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Pietro il Rosso

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Nasce Coffee Stop, portale di notizie e video divertenti, gossip e meme

Nasce Coffee Stop, il nuovo portale delle news divertenti e piccanti, dell’informazione breve e spigliata, dei video divertenti e delle immagini spassose. Un portale per svagarsi, per prendere una boccata d’aria in una giornata di lavoro o per divertirsi anche con gli amici, condividendo su Facebook e Twitter le notizie più incredibili che il mondo giorno per giorno propone.

Tante le sezioni del sito, dalla sezione Breaking News che si propone di riportare le notizie più importanti della giornata in maniera essenziale e senza peli sulla lingua alla sezione Gossip, con tutte le vicende più bizzarre, piccanti e divertenti riguardo ai VIP italiani e stranieri. Per quanto riguardo lo svago le sezioni sono davvero numerose: dalla sezione Video Divertenti, con le più grandi web hit del momento, tra gatti, altri animali, incidenti buffi e avvenimenti bizzarri alla sezione Notizie Pazze, con le notizie più strampalate e incredibili (ma sempre vere) che il mondo giornalmente propone. Non mancano poi sezioni dedicate ai Meme, al cinema e alla musica, alle immagini divertenti e a tantissimo altro ancora.

Coffee Stop è il nuovo sito pensato per allietare le pause caffè e i ritagli di tempo dei navigatori italiani. Prendete una pausa. Visitate coffee Stop. Il relax e il divertimento sono assicurati.

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Api e cercopitechi, fra mente e linguaggio

Api e cercopitechi, fra mente e linguaggio

 

Con questo Scandaglio cominciamo a parlare del libro Mente e linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva di Felice Cimatti, edito da Carocci.
Ci torneremo a più riprese. Tra etologia, linguistica e filosofia del linguaggio il libro è un’autentica miniera di informazioni interessanti, presentate in maniera chiara e sistematicamente accurata dal professor Cimatti.

Data la delicatezza degli argomenti trattati ‒ la facilità con cui si può incorrere in fraintendimenti di ogni sorta ‒, il professore si premura giustamente di definire o specificare le definizioni adottate per molti dei termini centrali della trattazione.

Mente e linguaggio sono spesso considerati tratti specifici e unici degli esseri umani. In questo libro proporremo una tesi diversa: la complessità dei sistemi di comunicazione degli animali non umani non si può spiegare se non assumendo che anche questi possiedano una mente.
Cosa significa avere una mente? Una prima definizione può essere la seguente: avere una mente implica, fra le altre cose, la capacità di i) guidare dall’interno il proprio comportamento, in base a progetti non direttamente connessi a quanto arriva dall’ambiente esterno, e ii) di trattare e trasformare delle rappresentazioni.

In generale una RAPPRESENTAZIONE MENTALE è una traccia interna di uno stimolo esterno, che può essere riattivata anche in assenza dello stimolo originario […]. Un esempio di rappresentazione interna sono le cosiddette MAPPE MENTALI, usate da molti animali per orientarsi nel proprio ambiente.
Di fatti, l’esempio proposto dal professor Cimatti e qui riportato è quello delle api, ma la specie animale presa in oggetto poteva benissimo essere un’altra (per esempio, i cervi). L’esperimento di cui si parla è stato effettuato da Gould nel 1986.
[U]n’ape viene addestrata a raggiungere il sito A, che si trova a 150 m a ovest dell’alveare. In un secondo momento l’ape viene catturata in volo mentre si dirige verso A, chiusa in una scatola e trasportata nel sito B, che si trova 160 m a sud dell’alveare (il sito A non è visibile da B). A questo punto l’ape viene liberata: verso quale direzione si dirigerà? Nell’ipotesi minima l’ape ha due possibilità: tornare all’alveare, basandosi su precedenti esperienze di volo da B a esso, oppure dirigersi verso A, anche se non ha mai percorso prima la rotta B-A. Di fatto l’ape vola verso A, basandosi su una conoscenza generale del territorio che circonda l’alveare. Una possibile rappresentazione grafica dell’esperimento di Gould
Continua Cimatti:

Questa conoscenza generale, la mappa cognitiva, permette all’ape di scoprire nuove rotte mai sperimentate in precedenza. Il comportamento dell’ape non è diretto dall’ambiente, e si basa su una rappresentazione interna dell’ambiente: in questo senso l’ape ha una mente. La mente, per come la stiamo definendo, non è una particolare sostanza, ma un insieme di abilità.

