifico Palazzo Rota Ivancich, situato a pochi passi da Piazza San Marco. Tra i selezionati artisti partecipanti Edyta Wachowicz porta la sua arte pittorica di originale ed eclettica ideazione.

La pittrice di origine polacca attualmente vive e lavora nel centro di Firenze. Ha studiato Storia dell’Arte e Letteratura. Molti suoi quadri sono conservati in collezioni private di tutto il mondo. E’ anche una fotografa professionista e una graphic designer di successo. I suoi dipinti d’impronta moderna seguono l’elemento onirico e la fantasia ed esprimono il lato grottesco della vita. Il colore è elemento protagonista. I suoi lavori sono influenzati dal Dadaismo e dal Futurismo.

Di lei hanno scritto “Pittrice, come un abile funambolo cammina in bilico tra sogno e realtà, attraverso allegorie concettuali, simboli nascosti e colori significanti. Opere avvolte da un alone magico e trasognato, che però non indietreggia di fronte agli aspetti più grotteschi della vita”.

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L’essenza della pelle: in mostra a Spoleto incontra Venezia l’arte iperrealista di Antonio Santucci

Tra i il novero degli artisti in mostra a “Spoleto incontra Venezia” è presente anche l’artista Antonio Santucci. L’evento è in allestimento dal 28 Settembre al 24 Ottobre 2014 a Palazzo Rota Ivancich, storico edificio nei pressi della meravigliosa Piazza San Marco. La mostra è curata da Vittorio Sgarbi e diretta dal manager produttore Salvo Nugnes. Tra i nomi di spicco artisti come Dario Fo, José Dalì ed Eugenio Carmi.

Antonio Santucci è un pittore che fin da piccolo ha sempre espresso l’amore per il disegno, i colori e soprattutto per la figura umana, tanto da scrutarne tutti i particolari ed arrivare ad essere un pittore quasi totalmente iperrealista. Santucci utilizza la tecnica dell’acrilico per dipingere per lo più volti, usa il colore su tela in maniera eccellente ed il suo tratto appare molto personale e deciso. Ogni soggetto dipinto ha un incarnato differente che rende l’opera e la persona ritratta unica ed autentica. Le pieghe della pelle e delle labbra, il colore dell’iride, la delicatezza dei capelli e la durezza del volto sono caratteristiche essenziali dei suoi dipinti.

L’artista esprime l’eleganza iperrealista della pelle, la arricchisce di dorature naturali, la modella sulla tela come fosse seta e la stropiccia come fosse carta, ne evidenzia il tempo che passa, butta fuori storie vissute ed esprime l’essenziale attraverso la corteccia rosea. Antonio Santucci affronta la sua arte in maniera completa, scrutando attraverso la pelle l’essenza dell’anima. Il suo percorso verso l’iperrealismo è dovuto alla continua ricerca di molteplici personalità e all’esplorazione di caratteri su cui riflettersi ogni istante in maniera differente. Il fitto e sostanzioso tracciato della narrazione pittorica di Antonio Santucci, regala un impatto visivo di immediato stupore. L’assoluta perfezione tecnica elaborativa trae quasi in inganno l’osservatore, facendo scambiare le raffigurazioni, dal prodigioso virtuosismo esecutivo, per immagini fotografiche ad altissima qualità.

Lo scrupoloso lavoro compiuto da Santucci, si focalizza prevalentemente sulla complessa e articolata gamma delle espressioni umane dei volti, sui peculiari caratteri distintivi facciali, sui fattori compositivi specifici della ritrattistica dei visi, proposti in versione di prospettiva molto ravvicinata, con una formula di inquadratura in visuale di primo piano. Tale metodologia applicativa, frutto di un approfondito e accurato studio preparatorio in materia, permette di carpire e valorizzare ogni minimo dettaglio, anche quello in apparenza più insignificante, imprimendo una reale veridicità di stupefacente effetto estetico, senza però tralasciare l’importanza dello scandaglio psicologico e dell’analisi dei contenuti introspettivi, riferiti ai soggetti protagonisti dei quadri.

