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Pubblicazione testi trilogia sulla Primavera araba e il terrorismo islamico - Comunicati stampa e News

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Comunicati

Pubblicazione testi trilogia sulla Primavera araba e il terrorismo islamico

Trilogia

dalla primavera araba ai giorni nostri

 

La storia della primavera araba e del terrorismo islamico raccontata in tre volumi

 

Il futuro della primavera araba

L’integralismo islamico alla conquista del mondo

Siria tra oscurantismo e democrazia

 

dello scrittore Marco Criscuolo

 

I moti rivoluzionari arabi che noi conosciamo meglio con il nome di Primavera Araba erano di stampo democratico ma con il passare dei mesi sono finiti per essere prettamente islamici. I giovani laici e democratici hanno protestato e sfilato in corteo per le piazze e le strade di Tunisi e Il Cairo ma la loro primavera si è trasformata in un buio autunno che preannuncia un inverno che rischia di ibernare i timidi tentativi di liberalizzazione e democratizzazione

Purtroppo siamo stati ingannati dalle apparenze. Nel mondo arabo manca il ceto medio, manca quella classe sociale che esprima la volontà e i bisogni della società civile. Il nostro impegno come Europei dovrebbe essere quello di puntare su questa classe media e sull’islam moderato perché ci possa essere una autentica democrazia. Quale sarà il futuro della Primavera Araba? Coloro che seguivano con gioia le manifestazioni nelle piazze delle città Arabe sono rimasti delusi. Al suo posto si è avuto un ritorno dell’islam integralista. Sono sorti gruppi islamici nuovi e si sono rafforzati quelli già preesistenti. Tra Siria e Iraq è nato uno stato che si definisce Stato Islamico con il nome di ISIS. Gli arabi che vivono in quelle zone si sono quindi ritrovati in una dittatura di stampo islamico, sostenuta dalla presenza di un gruppo islamico feroce e prepotente che stende i suoi tentacoli in ogni angolo del mondo per combattere l’occidente. Questo costituisce un grave pericolo, non solo per i popoli arabi ma anche per l’equilibrio occidentale e mondiale. A mio avviso una democrazia nei paesi arabi, è, allo stato attuale, una vera chimera, un qualcosa di quasi impossibile realizzazione anche se dettato dalle migliori intenzioni. Le vecchie dittature hanno garantito, a loro modo, un archetipo di stato, con una struttura e un buon livello di sicurezza per se e per gli altri. Sono convinto del fatto che ciò che manca nel mondo arabo è il concetto di democrazia così come lo intendiamo noi in occidente. I partiti detti laici sono in minoranza e male organizzati. La democrazia è un momento di libertà che lì porta alla realizzazione di questo scontro, un duello nel quale vince chi usa la violenza, la prepotenza e i mezzi subdoli per ingannare il proprio popolo. Sono anni che mi chiedo quale soluzione abbia questa penosa situazione. Credo che una buona democratica si realizzerà solamente tra molti anni, quando il popolo consapevole dei propri diritti e dei propri doveri saprà autogovernarsi in maniera libera e democratica. Ma nel mondo arabo non si lavora in questo senso. Laggiù si è ancora lontani da questa concezione di autogoverno, chi ha mantenuto un minimo di equilibrio, sono state ad oggi purtroppo le dittature dei vecchi leader. Il processo democratico è lento, un popolo ha bisogno di mesi, anni e secoli per raggiungere un grado di piena consapevolezza dei concetti di pace e uguaglianza e, in Europa sappiamo che questo lungo processo è andato avanti più o meno a questi ritmi. Non si può pretendere che esso si realizzi nel mondo arabo dalla sera alla mattina. La scuola, la cultura, l’insegnamento delle materie umanistiche e dell’islam pacifico e moderato potranno aiutare i popoli arabi a prendere coscienza dei diritti e dei doveri universali, ma tale processo richiede tempo. Ma forse solamente così, quei pochi semi di democrazia, gettati durante la primavera araba, potranno fiorire robusti dinanzi l’avanzare del totalitarismo. Così si potrà avere un reale e genuino percorso democratico, e solamente così ci si potrà incamminare e forse arrivare a quel tanto sperato traguardo che molti credevano di raggiungere con qualche rivolta e con la cacciata dei vecchi dittatori

La scia di proteste e rivolte che hanno portato uno sconvolgimento nel Mondo Arabo, la cosiddetta Primavera araba, inizia in Tunisia il 17 dicembre 2010. Quel giorno a Tunisi, il venditore ambulante Mohammed Bouazizi, si da fuoco per protestare contro il sequestro, da parte della polizia, della sua merce. Questo gesto innesca una serie di rivolte popolari e giovanili, che partendo dalla richiesta dei Tunisini delle dimissioni del presidente, Ben Alì, si estendono a molti Paesi Arabi. Le rivolte scaturiscono dalla delusione dei giovani, cristiani e musulmani e non solamente, che scontenti per la mancanza di lavoro, per la libertà limitata o inesistente, chiedono cambiamento, giustizia e libertà. L’anelito dei giovani è autentico, ma non organizzato, è privo di programma politico e di fatto non trova strade percorribili

La lista dei paesi di provenienza dei terroristi islamici conferisce un carattere internazionale al fenomeno. I commandi spesso sono composti da persone che arrivavano dalla Somalia, Nigeria, dal Kenya, dalla Siria etc ma anche dagli Stati Uniti, Italia, Francia, Gran Bretagna etc. Dei terroristi Made in Occidente spesso si conosce anche lo stato in cui abitavano, se non addirittura la città, i parenti, i figli etc

Se negli anni passati i giovani occidentali, convertiti o non, andavano ad addestrarsi nei campi in Afghanistan, Pakistan, Yemen e Somalia, per poi compiere atti di terrorismo nei paesi occidentali, negli ultimi anni questa modalità ha subito delle modifiche. Sono sempre meno e meno sicuri i campi di addestramento e quindi è diminuito il numero di coloro che vi partecipano per poi dare vita a delle cellule pronte all’azione in Occidente

Ma perché questi giovani occidentali decidono di iniziare il loro Jihàd?

Uno dei motivi sembra doversi ricercare nella necessità di dimostrare di possedere  una identità forte. Sono rari i casi in cui si può intuire che dietro queste scelte di morte ci siano povertà o problemi economici. In realtà, il disagio è dietro rispetto alle aspettative frustrate, alle difficoltà di inserimento o di integrazione. E, non è un riferimento fatto ai giovani immigrati di seconda o terza generazione, perché questa appare essere una condizione esistenziale più generale, che affliggeva anche alcuni dei giovani bianchi e occidentali che hanno deciso di abbracciare l’Islam in una zona periferica, non proveniente da una particolare etnia, spesso figlio o nipote di immigrati, senza precedenti penali di rilievo, convertito o di tradizione musulmana, ma con poca conoscenza della religione e con un approccio terroristico ad essa

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