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Il rifrattometro: cos’è e a cosa serve

Il rifrattometro è uno strumento ottico utilizzato per stabilire l’identità di una sostanza ignota, la purezza e la concentrazione di una determinata soluzione dissolta in un’altra. Lo strumento si basa sul principio fisico della rifrazione: quando la luce attraversa la superficie di separazione fra due sostanze trasparenti (ad es. aria e vetro), il raggio incidente subisce una deviazione rispetto alla sua direzione iniziale. Considerando che tutti gli atomi della materia (es. aria, acqua, vetro) in cui si propaga la luce la assorbono, e in parte la riemettono e la diffondono, il valore di velocità della luce dipende dalla natura del materiale. In altre parole, all’aumentare della densità di una sostanza (ad es. la quantità di zucchero disciolta in acqua) il suo indice di rifrazione cambia e, attraverso un sofisticato sistema di lenti, il rifrattometro ne proietta il valore, pronto per essere studiato.

I principali tipi di rifrattometri sono quattro: portatili tradizionali, portatili digitali, da laboratorio o di Abbe e da processo. I campi in cui possono essere impiegati sono numerosi. Utili per leggere la concentrazione zuccherina e di acqua, vengono utilizzati in apicoltura, per la raccolta della frutta, nella produzione della birra e, in viticoltura, per scegliere il momento migliore in cui vendemmiare e determinare il grado alcolico del mosto. In gemmologia il rifrattometro è indispensabile per l’analisi delle pietre preziose, mentre si rivela un prezioso alleato per stabilire il grado di densità e salinità dell’acqua degli acquari marini. Portatile e resistente all’acqua, il rifrattometro digitale, è particolarmente adatto nell’industria chimica e automobilistica, oltre che per l’esecuzione degli esami utili in ambito medico e veterinario.

Articolo scritto in collaborazione con Emme 3

 

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