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Fiumicino, nei trolley la droga per gli agenti. Evitavano i controlli sulle valigie. Tre arresti

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  • 25 Novembre 2010

Articolo tratto da “La Stampa” del 22 novembre 2010

E così si scopre che sbarcare quintali di cocaina all’aeroporto di Fiumicino era facilissimo. Se ne occupava direttamente una squadretta mista di poliziotti e finanzieri.
«Lavoretti», li chiamavano. Dodici solo nel 2010. Trolley carichi di droga in arrivo da Santo Domingo su voli di linea, tolti dal circuito dei controlli e girati nelle mani di due organizzazioni criminali: una di Ostia legata alla banda della Magliana, l’altra di Gaeta vicina alla camorra.

Si scopre nell’ambito di un’inchiesta per traffico internazionale di stupefacenti, che da due mesi procede sotto traccia. Decisive le dichiarazioni del maresciallo scelto della Gdf Massimo Callari, uno dei tre agenti arrestati. Il 4 novembre è stato interrogato al Regina Coeli dal pm Edmondo De Gregorio. Ha messo a verbale diciotto pagine spaventose e cinematografiche, ora all’attenzione della direzione distrettuale antimafia di Roma.

Incominciano così: «Mi ero appena separato, versavo in condizioni economiche precarie.Quando sono stato avvicinato dal collega Marciano, sapendomi in difficoltà, mi ha offerto il suo aiuto. C’era la possibilità di fare dei lavoretti con Bove…». L’ispettore della Polaria Cesare Bove – ora latitante – si staglia come il capo della squadra di agenti infedeli.

Questo è il suo primo incontro con il maresciallo Callari: «Ci siamo visti all’inizio di febbraio nell’area partenze Schengen. Il Bove mi ha spiegato che era possibile importare partite di sostanza stupefacente da Santo Domingo. Lui mi ha assicurato di avere contatti con organizzazioni criminali perché trafficava in Rolex e opere d’arte. Era un modo per farmi capire che intendeva remunerarmi…».Quindi scatta la fase operativa. «Il mio ruolo nel turno serale è di capo drappello dell’antidroga. Dovevo avvisarli in caso di eventuali allarmi». All’inizio Callari fa il palo. Un palo molto qualificato, prende subito 5 mila euro in contanti. Il primo volo Livingstone da Santo Domingo arriva alla fine di febbraio. «Bove ci ha avvisato una settimana prima. Io e Marciano ci siamo messi di turno. L’organizzazione ha fornito a Bove la fotografia dei bagagli». Callari sta di guardia. Bove e Marciano ritirano i bagagli prima che passino sul nastro trasportatore. È Bove che consegna la coca all’organizzazione. Gli viene pagata 6 o 7 mila euro al chilo. Vanno avanti per sette traffici nella massima tranquillità. Callari riceve soldi a palate: in un caso 35 mila euro in contanti.

All’ottavo lavoretto, Callari ritira con Marciano un trolley da 20 chili. Intasca altri 46 mila euro in contanti: «Mazzette da 10 mila euro fascicolate, tutte banconote da 50 euro». Il gruppo cresce. E per poter lavorare tranquillamente anche in orari pomeridiani cerca un altro agente della Polaria. «Il Mostarda viene reclutato con modalità simili alle mie», spiega Callari. Insieme scaricano droga dal volo Blu Panorama del 27 luglio.

L’avvocato di Callari si chiama Alexandro Maria Tirelli: «A questo punto è fondamentale che al maresciallo venga riconosciuto formalmente lo status di collaboratore di giustizia. Tutto quello che è emerso è merito suo, una decisione personale nata da un sincero pentimento. Il quadro è allarmante».
L’ultimo carico è del 21 settembre. Li tradisce un eccesso di sicurezza. Marciano si precipita «al lavoro» anche se è fuori servizio. Sale su un’auto di istituto, accosta l’aereo, e per la fretta – ha un impegno di famiglia – taglia il telone del carrello bagagli, carica due trolley e se ne va. La sua foga viene notata. Da lì incomincia l’indagine. Marciano, Mostarda e Callari sono in carcere, Bove è latitante. Il sospetto è che questo sia soltanto un piccolo pezzo della storia.

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Dalla Cina altri attacchi alle aziende americane

Durante il mese di Gennaio, il gigante di Mountain View, Google, ha denunciato la tentata intrusione nei suoi server Gmail.

Gli attacchi da quello che è emerso provenivano da computer residenti all’interno del territorio cinese ed erano estremamente sofisticati.

Da quello che hanno compreso gli ingegneri di Google, gli attaccanti avevano come obbiettivo le caselle di posta elettronica di alcuni oppositori del regime cinese.

Quello che però non è emerso, che come i server di Google sono stati attaccati, anche quelli di diverse altre aziende americane, hanno subito attacchi informatici.

Una delle aziende che ha denunciato questi avvenimenti è uno studio legale internazionale della città di Los Angeles, in California, lo studio Gipson Hoffman & Pancione Attorneys.

Da quello che è stato denunciato alla FBI, i dipendenti dello studio legale associato, hanno ricevuto delle email identiche a quelle di alcuni loro assistiti, ma che all’interno vi era allegato un script dal codice malevolo.

Analizzando la provenienza delle mail si è potuto identificare che sono state inviate anche queste dalla Cina.

Lo studio legale potrebbe essere stato attaccato per avere informazioni rispetto ad una causa contro alcune aziende cinesi, colpevoli secondo il cliente dello studio legale, di aver rubato circa 3 mila righe di codice sviluppato dalla società CYBERsitter, contenute all’interno di un software per filtrare i contenuti in internet.

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