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LE XILOGRAFIE CINESI DEI CENTO FIORI (CINA 1959). (CITTÀ, LAVORO, VECCHIO E NUOVO PAESAGGIO). Schegge dal museo più veloce del mondo

In mostra da Embrice (Roma, Via delle Sette Chiese, 78, Tel. 06.64521396, www.embrice.com), dal 14 dicembre 2012 al 14 gennaio 2013, Le xilografie cinesi dei cento fiori (Cina 1959) (Città, lavoro, vecchio e nuovo paesaggio). Schegge dal museo più veloce del mondo, a cura di Carlo Laurenti e Maria Eleonora Caturegli.

Quando Mao lanciò l’effimero ‘movimento dei Cento fiori’ (“Che cento fiori sboccino, che cento scuole contendano” ne era lo slogan) gli artisti, gli scrittori, i cineasti furono invitati a sentirsi liberi di uscire dai rigidi canoni del realismo socialista statuiti nella storica Conferenza di Yen’an.
La valanga di critiche al partito portò a una brusca chiusura dell’improvvisa liberalità, a condanne e le opere vennero ritirate.
Esse riapparvero nel disgelo post rivoluzione culturale, dopo la caduta della Banda dei Quattro (Yao Wenyan, Chang Chunqiao, Jiang Qing e Wang Gongwen) nel 1977, ma sparirono presto, inosservate. Solo chi si trovava a Pechino e Shanghai poté procurarsene degli esemplari.
I negozi del Teatro esponevano allora tutti quegli oggetti che durante la Rivoluzione culturale vennero confiscati come piccolo borghesi e, di regola, bruciati. Erano considerati paccottiglia inutile passibile peraltro di recrudescenze a venire.
I privati se ne sbarazzavano con sollievo. i diplomatici accumularono allora mobilia preziosa mentre gli impecuniosi studenti si limitarono a frammenti più a buon mercato che oggi vanno a ruba nella Cina del dopo Olimpiadi, che esibisce stadi e grattacieli firmati da archi-star e treni super veloci e in cui futuri astronauti già bardati rilasciano interviste sui maxi-schermi al plasma installati in ogni casa all’ennesimo piano della miriade di condomini nuovi di zecca all’interno dei sei Raccordi Anulari della megalopoli Pechino. Al centro della quale gli antichi quartieri a un piano con i caratteristici vicoli (hutong) svaniscono liofilizzati dal vertiginoso prezzo al metro quadro, un altoforno finanziario cui soccombe l’identità collettiva.
E anche se nelle librerie faraoniche a cinque piani (Shucheng: città dei libri) vengono ammannite edizioni tradotte di tutti i classici della cultura cinese, completi di traduzione in cinese moderno nonché di audio-libro alla bisogna – divenute incongrue leccornie in questo paesaggio – si tratta per lo più di feticci simbolici, ancoraggi casalinghi al fantasma identitario la cui mancanza si fa sentire sempre più acuta.
Immani mercati delle Pulci sciorinano in tutte le città frammenti del passato recente che l’accelerazione scandita inizialmente da quelle frenetiche braccine di impuberi Guardie Rosse, come lancette dei secondi hanno dato il Tempo, facendo sì che l’Altroieri sia divenuto Pleistocene.
Il grande ritardo e l’embargo semi-secolare hanno agito da allora come un’immensa fionda e il tempo perduto è stato recuperato in un baleno, in questo riassetto ovvio, inevitabile, in questo reinserimento di un continente nell’alveo del consorzio planetario si sono perduti i connotati minuti di una cultura infinitamente complessa, strutturatissima, frattale. Una cultura deflagrata in mille direzioni, che si sbriciola sotto gli occhi increduli di tutti i tentativi in atto di molti artisti, come Feng Mengbo, di conservare una traccia di questo mondo che evapora in un baleno.

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