La possibilità da parte dell’ape di crearsi rappresentazioni interne le permette di fare delle cose che non farebbe se questa possibilità le fosse negata.
È particolarmente rilevante che questo comportamento non sia dettato (imposto) dall’ambiente esterno. Ovvero: non è una risposta automatica dell’ape.

Questo primo esempio introduce questa abilità rilevante: il poter avere rappresentazioni mentali. Ciò si inserisce in un quadro più ampio: il discorso portato avanti da Cimatti teso a contestare la possibilità che determinati comportamenti di determinati animali non siano altro che risposte automatiche all’ambiente esterno o a determinati stimoli interni.
Ovvero, a due tesi collegate secondo cui un cane, per esempio, fa “wuof” quando è felice perché lo stimolo interno si traduce automaticamente nell’emissione di un segnale, e un cercopiteco (una piccola scimmia) lancia il segnale d’allarme relativo ai predatori aerei ogni qualvolta ne vede uno, in maniera irriflessa, secondo una distinzione classica tra “comporamento comunicativo, specificamente umano e VOLONTARIO e comportamento informativo-espressivo, tipico degli animali […] e INVOLONTARIO”.

Eppure, il comportamento dei cercopitechi sembra smentire nettamente che il comportamento comunicativo degli animali sia semplicemente involontario.

I cercopitechi per le loro piccole dimensioni sono quasi sempre costretti a fuggire alla vista di un predatore. Il loro comportamento comunicativo è estremamamente funzionale alla sopravvivenza: avvertirsi a vicenda ogni qualvolta si scorge un pericolo permette a tutti i membri della comunità di avere maggiori possibilità di evitare i pericoli.
I cercopitechi hanno tre segnali distinti per indicare i predatori aerei (come l’aquila), i predatori terrestri (come il giaguaro), i predatori terrestri che strisciano (come il pitone). Possiamo notare anzitutto che questi segnali sono caratterizzati da convenzionalità e arbitrarietà. Convenzionalità perché non c’è somiglianza “fra le caratteristiche sonore del segnale d’allarme e il suo referente”; per esempio, il segnale d’allarme per i predatori aerei non emula il verso dell’aquila. Arbitrarietà perché il significato associato a quel segnale è il risultato di un’operazione di classificazione, e qui torniamo a parlare di operazioni mentali: il segnale per i predatori aerei viene lanciato non solo per l’aquila ma per una certa gamma di “oggetti in certe situazioni”, ovvero quando il cercopiteco rileva (o crede di rilevare, perché può anche commettere degli sbagli) una situazione di pericolo proveniente dall’alto.

E ora vediamo alcuni dei motivi per cui non sembra possibile spiegare il loro comportamento comunicativo come involontario. Poniamo che ci sia un’aquila sopra la testa di un cercopiteco. Secondo la distinzione classica di cui sopra dovremmo aspettarci che il cercopiteco che la vede emetta sempre il segnale, perché il suo comportamento comunicativo è caratterizzato dall’involontarietà. Eppure:

– Un cercopiteco, se per qualche motivo è lontano da altri cercopitechi non emette il segnale. Perché, difatti, emetterlo se non ci sono altri cercopitechi che possono beneficiarne? In tal caso il cercopiteco correrebbe solo il rischio di segnalare la propria posizione al predatore.

– Un cercopiteco vede l’aquila, ma dato che vicino ha solo un altro cercopiteco (o due) di rango superiore al suo, non emette il segnale. Fila a nascondersi senza avvertire il suo simile. Se l’aquila dovesse colpire l’altro cercopiteco, quello di rango inferiore ne guadagnerebbe.

– I piccoli di cercopiteco commettono in queste situazioni “errori di ipergeneralizzazione (uso troppo esteso di un concetto) ossia utilizzano i segnali anche per indicare specie animali innocue”. Continua Cimatti “il fenomeno è del tutto analogo a quello per cui i bambini chiamano “palla” la luna basandosi sulla approssimativa ‘somiglianza’ percettiva fra le due entità”. Ciò è legato alla questione dell’apprendimento, che al momento tralasciamo, ma per usare una sgrammaticatura, in certi casi appare evidente che certi animali “non nascono imparati”.

