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Toccati al cuore: il mondo della lirica contro il decreto “dei tagli” del ministro Bondi. Proteste e manifestazioni in tutta Italia, culla dell’Opera.

Il mondo della lirica insorge. Sono giorni che vanno avanti le proteste dei lavoratori del settore contro il decreto Bondi relativo alla riforma del sistema degli attuali 14 enti lirici, molti dei quali già in precarie situazioni economiche, tra l’altro ulteriormente peggiorate in seguito ai precedenti tagli decisi dal governo al Fondo Unico per lo Spettacolo.
In agitazione i dipendenti della Scala di Milano – tra le strutture più solide – che hanno bloccato la prima del “L’Oro del Reno” in programma il 13 maggio e annunciato nuove iniziative. Così come quelli dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dell’Opera di Roma, del Maggio Musicale di Firenze, del Comunale di Bologna, del Teatro Verdi di Trieste, della Fenice di Venezia, del Carlo Felice di Genova, del Petruzzelli di Bari e di tanti altri. Tutte le 14 fondazioni liriche interessate dal decreto si riuniranno inoltre il 17 maggio a Bari per una manifestazione nazionale. E tutto ciò nonostante i rilievi apposti al decreto dal presidente Napolitano, che comunque l’ha firmato, e l’incontro, chiesto proprio dal Capo dello Stato, tra lo stesso ministro della Cultura e le rappresentanze sindacali fissato per il 6 maggio.
Le critiche maggiori riguardano la natura stessa del decreto. Ma in particolare alcuni punti che tentiamo di sintetizzare:
blocco del turnover e dei concorsi fino al 2012, salvo rare eccezione; divieto dal primo gennaio 2011 delle attività autonome per il personale del comparto che dovranno poi essere autorizzate dal sovrintendente una volta siglato il nuovo contratto (fermo dal 2003); assunzioni a tempo determinato nel limite del 15% dell’organico; necessità dell’autorizzazione del governo per ogni eventuale assunzione a partire dal 2013; drastica riduzione, esattamente della metà, del contratto integrativo – parte sostanziale dell’intero stipendio – se entro un anno non verrà firmato il nuovo contratto nazionale; intervento dell’Aran – ovvero dello stato – nella trattativa finora gestita esclusivamente tra sindacati e Fondazioni Liriche rappresentate dall’Anfols; condizioni di accesso ai fondi pubblici fondate su “efficienza, economicità, corretta gestione e imprenditorialità” dell’ente (condizioni di cui al momento godrebbe soltanto la Scala di Milano e difficili da raggiungere visti gli alti costi e il basso interesse imprenditoriale privato); ballerini in pensione a 45 anni e non più a 52.
In una sola parola: tagli.
Il pericolo reale è che molti non ce la faranno, come si sottolinea anche dall’opposizione. Mentre i sindacati avvertono che tutto ciò è un rischio per il teatro, soprattutto il blocco delle assunzioni, e denunciano l’abolizione della contrattazione integrativa e nazionale con l’esproprio del sindacato.
E come dar loro torto considerando anche che lo Stato destina a tutt’oggi soltanto lo 0,3% circa del Pil (Prodotto Interno Lordo) alla cultura, continuando allo stesso tempo a vantare l’arte e la tradizione italiana nel mondo…
E se rispettiamo i timori, peraltro fondati, di sovrintendenti e lavoratori, come non considerare quelli per il futuro della lirica? Vogliamo riportare una voce su tutte, quella di Gabriele Gemignani, secondo violoncello di Santa Cecilia che in un’intervista a La Stampa (articolo di Maria Grazia Buzzone del 1 maggio scorso) ha dichiarato: <>
Ancora una volta a fare le spese di tutto ciò saranno le nuove generazioni, quelle che, come peraltro anche in altri settori, si impegnano con fatica ma con fiducia a costruire il loro avvenire. Cosa possiamo dire dunque ai tanti giovani dotati di un talento straordinario che forse non potranno coltivare e raffinare, che non avranno un luogo dove condividerlo con gli altri, che nonostante computer, chat, i-phone e tecnologie varie – che siamo sicuri giustamente usino comunque – sacrificano parte di loro stessi allo studio e alla conservazione di una nostra così grande tradizione? Perchè se parliamo di arte e cultura, nonostante l’Italia ne sia ricca, si può pensare anche a molto lontano da noi. Ma se parliamo di Opera e di Lirica, queste siamo noi. Nel XVI secolo è a Firenze la Camerata De’ Bardi
e quel tale Jacopo Peri che scrisse la prima “Opera”: “Euridice”. Da qui il “recitar cantando” viaggia rapidamente, in particolare a Roma e a Venezia. Il Teatro d’Opera nasce in Italia, in italiano sono scritti i principali metodi didattici sulla vocalità (Tosi, Lamperti, Mancini, Mengozzi…). Italiani sono i maestri ai quali si affidano anche i più grandi compositori stranieri: Antonio Salieri insegnò metrica e vocalità all’italiana a Beethoven e a Mozart. Italiani sono i più grandi compositori d’Opera celebri nel mondo: da Vivaldi a Cimarosa, da Bellini e Donizetti a Rossini, da Puccini a Cilea, Mascagni e Leoncavallo…
Cosa penserebbero di ciò che sta accadendo ora nel loro paese e nei templi della loro Arte?
Stavolta siamo stati toccati nel cuore.

Patrizia Simonetti
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