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Mostra Elogio del Dubbio a Venezia fino al 31 dicembre 2012

Fino al 31 dicembre prossimo sarà possibile visitare la mostra Elogio del Dubbio negli spazi di Punta della Dogana a Venezia.

Da qualche anno a Venezia arte contemporanea fa rima anche con Punta della Dogana. La già ampia offerta artistica e museale della città di Venezia è stata infatti arricchita da un nuovo spazio destinato all’esposizione di opere d’arte contemporanea a Punta della Dogana. Ed è proprio qui che è in corso la mostra “Elogio del Dubbio”, inaugurata il 10 aprile 2011, che si protrarrà fino alla fine del 2012.

La mostra, tesa a celebrare ed approfondire la dimensione del dubbio, ospita una sessantina di opere realizzate da circa venti artisti del calibro di Maurizio Cattelan, Sigmar Polke, Donald Judd, Runi Horn, Tatiana Trouvé ed Edward Kienholtz, giusto per fare qualche nome. Si tratta in parte di opere già viste nell’ambito di altri eventi ed esposizioni, e in parte di opere create ad hoc per la mostra veneziana. Opere diverse tra di loro, di artisti diversi, ma accomunate dal tema del dubbio, inteso come messa in discussione del concetto di identità e dubbio per quanto riguarda il rapporto tra dimensione intima, personale e dell’opera.

Ma perché realizzare una mostra arte contemporanea Venezia dedicata proprio alla tematica del dubbio? La risposta ci viene da Caroline Bourgeois, curatrice della mostra, che in un’intervista rilasciata a Fabrice Bousteau ha spiegato come il concetto di dubbio sia di estrema importanza, in quanto fa parte della nostra sfera più intima e ci permette di crescere e stimolare il nostro pensiero ad evolversi. Potremmo dunque dire che porse dei dubbi significa, in senso lato, mettersi in discussione senza rimanere incatenati ad una convinzione, alle apparenze, alle credenze e così via. È mettendo in discussione quello che pensiamo essere un dato di fatto, una certezza, che riusciamo ad ampliare la nostra mente e ad espandere il nostro pensiero, e l’arte è sicuramente, e da sempre, uno dei mezzi migliori per spingere le nostre menti sempre più in là.

Quello di dubbio è un concetto molto ampio e sfaccettato, che può riguardare diversi ambiti e avere varie accezioni. Non è dunque un caso che visitando la mostra di Venezia e soffermandosi sulle singole opere esposte si abbia l’impressione di trovarsi di fronte a varie interpretazioni del concetto di dubbio. Nell’installazione Décor: A Conquest – XIX and XX Century dell’artista belga Marcel Broodthaers, per esempio, il dubbio è da leggersi come contrasto tra apparenza e realtà, tra l’apparente serenità della scena borghese rappresentata e la realtà cruda della guerra del Vietnam. L’opera di Roni Horn è invece tesa ad indagare la dimensione del dubbio anche in senso linguistico, e l’obiettivo dell’artista è comprensibile già dal gioco di parole che caratterizza il titolo dell’opera: Well and Truly, in cui il termine inglese “well” può voler dire sia “bene” che “pozzo”. L’algerino Adel Abdessemed, presente alla mostra con tre opere raccolte in una stanza interamente a lui dedicata, interpreta invece il concetto di dubbio come incertezza ed angoscia quotidiana.

È possibile visitare la mostra tutti i giorni, tranne il martedì e il 24 e il 25 dicembre, dalle 10 alle 19. Una buona occasione non solo per approfittare di offerte all inclusive in Veneto e conoscere le opere di alcuni dei più importanti artisti contemporanei, ma anche per visitare Punta della Dogana, ristrutturata nel 2009 da Tadao Ando e diventata, da ex porto monumentale della città, uno degli spazi museali di riferimento di Venezia per quanto riguarda l’arte contemporanea.

