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I nuovi timorati di Dio

In un’epoca segnata da profonde crisi e da calamità naturali, sembra opportuno rifarci ai timorati di Dio che, alle origini del cristianesimo, hanno “avuto una parte di rilievo nell’esito favorevole della prima missione cristiana. Essi divennero, insieme agli ellenisti, (Greci), un gruppo di capitale importanza, perchè rimasero fedeli al vangelo”, nonostante il loro rifiuto a sottomettersi alla pratica giudaica della circoncisione.

Vediamo appunto in questo contributo di rilevare i tratti peculiari della loro vita religiosa, affinchè il laicato possa essere, anche oggi sul loro esempio, appannaggio del timore di Dio in Cristo.
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I timorati di Dio

I timorati di Dio per Cristo e in Cristo

Luca menziona Simeone, uomo giusto e “timorato di Dio” (Lc 2,25).

Il timorato di Dio viene equiparato al servo del Signore che il Signore ha eletto, perchè ha posto il suo Spirito su di lui: “Lo Spirito Santo che era sopra di lui” (Lc 2,26).

Simeone era un uomo devoto a Dio, il cui spirito era docile a compiere quello che Dio gli diceva.

Su di lui lo Spirito del Signore aveva posto la sua dimora, perchè il suo cuore era predisposto a fare ciò che Dio gli diceva.

Infatti grande era il suo attaccamento a Dio, che lo Spirito del Signore gli predisse la venuta del messia; venuta che sarebbe stata “segno di contraddizione” per il popolo di Israele: “gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il messia del Signore” (Lc 2,26).

Per il timore di Dio, cioè per il suo profondo amore verso il Padre celeste, egli fu spinto dallo Spirito Santo e, recandosi al tempio in occasione della consacrazione di ogni primogenito maschio al Signore, come era prescritto dalla Legge, prese il bambino Gesù.

Dopo aver benedetto Gesù e i suoi genitori predisse – in veste di portavoce dello spirito del Signore – che Gesù era venuto nel mondo per “la rovina e la risurrezione di molti in Israele” (Lc 2,34).
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Simeone aveva predetto tutto questo (l’arrivo del messia), perchè aveva una profonda riverenza verso Dio, essendo irreprensibile il suo timore verso Dio, cioè la sua fiducia e la sua amicizia in Dio. Per questa sua volontaria disposizione a compiere ciò che Dio voleva, egli fu un uomo giusto e timorato di Dio.

Parallelamente in Gv 9,31 timorato di Dio viene designato colui che predispone il suo spirito a fare la volontà di Dio: “Noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta” (Gv 9,31).

Nel caso del cieco nato il timorato di Dio viene identificato con Gesù perchè lui solo, provenendo dal Padre, è interamente dedito al Padre con lo spirito e il corpo:

Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.

Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla (Gv 9,32-33). Sempre Giovanni in 12,20 fa riferimento ai timorati di Dio, cioè a “quelli che erano saliti per il culto (τινες ἐκ τῶν ἀναβαινόντων ἵνα προσκυνήσωσιν) durante la festa” (Gv 12,20), precisando che tra coloro “c’erano alcuni greci” (Gv 12,20).

Ciò attesta che i timorati di Dio non sono coloro che offrivano sacrifici a Dio, ma sono coloro che volgono il loro spirito a Dio, sottomettendosi a lui e amandolo al di sopra di ogni cosa.

Ne fa fede il verbo προσκυνεῖν in Gv 12,20 che in greco significa “adorare, rendere omaggio” .

In Giovanni il verbo indica il prosternarsi di coloro che salivano al tempio di Gerusalemme per rendere culto a Dio Tale verbo proviene da πρός (vicino) e κυνέω (dare un bacio) .

Dalla unione di queste due parole si evince che il timorato di Dio è colui che, in segno di riverenza e di rispetto, esprime il proprio fervente attaccamento a Dio.
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Giovanni precisa che, tra coloro che si recano al tempio, c’erano anche alcuni greci.

