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WE ARE STILL HERE

Questo è indubbiamente il risultato di un cinema davvero indipendente,  che non ha bisogno di grandi budget per esprimere al meglio le proprie idee; negli ultimi mesi si è parlato moltissimo (almeno negli ambienti “di genere”) di WE ARE STILL HERE che è stato descritto come un film in grado di recuperare le atmosfere tipiche di un certo cinema anni Settanta e Ottanta, e in particolar modo quelle di Lucio Fulci.

Da appassionata di Fulci devo dire che tecnicamente le regie di questi autori son davvero distanti: non bastano degli occhi bianchi e una cantina “infestata” a far pensare ad un voluto richiamo a film come L’ALDILA’: manca il marcio, l’ambiguo ed il cupo pessimismo dei film tipici Fulci, manca la malinconia e mancano stilisticamente le zoommate ed i giochi tipici di silenzi e sguardi fra gli attori. Manca l’indugiare anche sul sadismo degli omicidi. Mancano insomma caratteristiche perfino banali ad una prima osservazione per smontare le forzate teorie dell’omaggio, ma questo lo scrivo come un valore aggiunto perchè Geoghegan racconta con uno stile personale ed elegantemente efficace, la “sua” storia senza avere debiti con nessuno.

E’ vero che certe ambientazioni ed atmosfere rimandano un pò a film come QUELLA VILLA ACCANTO AL CIMITERO, ma del resto lo stile architettonico della provincia americana è quello. Io sottolineerei invece, l’uso della macchina a mano, sempre discreto ma voyeuristico, quasi a dare le perenne sensazione che in casa ci sia qualcuno ad osservare i protagonisti nella loro quotidianità. Questa semplice trovata, ci porta spesso a vedere le scene come filtrate attraverso gli occhi di un misterioso ed invisibile fantasma, lasciando addosso una tensione costante anche laddove poi, non accade niente.

Le fluide inquadrature in movimento negli interni, contrastano con le statiche, quasi pittoriche inquadrature degli esterni: paesaggi sempre avvolti in un bianco irreale che quasi ci fa sentire parte di quell’innevato e silenzioso luogo. La fotografia in questo è notevole, giocata su controluce spesso sovraesposti e giocando più di luce che di oscurità; decisamente atipico quindi (almeno per il cinema americano o europeo) l’ambientazione quasi completamente diurna anche delle scene più spaventose. Ottimi gli effetti artigianali, sapiente il dosato uso della CGI che non stona mai e bello l’impianto sonoro… essenziale, astratto, quasi umorale senza temi invasivi o piazzati ad effetto per rafforzare cali di tensione: qui la tensione c’è e spesso…. dove è più forte ogni commento sonoro intelligentemente si fa da parte per lasciare spazio alle interpretazioni. Dolce la ritrovata LISA MARIE, convincenti Barbara Crampton (Re-animator, From beyond) e Andrew Sensenig… ma davvero strepitoso nel suo piccolo ruolo il veterano Larry Fessenden che – specie nella scena della “possessione” – ci regala sani brividi grazie alla sua mimica facciale e vocale (e che curiosamente, ricorda nelle fattezze fisiche il Nicholson di Shining).

Se vogliamo trovare un difetto al film, forse è la troppa carne al fuoco… lo sceneggiatore volendoci donare più di un colpo di scena, aggiunge degli elementi (di sapore Lovecraftiano) senza i quali il film avrebbe giovato in scorrevolezza. Forse ci bastava “solo” la GHOST STORY, senza sviare troppo in altri contesti che appaiono forzati, e che senza i quali il film reggeva lo stesso… ma questo rientra nel mio gusto personale. A costo di apparire esigente, dico inoltre che è un buon film, ma non un capolavoro… come viene sbandierato in giro… e lo dico sempre per non far torto ai capolavori che nel genere non mancano, nè son mancati. Va di moda oggi lasciarsi trasportare “di pancia” in entusiasmi a volte poco professionali, col rischio di gridare al capolavoro ogni volta che si vede un lavoro onesto e ben fatto. La realtà è che invece, purtroppo, è la media generale che è bassa. Spesso sentiamo (e leggiamo) definizioni di GENIO solo per qualcuno che sa fare bene il suo lavoro… ma, credetemi, già questo non è poco.

Ce ne fossero di più di film così curati, ragionati e, soprattutto, ben interpretati e con una regia che ha il coraggio di non esser debitrice a nessuno! Lode a Ted Geoghegan, sebbene poi… volenti o nolenti, la moda della critica italiana e non, è quella di paragonare sempre questi registi e le loro opere al lavoro di qualcuno che li ha preceduti (ed in tempi d’oro, se vogliamo) per poter dire “è buono” o “non è buono” vanificando spesso gli sforzi che gli autori mettono per affermare la loro individualità.

 

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