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Guerra valutaria, la Cina l’ha innescata ma è la prima a rischiare grosso

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  • 24 Agosto 2019

Solitamente il clou del periodo estivo si accompagnava ad una fase di stanca dei mercati finanziari. Ma oggi ormai gli scossoni arrivano in qualunque momento, anche sotto l’ombrellone. Soprattutto se c’è Trump di mezzo. Il presidente USA ha innescato la nuova escalation nella guerra commerciale, ma non immaginava una reazione così forte da parte della Cina. Pechino ha infatti risposto accendendo la miccia di una guerra valutaria, cosa che da tempo incombeva sulle trincee della guerra commerciale.

Le implicazioni della guerra valutaria

guerra valutaria yuanA inizio agosto, la Cina ha deciso di consentire la rottura della soglia di 7 yuan per dollaro, spingendola tra le nuvole dell’ichimoku system. In questo modo non solo risponde alle raffiche di dazi di Trump erigendo barriere alle importazioni di prodotti agricoli, ma al tempo stesso ‘sterilizza’ i dazi grazie alla riduzione dei prezzi dei suoi prodotti sui mercati in cui esporta. Un colpo basso che innesca la guerra valutaria, che però espone la stessa Cina a rischi notevoli.

Le implicazioni di una guerra valutaria sono sempre molto incerte, ma è sicuro che la Cina rischia di farsi molto più male rispetto ai danni che può infliggere agli avversari. Il renminbi o yuan, non è una moneta pienamente convertibile, a differenza del dollaro, dell’euro o dello yen, per dirne alcune. Soltanto da pochi anni infatti lo yuan ha cominciato ad essere usato negli scambi internazionali e non solo più per quelli interni. E solo dal primo ottobre del 2016, è stata ammessa tra quelle con Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario. Però da qui ad essere una vera moneta globale di riserva ce ne passa.

Il rischio grosso per lo Yuan

Questo che vuol dire? Che usare lo Yuan come un’arma nella guerra dei dazi, potrebbe spaventare gli investitori. Questi ultimi infatti rischiano di perdere soldi a causa di svalutazioni ‘politiche’ e non dettate da ragioni fondamentali. Di fronte a questo scenario, potrebbero scappare. E infatti dagli analisti sono partiti segnali di trading che hanno invitato ad abbandonare la valuta cinese, dirottando magari i capitali verso il più sicuro Yen giapponese.

Ma per la Cina la cosa peggiore è che per ricostruire un clima di fiducia con i mercati occorre molto tempo. Insomma, mi hai dato una fregatura una volta e prima che mi fidi di nuovo occorrerà molto tempo. Se sei un grande paese che vuole accreditarsi come potenza economica globale in grado di sfidare l’America, non è proprio la strada giusta.

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Il mercato dei cereali ringrazia la pioggia. Prezzi in salita malgrado la guerra dei dazi

Se l’uragano Trump si era abbattuto sul mercato dei cereali americani facendone crollare i prezzi, la pioggia sta (in parte) rimettendo le cose a posto. In mezzo ci sono gli investitori, specialmente quelli dei fondi di gestione, che si sono trovati spiazzati da questo colpo di scena climatico.

L’altalena sul mercato dei cereali

mercato dei cerealiSi può dire che la pioggia è riuscita ad essere più forte dei dazi nell’influenzare il prezzo sul mercato dei cereali. La battaglia tariffaria tra USA e Cina aveva depresso questo settore, perché si regge essenzialmente sulle esportazioni. La soia era stato l’emblema di questo tracollo. La caduta verticale dell’export verso l’Oriente, aveva portato il prezzo de semi di soia sotto gli 8 dollari. Roba che non si vedeva da un decennio. Il prezzo a Chicago rimane ancora basso, ma nel solo mese di maggio ha recuperato quasi il 10%.

E’ accaduto che l’allarme per il maltempo negli Stati Uniti ha scombussolato il mercato dei cereali. Ha rallentato le operazioni di semina. A causa delle piogge gli agricoltori sono riusciti a completare soltanto poco più della metà delle semine. In alcuni casi (come il mais), il ritmo è stato il più lento da quarant’anni. Ma ritardi forti ci sono stati anche su frumento e soia. Tutto questo fa temere non solo una riduzione delle aree coltivate, ma anche una resa inferiore alla media.

Rialzi da record in poche settimane

Come accade sempre, il timore di un raccolto sotto ritmo ha spinto i prezzi sul mercato dei cereali. Al punto tale che è stato battuto l’effetto (negativo) dei nuovi timori legati alla escalation commerciale tra Cina e USA. Il mais si è rilanciato al Chicago Board of Trade (Cbot), arrivando sui massimi di 3 anni e schizzando oltre la media mobile 200 periodi. Solo nella seconda metà di maggio l’incremento è stato del 24%. Anche il frumento è schizzato di oltre il 20%. Perfino la soia – ovvero quella più martoriata dalla guerra commerciale – ha cominciato a risalire la china.

