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Aldo Cibic, L’architettura oggi è estremamente superficiale perché non dà risposte ragionate

Designer e architetto con un’anima da urbanista. L’ex allievo di Sottsass disegna nuovi stili di vita ecosostenibili, alla base del suo lavoro strategia e narrativa
È un designer e un architetto, ma non ama essere classificato né come l’uno o né come l’altro perché Il mondo della progettazione interessa in modo indifferente sia l’architettura che il design. Aldo Cibic, nato artisticamente con Memphis e Ettore Sottsass negli anni ‘80, oggi è più famoso come urbanista, come l’ha definito il critico Alberto Bassi, e lui non rinnega questa nuova sfida professionale. Prima disegnava oggetti, oggi – complice la crisi – interpreta nuovi modi di abitare e riscopre gli antichi valori: la natura, le stagioni, l’orto davanti a casa. Una vita insomma lontana dal traffico e dalla città, immersa nei Paesaggi rurali, per citare un vecchio progetto, circondata solo da ciò che davvero serve. Via il superfluo, quindi. E nel superfluo annovera anche prodotti nati più dallo svago di un designer che da un reale bisogno.
Le parole di Cibic riecheggiano il movimento di Maurizio Pallante, la Decrescita Felice, della quale però condivide i principi ma non lo slogan. E spinto da una nuova sensibilità verso il mondo naturale, lavora a More with less: progettare un villaggio nella campagna vicentina, perché le persone si innamorino di un film.

Lei è conosciuto come designer e come architetto: si sente più l’uno o più l’altro?
È tipico della mentalità italiana voler fare una distinzione tra l’architetto e il designer. Però è sbagliato: il mondo del progetto è tutt’uno. L’architettura è una disciplina progettuale che si muove a 360° gradi e a me piace disegnare oggetti d’arredamento quanto nuovi modi di vivere. Io non mi sento né l’uno né l’altro: come designer studio le tecniche, come architetto analizzo il quadro generale; mentre il design crea un oggetto che viene poi vissuto da fuori, l’architettura valuta il rapporto con le funzioni. Pensiamo ad esempio a una sedia: interagisce con l’uomo proprio perché viene usata per sedersi, ma è un oggetto tridimensionale che viene guardato dal fuori, dall’esterno, mentre le opere architettoniche implicano una relazione tra spazi, funzioni e persone e quindi una relazione con il quadro generale.

Nel 2007, in occasione de I Giovedì del design organizzati dalla Design Library, lei ha detto Non sono capace di creare o reinventare dei modelli per fare un design che si esprime attraverso la forma o lo stile, io sono interessato a un tipo di creatività sulla strategia: che cosa significa?
Non mi limito a realizzare ad esempio una sedia per un cliente, ma mi approccio al lavoro in modo diverso, mi pongo su un altro piano e mi chiedo: a me cosa piacerebbe creare? A me cosa piacerebbe vedere? Che cosa non c’è? Che cosa ancora non è stato creato? Che cosa serve? Parto da un’analisi, è quello che gli inglesi chiamano Il design thinking: non lavoro se prima non ho un’idea della società in cui viviamo e di quello che alla società può servire oggi. Il design nasce da una strategia: bisogna pensare a una storia narrativa intorno all’oggetto. Strategia e narrativa, quindi, sono alla base del lavoro di un designer.

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