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I Vincitori: una miscela di talento e determinazione? Si, ma non solo!

di Elena Pierini
Come si fa ad arrivare al successo? È solo questione di talento e determinazione?
Malcolm Gladwell riesce a dare una risposta osservando le persone giunte all’apice del
successo come: campioni dello sport, geni della scienza, virtuosi della musica, uomini
d’affari multimilionari.
Gladwell analizza le loro doti individuali ma anche e soprattutto i dettagli delle loro
biografie.
Vediamo come, riporto alcuni esempi.
L’hockey canadese è una meritocrazia. Se hai la stoffa e sei disposto a darti da fare per
sviluppare il tuo talento il sistema ti premierà, nell’hockey il successo si basa sui meriti
individuali.
A metà degli anni Ottanta uno psicologo canadese, Roger Barnsley, attirò per primo
l’attenzione sul fenomeno dell’età relativa.
Osservando l’organico dei Medicine Hat Tigers nel 2007, spicca ai nostri occhi che il 40%
degli atleti era nato tra gennaio e marzo, il 30% tra aprile e giugno, il 20% tra luglio e
settembre e il 10% tra ottobre e dicembre.
Non c’è bisogno di un’analisi statistica, basta semplicemente guardare l’organico della
squadra.
Quindi? I segni del Capricorno, dell’Acquario e dei Pesci sono i migliori? No, non è una
questione di zodiaco.
Per vincere talento, passione, lavoro duro e determinazione sono basilari, tuttavia anche
un bel vantaggio di diversi mesi di allenamento e maturità in più certamente aiutano.
Ma esiste il talento innato? Certo!
Non tutti i giocatori di hockey nati in gennaio finiscono per fare i professionisti. Solo
alcuni: quelli che hanno talento e preparazione.
Sarai tu il prossimo Michael Jordan? Quando sei nato?
Anche un ricercatore australiano afferma che potrebbe dipendere da quando sei nato.
Secondo Adrian Barnett, il mese di nascita di una persona può infatti avere impatto su
salute e forma fisica.
I risultati del suo studio sono stati pubblicati in un libro, “Analysing Seasonal Health
Data”, analizzando i compleanni dei giocatori professionisti della Australian Football
League (Afl), Barnett ha riscontrato che un numero sproporzionato è nato nei primi mesi
dell’anno, mentre quelli nati negli ultimi mesi, specialmente a dicembre, sono pochi.
In Australia l’anno scolastico comincia a gennaio.
“I bambini più alti hanno un ovvio vantaggio quando giocano”, spiega Barnett: “Se sei nato
a gennaio, hai 12 mesi di crescita di vantaggio rispetto ai tuoi compagni nati nei mesi
successivi, quindi nascere il 31 dicembre o il 1 gennaio potrebbe fare una grande differenza
nella tua vita”.
I risultati, ha spiegato, rispecchiano quelli di altri studi internazionali che hanno
riscontrato un legame tra data di nascita vicina all’inizio dell’anno scolastico e chance di
diventare un giocatore professionista in sport come hockey, football, pallavolo e basket.
Un altro studio importante riguardante l’argomento del talento è portato nei primi anni
’90 dallo psicologo K. Anders Ericsson e due colleghi all’accademia d’élite della musica di
Berlino. Con l’aiuto dei professori dell’accademia, hanno diviso i violinisti della scuola in
tre gruppi.
Nel primo gruppo c’erano le stelle, quelli con potenziale per diventare i migliori al mondo.
Nel secondo c’erano quelli semplicemente “bravi”. Nel terzo, infine, quelli che difficilmente
sarebbero diventati musicisti professionisti, e che avevano intenzione di diventare
insegnanti di musica. A tutti è stata posta la stessa domanda: nel corso della tua carriera,
da quando hai preso per la prima volta in mano un violino, quante ore di esercizio hai
fatto?
Tutti, in tutti e tre i gruppi, avevano cominciato a suonare più o meno alla stessa età,
intorno ai cinque anni. Nei primi anni tutti si esercitavano sulle due o tre ore a settimana.
Ma intorno agli otto anni cominciavano ad emergere le vere differenze. Quelli che poi
sarebbero diventati i migliori della classe hanno cominciato ad esercitarsi più di tutti gli
altri. In effetti, all’età di vent’anni i violinisti “d’élite” avevano totalizzato più di diecimila
ore di esercizio. Il secondo gruppo era sulle ottomila, ed il terzo poco più di quattromila.
Quello che colpisce nello studio di Ericsson è che non si è trovato nessun musicista
“naturale” che galleggiasse senza sforzo tra i migliori esercitandosi molto meno di loro, né,
specularmente, alcuno sfortunato che, pur sforzandosi più di tutti gli altri, non avesse
quello che serviva per arrivare al massimo.
La ricerca suggerisce che una volta che un musicista è abbastanza capace da entrare in una
scuola di musica, quello che fa la differenza è quanto si esercita.
Inoltre, i migliori dei migliori non si limitano a lavorare più, né molto di più. Lavorano
molto, molto di più.