I greci si recano al tempio, sulla base della loro predisposizione a essere riverenti e rispettosi di Dio, perchè profondamente attaccati a Dio e, per questo motivo, sono annoverati da Gv come timorati di Dio.

Veniva designato come timorato di Dio un determinato gruppo di persone pagane per nascita, che si sentivano parte della comunità giudaica, senza essersi però sottomesse alla pratica della circoncisione ed essere divenute proseliti giudei.

Alla stessa stregua di Simeone, anche Cornelio era chiamato pio e timorato di Dio perchè egli era dedito a Dio, rivolgendogli le preghiere e facendo le elemosine: Era religioso e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio (At 10,2).

Il principale elemento che contraddistingue la figura di Cornelio rispetto alle altre è il fatto che egli era religioso e, al contempo, timorato di Dio.

La sua religiosità è interconnessa con il timore per cui, oltre a fare le elemosine, pregava Dio.

Secondo quanto ci testimonia Luca, la religiosità di Cornelio si estrinseca nel fare le elemosine, mentre il timore nel pregare Dio.

La religiosità è appannaggio dell’uomo che si volge a cercare il divino.

L’uomo religiosus, fin dall’antichità, era colui che aveva una spiccata tendenza a contemplare ciò che stava oltre, o meglio dietro il suo orizzonte fisico.

L’al di là lo affascinava a tal punto che tutto il suo essere era orientato ad immergersi in questa sfera che oltrepassava la sua pura materialità, per andare oltre se stesso.
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Nella stessa ottica si consuma la religiosità di Cornelio; religiosità che precede e che fonda la stessa virtù del timore di Dio. Senza questo anelito a Dio non era possibile per Cornelio, come per un uomo saggio, concretizzare nelle opere di carità questa sua sete di infinito.

A partire dalla religiosità, cioè a partire dall’apertura di se stesso a Dio, ne consegue per Cornelio, alla stessa stregua dei sapienti, la virtù pratica della religione che si estrinseca nelle sue diverse forme, compresa quella dell’elemosina, come nel caso di Cornelio.

Grazie a questa sua forte inclinazione a Dio, Cornelio si aggiudica il beneplacito di Dio con la preghiera, perchè essa detiene per l’anima lo stesso ruolo che il carburante ha nella macchina.

L’anima dell’uomo, senza la sua elevazione a Dio, perde se stessa, in quanto essa è orientata a vivere in pace con Dio per dedicarsi a lui, per cui l’uomo è chiamato a nutrire la vita dell’anima con la preghiera. La preghiera non è solo una semplice ripetizione di parole vuote di senso, ma se ne deve riporre la forza piuttosto nelle scelte dell’anima, e nella pratica delle virtù estesa a tutta la vita.

Sia che mangiate, dice l’Apostolo, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, fate tutto a gloria di Dio! (1Cor 10,31).

Sedendo a tavola, prega; prendendo il pane ringrazia chi te lo dona; rinfrancando col vino il corpo estenuato, ricorda chi ti porge questo dono per rallegrare il tuo cuore e rinfrancare la tua debolezza. E’ finito il pranzo?

Non cessi il ricordo del tuo benefattore. Se indossi l’abito, ringrazia chi te lo ha dato; se ti getti sulle spalle il mantello, cresci nell’amore di Dio il quale ci provvede d’estate e d’inverno degli abiti adatti per proteggere la nostra vita e nascondere le nostre vergogne (…).

In questo modo «pregherai senza interruzione», se non limiterai la tua prece alle sole parole, ma ti unirai a Dio in tutta la condotta della tua vita, sicchè il tuo stesso vivere sia una preghiera continua ed incessante.
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Origene spiega che innanzitutto, tramite la preghiera, l’orante ha il compito di lodare Dio; alla lode ne conseguono i ringraziamenti e la confessione dei propri peccati, seguita dalla supplica del perdono di questi e da una petizione dei doni sublimi.