La situazione ha avuto fortissimi riflessi nel mondo finanziario. Già perché gli hedge funds avevano accumulato un’esposizione ribassista da record su cereali e semi oleosi. Madre-natura quindi li ha colti in pesantissimo contropiede, facendo scattare i trailing stop loss e inducendoli a ribaltare improvvisamente i programmi e innescando le ricoperture. Non a caso nella terza settimana di maggio, gli speculatori hanno riacquistato posizioni corte (alla vendita) per 5,5 miliardi di dollari nel comparto.

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Grano sul mercato a livelli record, colpa del caldo e della siccità

Non bastassero le tensioni che si respirano sui mercati per via della guerra commerciale, ci si mette anche il caldo torrido a rovinare i piani degli investitori. La quotazione del grano infatti è balzata a ritmi storici a casua delle pesanti ondate di caldo che stanno danneggiando molti raccolti in tutte le aree del globo. Non a caso, il presidente Trump ha promesso 12 miliardi di dollari sotto forma di aiuti di stato ai coltivatori americani per contrastare i dazi. Ma si tratta di un provvedimento che potrà compensare solo in parte i danni già subiti.

L’andamento del grano

granoA Parigi il prezzo del grano è schizzato al record da tre anni, superando 200 euro per tonnellata. L’analisi grafica della quotazione evidenza una figura 123 pattern (uncino) di Ross, che fornisce un segnale di ulteriore rialzo. Ma anche i fondamentali non sono da meno, tenuto conto della prolungata siccità e delle temperature elevate che costringono ad una costante revisione al ribasso delle stime di produzione (meno si produce, più il prezzo sale).

L’ultima previsione sul grano tenero nell’Unione europea parla di un output di meno di 130 milioni di tonnellate. Se dovesse essere davvero così, sarebbe il livello produttivo minore dal 2012 (-10% rispetto alla passata stagione). Il caso più eclatante è quello della Russia, che ha conquistato il primato mondiale nell’export di grano lo scorso anno, ma prevede che possa crollare la produzione del 25% a 64,4 milioni di tonnellate.

Frumento, mais e cotone

Ma non c’è solo il grano sotto i riflettori. Anche il frumento va in crescita. Le quotazioni sono salite ai massimi da due mesi, vicino a 540 cents/bushel, con l’Indicatore Parabolic Sar trading system che suggerisce ulteriore spinta rialzista. E senza che questo prodotto sia nel mirino dei controdazi cinesi. I timori riguardo l’impatto del clima torrido stanno guidando al rialzo anche il mais e il cotone, altri prodotti colpiti dai dazi cinesi. Crescono pure loro, anche se a ritmo molto più contenuto. La quotazioni della fibra in particolare sono tornate in tensione, vicino a 90 cents per libbra all’Ice, per le devastazioni che la mancanza di pioggia sta provocando nel Texas occidentale.

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Oro unico vincitore della guerra commerciale tra Trump e la Cina

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  • 11 Aprile 2018

Se dovesse scoppiare una guerra commerciale, l’unico vincitore potrebbe essere l’oro. Il metallo giallo sta già vivendo una fase rialzista prolungata sulla scia delle scaramucce tra USA e Cina. Anche se le tensioni si sono leggermente affievolite rispetto ai primissimi giorni di aprile, la sensazione è che l’annuncio di nuove tariffe da entrambe le parti potrebbe portare ancora ad una escalation di ripicche reciproche e dannose. Con conseguenze pesantissime sul piano del commercio internazionale.

La nuova corsa all’oro

oroA beneficiare di tutto ciò è il mercato dell’oro, che potrebbe salire a livelli che non si vedevano da diversi anni, forse fino a 1,400 dollari l’oncia. Chiunque conosce il forex trading come funziona, sa bene che gli investitori in tempi di incertezza scappano dalle valute e cercano un rifugio sicuro altrove. In cima alla lista c’è proprio il metallo giallo, tenuto anche conto del fatto che il “toro” trentennale obbligazionario è ormai giunto al capolinea e non può essere certo cavalcato all’infinito.

In quest’ultimo periodo l’oro si sta consolidando oltre quota 1,300 dollari, dopo aver vissuto tre trimestri consecutivi di guadagni (una cosa che non si verificava dal 2011). Le posizioni in fondi scambiati in borsa sono arrivate ai massimi da mezzo decennio. Inoltre i grafici degli analisti mostrano che l’indicatore chaikin money flow segnala una persistente spinta rialzista. Il quadro insomma è tutto a favore dell’oro. Tuttavia, saranno determinanti gli sviluppi delle relazioni commerciali internazionali. La guerra commerciale è già avviata, bisogna capire chi tra Trump e la Cina farà un passo indietro per spegnere le tensioni. I mercati hanno compreso che una battaglia commerciale a somma zero (cioè senza vincitori) è qualcosa di negativo per tutti nel mondo, e non solo negli Stati Uniti.

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