– I cercopitechi non rispondono sempre allo stesso modo ai segnali d’allarme. L’emissione dei segnali e la loro ricezione varia a seconda del contesto, dell’ambiente e degli individui coinvolti nella comunicazione. Alcuni cercopitechi, per esempio, possono reagire non con la fuga ma osservando il cielo (e poi eventualmente fuggendo) se il segnale è stato emesso da un giovane che sbaglia con frequenza nel segnalare i pericoli.

Questo significa che lo stimolo esterno, l’aquila, non basta a spiegare il comportamento di questo animale, dal momento che in […] queste situazioni lo stimolo è invariato, mentre il comportamento muta. Di conseguenza il cercopiteco ha una mente.
Si potrebbe obiettare, tuttavia, che il comportamento del cercopiteco potrebbe dipendere da degli stimoli più complessi: in un caso l’aquila senza altri cercopitechi, in un altro l’aquila più dei cercopitechi di rango elevato ecc. In questo modo, immaginando tanti stimoli diversi quanti sono i comportamenti possibili di un animale, si evita di attribuirgli una mente. Il limite di questa strategia è che per non ammettere una regolazione interna e autonoma del comportamento deve far esplodere il numero degli stimoli esterni che lo guiderebbero, senza riuscire, tuttavia, a spiegare un’azione nuova e imprevista […]. Inoltre pare del tutto implausibile: come potrebbe avere imparato il cercopiteco a rispondere adeguatamente a tutti questi stimoli diversi, alcuni dei quali potrebbe averli incontrati una sola volta nella sua vita? […] Pare più semplice, e evolutivamente economico, dotare l’organismo di un sistema, la mente appunto, in grado di volta in volta di rispondere autonomamente alle sollecitazioni dell’ambiente esterno. In questo modo oltre alle risposte innate, per i casi fondamentali, ci sarà spazio per risposte più flessibili.

Come detto torneremo ancora sul libro di Cimatti, che consiglio caldamente a chiunque voglia esplorare il tema del linguaggio (con tutti gli annessi e connessi) negli animali. Il volume sarà inoltre il protagonista del prossimo giveaway del blog!

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Rai Filosofia: una settimana dedicata all’animalità

Rai Filosofia: una settimana dedicata all’animalità

Non capita spesso di poter assistere e partecipare a questo tipo di iniziative su un canale di questo genere.
Ma questa settimana sì.
Sulla pagina Facebook di Rai Filosofia, è iniziata, e proseguirà per diversi giorni, una tavola rotonda virtuale con discussioni su antispecismo, animalità e rapporto uomo-altri animali moderata da Leonardo Caffo.
Le varie discussioni sono aperte a tutti.

Per chi si fosse persa quella di ieri, incentrata su libri e letteratura a tema, può recuperarla sulla pagina di Rai Filosofia. Per chi volesse assistere al dibattito in corso e prenderne parte, l’indirizzo è sempre lo stesso: la pagina Facebook di RaiEdu Filosofia.

Tra gli argomenti di oggi riportiamo il seguente:

[Leonardo Caffo] A Zettel si è discusso di tre autorevoli posizioni: (1) Aristotele “animali con un’anima”; (2) Cartesio “animali come automi” ; (3) Heidegger “l’animale non muore ed è povero di mondo”. Terza domanda: Cosa ne pensate in tal senso? E che altre posizioni vorreste aggiungere a queste?

Non solo, martedì 27 marzo alle 12.00 la trasmissione televisiva Zettel su Rai Scuola si è occupata anch’essa della tematica dell’animalità.
La puntata è stata replicata alle 16, alle 20 e a mezzanotte su Rai Scuola, canale 146 del digitale terrestre, canale 806 di Sky.

La puntata di Zettel è ora visionabile gratuitamente in streaming sul sito di Rai Scuola:

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Il numero di animali uccisi per ogni pelliccia

Qual è il numero di animali uccisi per ogni pelliccia?

Le stime riportate sono state ottenute integrando le informazioni tratte dal sito di Agireora edizioni con alcuni dati tratti dal dossier “Un prodotto insaguinato” – uno studio statisticamente rilevamente sulla produzione di pellicce in Finlandia – e dal sito Friends of Animals.