Nella preghiera l’orante mostra la sua continua lode a Dio, per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.

All’inizio, cominciando la preghiera, si devono elevare con tutte le proprie forze lodi a Dio, per mezzo di Cristo, glorificato nello Spirito Santo, che è con lui.

Dopo di ciò, ognuno farà seguire ringraziamenti generali, pensando ai benefici elargiti a tanti uomini e quelli personali ricevuti da Dio.

Dopo il ringraziamento, mi sembra che si debbano accusare con severità, davanti a Dio, i propri peccati, supplicando lui di salvarci e liberarci dallo stato in cui quelli ci hanno condotto, e anche di perdonarci le colpe commesse.

Dopo la confessione dei peccati, si chiederanno i doni sublimi, celesti, particolari e collettivi, per i parenti e gli amici. E in tutto ciò la preghiera deve risuonare come lode continua a Dio per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.

Origene puntualizza che, tramite la preghiera, l’uomo rende l’anima sacra a Dio, nel senso che l’anima “si dispone soavemente per piacere a lui che è presente, che giunge al fondo di ogni pensiero e che esamina i cuori e scruta le reni (Sal 7,10)”.

Colui che prega, sempre per Origene, deve avere l’intenzione di piacere a Dio più che all’uomo e, per piacere a Dio, è chiamato ad allontanare da se stesso ogni proposito malvagio che fomenti l’ira e la perversione e che dia adito a turbamenti di ogni genere,cancellando dall’anima ogni sentimento d’ira e non serbando turbamento contro nessuno.

Inoltre, affinchè la sua anima non sia offuscata da pensieri estranei, deve dimenticare, nel tempo dedicato alla preghiera, tutto ciò che ad essa non si riferisce.
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Da tutto quanto, abbiamo notato che la preghiera è il cibo dell’anima, perchè essa consente all’anima una maggiore vicinanza con Dio, rendendo così Cornelio timorato di Dio. La sua vigilanza e la sua costanza, nel pregare e nel fare le elemosine, trovano grazia agli occhi di Dio perchè queste hanno fatto di Cornelio un vero timorato di Dio.

Un giorno verso le tre del pomeriggio vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: “Cornelio!” Egli lo guardò e preso da timore disse: «Che c’è, Signore?». Gli rispose: «Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio (At 10,3-4).

Cipriano di Cartagine, ricorrendo alla citazione di At 10,4, afferma che Dio ha esaudito Cornelio, perchè egli era uno che si prodigava nelle elemosine alla gente, e sempre stava a pregare Dio.

Appunto a lui, mentre pregava, verso l’ora nona un angelo venne a rendergli testimonianza del suo operato, dicendo: «Cornelio, le tue preghiere ed elemosine sono salite fino a Dio che se ne ricorda» (At 10,4).

Salgono immediatamente a Dio quelle preghiere che si presentano a lui coi meriti delle nostre opere.

Luca in At 10,2 designa Cornelio “uomo pio (εὐσεβὴς) e timorato (φοβούμενος) di Dio”, mentre in 10,22 “uomo giusto (δίκαιος) e timorato (φοβούμενος) di Dio”. La connotazione di timorato di Dio è preceduta, nel primo caso, dall’aggettivo pio e, nel secondo caso, dall’aggettivo giusto. Nel primo caso Luca puntualizza che Cornelio, prima di essere timorato, era pio, cioè “rispettoso (delle disposizioni)” .

Viene designato pio colui che ha un “timore reverenziale, profondo rispetto, pietà, religione” verso Dio.
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Nell’A.T. Il pio è colui che ha stabilito con Dio un patto di alleanza, al quale corrisponde di essergli fedele. Sulla base di questa sua fedeltà a Dio, Dio compie prodigi per lui.