L’idea che l’eccellenza in un compito complesso richieda un minimo di esercizio è emersa
molte altre volte negli studi al riguardo. I ricercatori, in effetti, si sono accordati su quello
che credano sia il numero magico per essere davvero capaci: diecimila ore.
Anche i Beatles, uno dei più famosi gruppi rock della storia, prima della loro esperienza ad
Amburgo non avevano nessuna regola quand’erano in scena.
Quando si conclusero i vari viaggi ad Amburgo, avevano suonato dal vivo circa 1200 volte
ed erano diventati ciò che sono diventati.
Come mai?
L’importanza di Amburgo risiede nella semplice quantità di tempo che il gruppo fu
costretto a suonare.
John Lennon in un’intervista disse: “A Liverpool non avevamo mai suonato più di un’ora,
invece ad Amburgo ci è toccato suonare per otto ore e più di una volta, così abbiamo
dovuto per forza imparare a suonare in una maniera nuova”.
Un’occasione straordinaria simile a quella dei giocatori nati a gennaio, febbraio e marzo.
Lewis Terman, psicologo statunitense, nel 1921 decise di fare dell’analisi dei ragazzi dotati
la missione della sua vita. Quei genietti furono ribattezzati “Termites” ed erano in possesso
di un QI (Quoziente Intellettivo) superiore a 140, che per una persona normale è tra gli 80
ed i 100.
Purtroppo dopo alcuni anni, nonostante le aspettative molto elevate, ben pochi “Termites”
erano diventati personaggi famosi a livello nazionale, mentre alcuni di loro avevano lavori
ordinari con redditi non eccezionali e sorprendentemente parecchi erano dei falliti.
Per avere successo nel lavoro, il QI non è tutto.
Chi a scuola è sempre stato bravo non necessariamente sarà più adatto ad un certo tipo di
lavoro rispetto a chi era uno studente scarso. Infatti, i classici test di intelligenza effettuano
la misura del QI in base alle tradizionali capacità logico-matematiche, verbali e spaziali,
evidenziandone però i limiti quando il QI è considerato un indicatore per prevedere il
successo che una persona otterrà nella vita professionale e sociale. Frequentemente si
verificano casi in cui persone con un QI alto ottengono scarsi risultati nel campo del lavoro
e nell’ambito delle relazioni sociali. Ciò ha dimostrato che l’intelligenza intesa come puro
raziocinio rispecchia solo una porzione delle più generali capacità che permettono ad un
individuo di affrontare e risolvere i problemi di tutti i giorni. La conseguenza è che il
giudizio ottenuto a scuola tende a mettere in luce solo un tipo di intelligenza più generale,
a discapito di eventuali inclinazioni più spiccate del singolo.
Si pensi ad una persona particolarmente intelligente, professionalmente preparata, ma
intrattabile ed asociale. Le mancanze a livello relazionale potrebbero notevolmente
compromettere un futuro professionale probabilmente brillante e promettente.
Tornando allo psicologo statunitense, i “Termites” divenuti famosi erano coloro che
avevano conquistato il successo e provenivano in maniera preponderante dalla classe
media o alta, mentre i falliti viceversa venivano dai quartieri poveri.
Terman dà ragione all’argomentazione di Annette Lareau, secondo cui conta veramente il
modo in cui i vostri genitori si guadagnano da vivere e quali sono i presupposti della loro
classe di appartenenza.
La sociologa Annette Lareau, qualche anno fa, ha condotto una ricerca su un gruppo di
alunni di terza elementare. Scelse scolari bianchi e neri provenienti da famiglie povere e
facoltose.
I genitori della classe media tentano di valutare e promuovere i talenti, le opinioni, le
capacità del bambino in modo attivo. I genitori poveri ritengono, al contrario, che sia loro
responsabilità dei figli ma lasciano che crescano e si valorizzino per conto proprio.
La conseguenza dei due diversi modi di educare fa si che i bambini poveri siano spesso più
educati, meno piagnucolosi, più creativi nell’uso del proprio tempo ed hanno un senso di
indipendenza ben sviluppato.
Il bambino della classe media, pieno di impegni, è esposto ad una serie di esperienze che
mutano costantemente. Impara a lavorare in gruppo e ad affrontare ambienti molto
strutturati, gli insegnano ad interagire senza difficoltà con gli adulti e ad esprimere la
propria opinione se necessario. Si comportano come se avessero diritto di dar corso alle
priorità individuali, di interagire attivamente in un contesto istituzionale e di agire nel
proprio interesse per ottenere vantaggi.
Allora, come si fa ad arrivare al successo?
Il talento e la determinazione non assicurano il successo, ma devono essere accompagnati
da altri elementi e circostanze, spesso bizzarri e quasi sempre sottovalutati, ma che fanno
parte di noi, di tutte le nostre esperienze e di tutto ciò che ci circonda sin dall’infanzia. Si
tratta del mese di nascita, delle ore di allenamento e preparazione, della classe di
appartenenza, della cultura, del momento storico, del tessuto economico e sociale: tutte
quelle circostanze e scelte, anche banali, che abbiamo davanti ogni giorno, ma che
delineano il nostro profilo di vincitore o di perdente.

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