Non bisogna dimenticare che vi sono molte altre morti legate alla produzione delle pellicce. In particolare va considerata la quantità di “animali spazzatura” che vengono catturati o uccisi ogni anno dai cacciatori di pellicce. Vengono così definiti tutti quegli animali che finiscono uccisi o catturati “accidentalmente”, in quanto non sono interessanti, a livello monetario, per i cacciatori. Fare la stima di queste morti è difficile. Tom Regan in “Gabbie Vuote” riporta la cifra di Friends of Animals: 5 milioni di decessi all’anno, pari a circa 14.000 morti aggiuntive giornaliere.

Animale / Numero di esemplari richiesti

Agnello droadtail 30 – 45
Agnello Karakul 18 – 26 (si producono anche pellicce particolarmente pregiate con neonati o agnelli non ancora nati; in tal caso si stimano 60 esemplari morti per un capo di medie dimensioni)
Bob-cat 15 – 20
Cani 12
Castoro 16 – 20
Cavallino 6 – 8
Cincillà 130 – 200
Coyote 12 – 16
Criceto 120 – 160
Ermellino 180 – 240
Fishe 18 – 25
Foca (cucciolo) 5 – 8
Gatto 20 – 30
Ghiottone 5 – 7
Lince 8 – 18
Lontra 10 – 20
Lupo 3 – 5
Martora 40 – 50
Moffetta 60 – 70
Nutria 25 – 35
Ocelotto 12 – 18
Opossum 30 – 45
Procione 20 – 35
Puzzola 50 – 70
Scoiattolo 120 – 200

Tasso 10 – 12
Topo muschiato 60 – 110
Visone 30 – 50 (La specie in assoluto più sfruttata da questa industria. FOA parla di 60 visoni per pelliccia completa, nell’imponente produzione finlandese si va dai 60 agli 80)
Volpe 10 – 20
Wallaby 20 – 30
Zibellino 50 – 80

Il numero degli esemplari naturalmente varia in base a diversi fattori, in primis il tipo di indumento prodotto (il numero più alto si riferisce in genere a pellicce “complete”, lunghe fino al ginocchio).

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Prontuario di web marketing gratuito, con trucchi e consigli

Disponibile per il download gratuito il prontuario con trucchi di web marketing e SEO “Far sentire la propria voce”.

Per ottenere maggiori visite e maggiore visibilità sul web, per sfruttare meglio Facebook, Twitter e altri social network, per conoscere come funzionano i siti di Social Bookmarking, per migliorare la propria indicizzazione su Google attraverso la link popularity, il miglioramento del proprio sito, i comunicati stampa e i raccoglitori di articoli online.

Tutto questo e molto altro ancora, sempre spiegato con la massima semplicità e corredato da tutti i link necessari per mettere subito in pratica tutti i consigli!

Il documento è inoltre pensato in special modo per i blogger e gli attivisti animalisti e ambientalisti, nonché per i piccoli venditori online di materiale di qualunque genere.
Questa è la versione 1.0 del file: con i vostri commenti spero di arrivare a una nuova versione migliore. Quindi, se volete e siete interessati, non rispiarmate commenti, richieste di spiegazioni e critiche di ogni genere.
Se volete riproporre o far girare il file, sentitevi liberissimi di farlo.
Per qualunque cosa, lasciate pure un commento sul blog o mandatemi una mail all’indirizzo [email protected] e vi risponderò appena possibile!

Il tutto è messo a disposizione gratis dal blog antispecista Animalismo e Vegetarianesimo. Un documento utile a tutti!

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Il linguaggio dei delfini: simile a quello umano?

Cominciamo da una notizia apparsa in rete relativamente di recente, riguardanti le modalità con cui si esprimono i delfini. Vi riporto l’articolo tradotto da Erica Dellago per Coscienza.org:
I delfini “parlano” tra di loro, e per produrre i loro suoni acuti usano lo stesso processo usato dagli esseri umani, secondo una nuova analisi dei risultati di un esperimento degli anni Settanta.

Di recente accade estremamente di frequente che studi etologici precedenti siano rivisti e reinterpretati (ovvio che i progressi tecnologici registrati negli ultimi decenni giochino spesso un ruolo fondamentale nella nuova analisi dei vecchi dati).

I risultati dicono che i delfini in realtà non fischiano come si è a lungo pensato, ma invece si basano sulle vibrazioni dei tessuti nelle loro cavità nasali, analoghe alle nostre corde vocali.

