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Eurobond, la strada sembra tracciata. La seconda ondata di Covid li renderà quasi inevitabili

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  • 4 Novembre 2020

L’avanzata della pandemia, con la seconda ondata in pieno divenire, sta riportando di attualità il tema degli Eurobond. Sembravano accantonati, o forse non necessari, perché per diversi mesi abbiamo vissuto con l’ottimismo di chi pensava di poter sconfiggere il virus. La seconda ondata ci ha riportati a una durissima realtà, con tutte le conseguenze economiche del caso.

La seconda ondata e gli Eurobond

eurobondBisogna evidenziare che questa seconda tempesta di contagi si sta rivelando molto più pesante della prima, perché ci ha colpiti quando eravamo ancora in ginocchio (economicamente parlando) e stavamo faticosamente cercando di rialzarci. Le misure di lockdown ci riporteranno indietro di mesi, anche se saranno più blande delle precedenti (perché non potremmo reggere una nuova chiusura totale). Colpiranno tutti i paesi, da quelli produttori di materie prime a quelli che puntano sulla tecnologia. dai principali produttori di petrolio ai Paesi leader della manifattura.

L’arma in più oltre al Recovery fund

Di fronte a questa situazione, la politica monetaria espansiva da sola non è più sufficiente per dare respiro a un’economia in crisi. Abbiamo superato la piercing line che separa la situazione di rimbalzo da quella del nuovo declino. Serve una spinta in più, e una soluzione praticabile sono gli Eurobond.

E’ vero che nel frattempo l’Europa ha varato il Recovery fund, ma le risorse che distribuirà non si vedranno così presto. E comunque era stato confezionato senza considerare i danni di una seconda ondata. Per questo motivo molti ritengono che si dovrà fare ricorso all’unica arma che ancora non è stata sfruttata: gli Eurobond.

Novità? non proprio…

Del resto, lo stesso Recovery Fund parte da un concetto analogo a quello degli Eurobond, ossia la condivisione delle emissioni obbligazionarie e delle responsabilità. Che stiamo già percorrendo questa strada lo dimostra il programma obbligazionario legato a SURE, introdotto dall’UE per sostenere il mercato del lavoro dei paesi membri. Ma lo dimostrano anche due bond collocati dalla UE di recente, che hanno caratteristiche molto simili agli Eurobond. Insomma, sembra che ci si sta avvicinando piano piano e per gradi a qualcosa di inevitabile.

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Mercati pronti alla sfida delle Elezioni Europee, due scenari possibili

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  • 14 Maggio 2019

Le elezioni Europee che si terranno a fine maggio, non interessano soltanto i 500 milioni di europei che andranno alle urne ma pure i mercati finanziari. E l’incertezza riguardo all’esito finale non fa di certo contenti i gestori dei fondi di investimento ne’ i trader privati.

Elezioni Europee e mercati

elezioni ue 2019Mai come stavolta lo scontro politico mette di fronte due view contrapposte. Da un lato i partiti sovranisti anti-euro, dall’altro il mantenimento dello status quo e le basi per fare ripartire l’economia del Vecchio Continente. Le scelte degli elettori avranno ripercussioni sull’economia mondiale del 2019 e dei prossimi anni. Gli investitori internazionali lo sanno, e siccome ci troviamo all’interno di una fase con molta liquidità che aspetta solo di essere sfruttata, l’appuntamento è ghiotto. Da tempo i gestori stanno studiando i pattern trading più utilizzati, per delineare le loro strategie in base agli scenari possibili.

Due scenari

Ma interpretare la situazione è assai complesso. Per i mercati finanziari, la conferma della composizione parlamentare attuale sarebbe un elemento di stabilità, che aiuterebbe a sopportare una presenza crescente di parlamentari euroscettici (cosa abbondantemente messa in conto). Darebbe cioè una certa fiducia al percorso dell’Europa, anche quella che finora si è dimostrata meno robusta (come l’Italia). Dall’altra invece c’è la vittoria degli “euro-scettici” e dei nazionalismi in genere, con un conseguente ribaltamento dei rapporti di forza tra gli schieramenti politici che dettano la linea del Vecchio Continente, e conseguenti spinte anti-euro.

L’approccio dei gestori patrimoniali

Questi due punti di vista si traducono ovviamente in due differenti approcci sui mercati. Ci muoviamo lungo una piercing line molto labile. Il primo scenario indurrebbe a puntare sull’euro e titoli a scadenze decennali di Grecia e Italia (uniche emissioni a offrire una redditività lorda a scadenza significativa). Il secondo a ridurre la componente euro, scegliendo monete forti come dollaro Usa o franco svizzero, che è una una sorta di garanzia per il proprio portafoglio. Il tutto condito con una quota di titoli decennali tedeschi (dal rendimento negativo -0,01%, insomma in dieci anni il capitale sarebbe quasi del tutto integro). In mezzo a questi due scenari si colloca la sterlina. La valuta britannica è la moneta del dissidio non ancora consumato. L’incertezza sul fronte Brexit in questo momento la colloca nel limbo, perché potrebbe riservare sorprese gradite o amarissime.

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