Il decreto Fare si appropria del nome del nostro partito e ne copia malamente e in modo riduttivo alcuni punti del programma.
Roma, 12 giugno 2013. Il Presidente del Consiglio Enrico Letta, per bocca di Dario Franceschini, ha annunciato il decreto “fare” con interventi in favore del rilancio del sistema economico italiano; l’intenzione è lodevole, peccato che al governo abbia fatto difetto un minimo di fantasia visto che ha avuto il cattivo gusto di appropriarsi del termine “Fare”, che identifica un partito che del governo non fa parte.
D’altra parte, un verbo non ha copyright e l’uso “indebito” è solo sintomo di mancanza di creatività e di stile, doti di cui questo governo scarseggia. Passi per lo stile, che è soggettivo, ma maggiore creatività sarebbe decisamente necessaria, viste le condizioni del paese.
Il problema più grosso dell’idea alla base di questo decreto comunque non sta tanto nel nome, quanto piuttosto nei contenuti: infatti Letta e il Governo dopo essere stati costretti a prendere atto della vacuità dei programmi economici dei partiti che li sostengono (principalmente PD e PDL, che invece di concentrarsi sull’economia hanno preferito studiare slogan elettorali) hanno scopiazzato qua e là interventi scoordinati per fronteggiare l’emergenza. Saccheggiando anche (ma non solo) il programma di Fare.
Il problema è che il decreto annunciato dal Governo ha un’impostazione profondamente riduttiva; contiene piccoli interventi-tampone ma nessuna azione (e ci dimostri il contrario chi pensa di averne la capacità) capace di impattare strutturalmente e risolvere problemi di medio o lungo periodo.
“Gli otto punti del decreto annunciato dal Governo Letta sono piccoli rattoppi, copiati senza metodo e messi malamente assieme; al contrario, i 10 punti del programma di Fare sono una ricetta strutturale per cambiare il corso delle cose. Dirò di più: mentre gli interventi del Governo sono scollegati e incoerenti, i 10 punti del programma di Fare sono concatenati a formare un piano strategico. Infine, i punti del Governo tentano di risolvere (forse) qualche aspetto ma lo fanno solo in un’ottica momentanea, mentre il programma di Fare affronta i temi economici e sociali con interventi strutturali.” E’ la condanna senza appello di Boldrin al “metodo Letta”.
Nel decreto infatti non si parla dei mali veri, come tassazione, spesa pubblica e strangolamento burocratico del paese, né si danno misure concrete per rimuoverli; non si parla di dismissioni pubbliche, di riduzione dei costi dell’apparato dello stato, di sistema creditizio, e men che meno di riduzione della pressione fiscale, anzi si aumenta la tassa sui rifiuti e si dà una stretta alle esenzioni sulla sanità, che è una ulteriore tassa implicita
Insomma, nella pratica Letta continua nel solco tracciato da Monti: a parole dice di voler rilanciare l’economia e il lavoro mentre nella pratica sa soltanto aumentare le tasse.
Fare, al contrario, da agosto del 2012 ha il vero “decreto del FARE”, su cui in pochi mesi abbiamo addirittura costruito un partito. Al Presidente del Consiglio rivolgiamo dunque un invito: caro Letta, invece di copiare sotto banco, venga a parlare con noi: le spiegheremo che “A CAMBIARE L’ITALIA SI FA COSI’”
Fare per Fermare il Declino è il partito politico scaturito dal movimento nato lo scorso agosto. Il manifesto di appello agli italiani da cui il momento di origine del movimento, pubblicato su sei quotidiani e intitolato “Cambiare la politica, fermare il declino, tornare a crescere”, è basato su 10 punti programmatici, semplici e realizzabili, e ha ottenuto una immediata e forte risposta da parte degli italiani, che ha permesso di partecipare alle elezioni politiche già dopo pochi mesi dalla costituzione. Oggi il movimento conta oltre 70mila adesioni. www.fermareildeclino.it – www.fare2013.it.
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