Il termine pio, che raramente si trova nei libri biblici, designa colui che ha una fede e una condotta di vita esemplari al cospetto di Dio: “«Timorato di Dio» equivale a «pio» e, per i libri sapienziali, il «timore di Dio», la «religione» è il principio e il culmine della sapienza”. A lui Dio offre la propria gratitudine in quanto è leale, fermo, fedele, buono e santo. Il termine è “frequente nell’ambiente del NT per indicare rispetto per gli dei greci e romani e per le gerarchie sociali.”.

Riferito a Cornelio il termine pio viene a indicare che egli ebbe una fede e una condotta di vita gradita a Dio, essendo profondamente rispettoso dei suoi comandamenti, per cui questo stato di vita è alla base della sua profonda riverenza verso Dio. Proprio perchè Cornelio ha un profondo rispetto per Dio, egli diviene timorato di Dio, cioè riverente verso lui.

Per Cornelio il rispetto (εὐσέβεια) e la giustizia (δικαιοσύνη) sono elementi fondanti il timore di Dio. L’uomo giusto è anche colui che osserva i comandamenti (Dt 6,24) e che si rifugia in Dio (Pv 18,10).

A tal proposito Lattanzio spiega che l’uomo giusto è colui che glorifica Dio, onorandolo per tutto quanto gli ha donato.

Dio dunque volle che l’uomo fosse tutto dedicato alla sua glorificazione; (…): è sommamente giusto infatti che l’uomo ami colui che tanto gli ha donato (…). Dio dunque ha voluto che tutti gli uomini sian giusti, che cioè amino ed onorino Dio.
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La giustizia, ci spiega sempre Lattanzio, è un’erma bifronte. Essa è composta da due facce: dall’amore e dal timore.

Lattanzio ci invita non solo ad amare Dio come un padre perchè egli ci ha creati, ci nutre e ci salva, ma anche a temerlo perchè, in qualità di signore dell’universo, ha sull’uomo il potere di vita e di morte.

Primo compito della giustizia è riconoscere Dio come genitore: temerlo come signore e amarlo come padre.

Egli infatti ci ha generati, ci ha animati con lo spirito di vita, ci nutre, ci salva.

Perciò, non solo come padre, ma anche come dominatore, può ben castigarci: ha su noi potere di vita e morte; duplice è dunque l’onore che l’uomo gli deve prestare, cioè amarlo e temerlo.

L’uomo giusto e l’uomo pio in Cornelio si identificano, perchè da entrambi scaturisce, a mo’ di chiasmo, il senso positivo del timore di Dio.

In At 10,35 nel discorso di Pietro a Cornelio si evince che è gradito a Dio chi lo teme, ossia colui che offre sacrifici spirituali nella fede in Cristo: “ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto” (Atti 10,35).

Si ricalca la teologia del culto spirituale gradito a Dio, descritto in 1Pt 2,5, dove ciò che conta è la consacrazione del cuore a Dio credendo nel Figlio che egli ha inviato nel mondo, il quale ci rende figli di Dio.

anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo (1Pt 2,5).

Anche Paolo in Rm 15,16 aveva annoverato nella fede alla Parola predicata dal Figlio il culto spirituale gradito a Dio “perchè i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo” (Rm 15,16).

Sulla base di ciò i timorati di Dio sono coloro che accolgono con fede la buona novella predicata da Gesù, al quale sottomettono il loro spirito perchè fiduciosi del suo aiuto e, in questo loro culto spirituale, sono graditi al Padre.
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I timorati di Dio nell’A.T.

Nella storia del popolo di Israele i timorati di Dio avevano la caratteristica di non essere circoncisi, perchè non si convertivano al giudaismo, ma in loro era sviluppato il sentimento della riverenza e dell’attaccamento incondizionato a Dio. Essendo in loro vivo più il senso religioso che sacrificale, “frequentavano la liturgia della sinagoga, leggevano la Torà e osservavano i comandamenti”.

I timorati erano greci e non giudei che partecipano al sevizio sinagogale e osservano la legge senza però passare al giudaismo tramite la circoncisione. Essi sono obbligati all’osservanza del sabato e delle leggi relative ai cibi, hanno determinate prescrizioni morali e professano la fede in un solo Dio.