Articolo a cura di Francesca Tessarollo
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Mostre Venezia: l’Universo Dalì al museo Sant’Apollonia

Gli abitanti e turisti che questi mesi di inverno soggiorneranno negli alberghi veneziani hanno l’opportunità di visitare nel Museo Diocesano di Sant’Apollonia una delle mostre più interessanti della città negli ultimi tempi, una esibizione che mostra alcune delle facce più sconosciute del poliedrico artista catalano Salvador Dalì e dalla quale nessuno non esce indifferente.

La mostra conta infatti con una collezione di sculture in bronzo, vetro e oro elaborate dall’artista in vari periodi della sua vita e che in occasioni vanno a richiamare alcuni dei lavori con i quali Dalì diventò internazionalmente famoso: Torero Allucinogeno, Persistenza della Memoria e Venere Spaziale e Elefante Spaziale sono solo due delle sculture che trovano in questa mostra il contesto perfetto per l’introduzione al grande pubblico in nelle vicinanze del Palazzo Ducale Venezia.

L’esibizione include disegni e grafiche del periodo in cui l’artista manteneva una relazione di amicizia che segnò un momento di profondo cambiamento nella sua vita. Quello con Federico Garcia Lorca fu un rapporto artisticamente stimolante, tossico in occasioni e meno positivo per il poeta che per il pittore. Insieme a lui e ai suoi colleghi dell’accademia di belle arti San Fernando, Dali avrebbe conosciuto il cubismo e il dadaismo, le grandi opere classiche e i grandi temi della letteratura universale, i quali avrebbe riprodotto in queste grafiche, uniche nel mondo, e nei suoi primi passi come illustratore di libri.

In vetrina anche alcune delle opere influenzate dal psicanalista Sigmunf Freud, con il quale Dalì instaurò un rapporto quasi paterno filiale. La Lumaca e l’Angelo è l’ecco della dualità e di quello che si nasconde all’interno di tutto essere. Come l’uovo, altro elemento che fascina Dalì, il guscio della lumaca nasconde sotto l’apparenza dura un interiore debole da proteggere e tutelare e la quale scoperta può portare alla liberazione, seppur rischiosa, alla quale dobbiamo aspirare per diventare come la lumaca toccata dall’angelo, un essere che dall’immobilità passa a volare verso gli dei.

In mostra anche il popolare Elefante Spaziale, interpretazione daliniana del potere, tentazione alla quale sempre secondo l’artista, Sant Antonio non avrebbe resistito e rappresentata da un obelisco. La scultura oggi in esposizione negli edifici Venezia del museo è tratta dallo spettacolare dipinto realizzato a New York nel quale quattro elefanti inseguono attraverso il deserto il cavallo-santo Sant Antonio portando addosso le tentazioni in gambe sottili e alte come trampoli.

Sculture di periodi posteriori sono esposte nella mostra The Dali Universe a Venezia, alcune delle quali appartengono agli anni 70 e alla collezione che il pittore surrealista realizzò per il suo amico Isidoro Clot. Tra le opere esposte, riproduzioni firmate dall’artista come la Venus Spaziale, rappresentazione della deperibilità della bellezza umana e del carattere invece illimitato della bellezza artistica che è eterna.

Le sculture di vetro sono frutto dalla collaborazione con il negozio-galleria Daum Cristallerie di Parigi negli anni 60, un materiale al quale Dalì si rivolse con frequenza per la creazione di opere alle quali associava una consistenza quasi olografica, virtuale o onirica come Ciclopi.

Dalì non era sempre stato amato da tutti, come non lo sarà sicuramente da tutti quelli che visiteranno il museo in occasione di un long weekend, ma la realtà è che il pittore, poeta e “artista a 360 gradi” come lo si definisce nella sua patria di Figueres, non lascia indifferente nessuno.

A cura di Alba L
Prima Posizione Srl – brand online

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