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Biofuel: In Danimarca biotecnologia al servizio dei carburanti verdi.

Funghi, enzimi e materia agricola non pregiata sono il futuro dell’energia. Biotecnologia al servizio dei carburanti verdi. Alcuni ricercatori danesi stanno creando una banca dati di enzimi e microrganismi per produrre un biofuel di seconda generazione non in conflitto con i bisogni alimentari. Un futuro sempre più green è alla porte.

C’è la biotecnologia rossa, quella verde e quella bianca. La prima è destinata ai farmaci, la seconda all’agricoltura OGM e la terza spazia dalla chimica all’alimentazione senza tralasciare la ricerca sui biocarburanti.

In Danimarca, nei laboratori della Novozymes a pochi chilometri da Copenhagen, si lavora alacremente per trasformare la biotecnologia in bioeconomia che, a detta dei manager dell’azienda rappresenta una delle strade più corte per uscire dalla crisi.

Il lavoro dei ricercatori danesi è creare una banca dati di enzimi e microrganismi in grado di rivoluzionare le nostre economie in maniera sostenibile. Per produrre, ad esempio, un biofuel di seconda generazione non in conflitto con i bisogni alimentari.

E la materia prima viene dai boschi. Sì, perché gli enzimi si ricavano dai funghi. Il lungo processo prevede selezione, isolamento del gene, sequenziamento del Dna e conservazione in contenitori di idrogeno liquido a meno 193 °C.

La sfida dei 500 ricercatori che lavorano nei laboratori danesi, spiega Per Falholt vicepresidente dell’azienda a Fernanda Roggero del Sole 24 ore, “è quella di riuscire a individuare metodi sempre più sostenibili per produrre energia. Gli sforzi sono diretti in particolare all’utilizzo di biomasse non food e rifiuti urbani. Già oggi l’azienda ha sviluppato metodologie ed enzimi speciali per lavorare gli scarti agricoli e i rifiuti urbani alimentari, materie prime a basso costo che non hanno bisogno di sussidi statali e non vanno a incidere sui bisogni alimentari”.

Leader in Italia del biofuel di seconda generazione, cui proprio Novozymes ha fornito le tecnologie, è M&G, gruppo italiano che sta per inaugurare una bioraffineria a Crescentino nel vercellese.

“Avrebbe dovuto essere la prima al mondo a produrre bioetanolo di seconda generazione – dice Falholt, ma sono stati battuti sul filo di lana dai cinesi che a giorni apriranno uno stabilimento”. L’impianto italiano (un investimento di 120 milioni di euro) estrarrà etanolo da sorgo, paglia di grano e canna comune, molto più efficaci del mais.

“Per produrre un milione di tonnellate di canna – scrive Fernanda Roggero – bastano 30-40mila ettari di terreno non pregiato, mentre se l’etanolo fosse estratto dal mais ne servirebbero almeno 300mila. Colture meno estensive, dunque, ma, come specifica M&G, non meno redditizie per gli agricoltori che si pensa di remunerare con circa mille euro per ettaro, senza ricorso ad alcun sussidio statale”.

Bioraffinerie a parte, la vera novità del settore sarà produrre carburanti verdi ricorrendo a materia prima agricola non pregiata.

“È stato calcolato – scrive Roggero – che solo di scarti agricoli al mondo si renderebbero disponibili oltre 900 milioni di tonnellate di materia prima. Più di 150 solo in Europa. Se nei paesi europei si realizzassero un migliaio di bioraffinerie si potrebbero generare 31 miliardi di euro di ricavi, con un risparmio di 49 miliardi sull’import di petrolio (la stima è di Bloomberg). Si potrebbe creare un milione di posti di lavoro, soprattutto nelle aree rurali e tagliare del 50% il consumo di gasolio”.

FONTE: Terna Web Magazine

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