I timorati di Dio nella tradizione deuteronomistica

Si connotavano come coloro in cui era alto il senso della fiducia e dell’abbandono in Dio, spinti dalla certezza che Dio amava il suo popolo perchè egli ha instaurato con lui un rapporto di amicizia, sigillato dalla primitiva alleanza (Dt 10,12; 11,1; 30,16).

Al senso primitivo del timore di Dio, per cui la divinità incute tremore e terrore, si passa a una sorta di timore di Dio in senso positivo, nel senso cioè che l’uomo si abbandona amorevolmente nelle mani di Dio, teso a salvarlo grazie alla sua predisposizione del cuore volto a volere nessun altra cosa all’infuori di Dio.

Il primitivo concetto di timore si va così accostando all’«amore» (āhab), (…) esprimendo con una parola astratta l’idea di «religione»: «Che cosa chiede a te Yahweh, il tuo Dio, se non che tu tema Yahweh, il tuo Dio, che tu cammini in tutte le sue vie, che tu l’ami e serva a Yahweh, tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua (…)? (Dt 10,12).

In Dt 11,1 il timore di Dio esprime la propensione del fedele ad amare Dio, ad osservare le sue leggi, a riconoscerne la sua grandezza, concretizzatasi nelle sue gesta salvifiche verso il popolo d’Israele, liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto:

Ama dunque il Signore, tuo Dio, e osserva ogni giorno le sue prescrizioni: le sue leggi, le sue norme e i suoi comandi. 2. Oggi voi – non parlo ai vostri figli che non hanno conosciuto né hanno visto le lezioni del Signore, vostro Dio – riconoscete la sua grandezza, la sua mano potente, il suo braccio teso, 3. i suoi portenti, le opere che ha fatto in mezzo all’Egitto, contro il faraone, re dell’Egitto e contro la sua terra; 4. ciò che ha fatto all’esercito d’Egitto, ai suoi cavalli e ai suoi carri, come ha fatto rifluire su di loro le acque del mar Rosso, quando essi vi inseguivano, e come il Signore li ha distrutti per sempre (Dt 11,1-4).
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Secondo la versione deuteronomistica, il timore di Dio acquista il carattere di amore reverenziale verso Dio che salva il popolo di Israele; amore che si estrinseca nel camminare secondo le sue vie e nell’osservare i suoi precetti (Dt 30,16).

Il timore di Dio “soprattutto per la scuola deuteronomistica equivale a rispettare l’alleanza, ad obbedire ai comandamenti di Yahweh, a seguire le sue vie”.

I timorati di Dio nella tradizione sapienziale

Rispetto alla tradizione deuteronomistica quella sapienziale sottolinea che il timore di Dio, equiparato all’idea di religione, “è il principio e il culmine della sapienza”.

Infatti in Pv 1,7 viene puntualizzato che la sapienza umana ha origine dal timore di Dio: “Il timore del Signore è principio della scienza; gli stolti disprezzano la sapienza e l’istruzione” (Pv 1,7). Il timore di Dio connota l’atteggiamento del sapiente, cioè di colui che cerca di corrispondere all’amore del Padre.

Il timorato di Dio è intento a piacere più a Dio che agli uomini, per cui si preoccupa di affinare le sue capacità virtuali, al fine di rendersi sempre bene accetto al Signore (Pv 9,10).

Colui che coltiva le facoltà intellettive e volitive, nell’accingersi ad osservare i precetti del Signore, fa di tutto per rendersi il più possibile gradito a Dio, divenendo in tal modo timorato di Dio.

Chi si avvicina a Dio, osservandone i suoi precetti, è un uomo sapiente, dalla cui pienezza fiorisce il timore di Dio:

Il timore di Dio può essere usato in questo senso come sinonimo di essere “retto”, “onesto”, “giusto”, “odiare ciò che è malvagio”, “stare lontani dal maligno.

Cinzia Randazzo

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