Solo ora gli scienziati stanno comprendendo tutto questo, “perché certamente il suono è simile a un fischio”, ha detto il ricercatore dello studio Peter Madsen dell’Istituto di Bioscienze presso la Aarhus University in Danimarca, aggiungendo che il termine è stato coniato in un articolo pubblicato nel 1949 sulla rivista Science. “Ed è rimasto così da allora”.

La scoperta chiarisce una questione che ha fatto scervellare a lungo gli scienziati: Come possono i delfini produrre fischi identificativi della loro identità sulla superficie dell’acqua e durante le immersioni profonde dove la compressione determina che le onde sonore viaggiano più velocemente e potrebbero cambiare la frequenza di questi suoni.

Per rispondere a questa domanda, Madsen e i suoi colleghi hanno recentemente analizzato le registrazioni digitalizzate di un delfino tursiope maschio di 12 anni (Tursiops truncatus) dal 1977. A quel tempo, i ricercatori avevano fatto respirare al delfino una miscela di elio e ossigeno chiamata Heliox. (Usata dagli esseri umani, la miscela Heliox produce un suono tipo Paperino). La miscela Heliox aveva lo scopo di imitare le condizioni durante una immersione in profondità in quanto provoca un cambiamento nella frequenza. Sia respirando aria sia respirando heliox il delfino maschio, tuttavia, ha continuato a produrre gli stessi fischi, con la stessa frequenza.

Al posto delle corde vocali, i delfini probabilmente usano le vibrazioni dei tessuti nelle loro cavità nasali per produrre i loro “fischi”, che in fin dei conti non sono veri fischi. I ricercatori indicano che responsabili del suono sono strutture nella cavità nasale, chiamate labbra foniche.

I delfini non stanno realmente parlando, però.
“Non significa che parlano come gli esseri umani, solo che comunicano con un suono prodotto nello stesso modo”, ha detto Madsen a LiveScience.

Stephan A. Schwartz dello SchwartzReport sottolinea come nonostante la scoperta, l’arroganza umana sia sempre lì: “Non abbiamo idea di cosa stiano facendo, e quante siano le informazioni che si scambiano. Ma solo che lo fanno. […] Sappiamo così poco del mondo, eppure crediamo di sapere così tanto”.

Schwartz si riferisce alle affermazioni “I delfini non stanno realmente parlando, però” e “Non significa che parlano come gli esseri umani”.
E in effetti, cosa vogliono dire queste due frasi?
“Non significa che parlano come gli esseri umani”. Ovvio che qui non ci si riferisce al fatto che non discutano in inglese o spagnolo di una qualche classe politica marina, si intende che, benché comunichino tramite modalità di produzione dei suoni simili alle nostre, comunque “I delfini non stanno realmente parlando”.
Perché quello lo fanno gli umani. Si dibatte ancora su quali siano le peculiarità fondamentali del parlare umano, qui ci limitiamo a ricordare che tale questione è da sempre uno dei principali discrimini posti tra l’uomo e gli altri animali. (Ne abbiamo parlato di recente nell’articolo su Lacan). Spesso il discrimine si basa sul fatto che agli animali sono attribuite solo reazioni e non risposte, ovvero, solo comunicazioni strettamente “meccaniche”. Ma come dice Schwartz, in realtà non abbiamo una conoscenza tale da permetterci di definire tanto la quantità quanto la qualità delle informazioni che si scambiano i delfini.
Finiamo di leggere l’articolo:

“Gli antenati dei cetacei vivevano sulla terra circa 40 milioni di anni fa e producevano suoni con le corde vocali nella loro laringe”, ha detto Madsen, riferendosi al gruppo di mammiferi a cui appartengono i delfini. “Hanno perso tutto ciò nel corso dell’adattamento ad uno stile di vita completamente acquatico, ma hanno sviluppato la produzione del suono nel naso che funziona come quello delle corde vocali”.

Probabilmente questa facoltà vocale dà ai delfini anche una gamma più ampia di suoni.

“Poiché la frequenza è cambiata cambiando il flusso d’aria e la tensione delle labbra del tessuto connettivo nel naso, il delfino può cambiare frequenza molto più velocemente che se dovesse farlo cambiando i volumi dell’alveolo”, ha detto Madsen. “Ciò significa che vi è un potenziale molto più grande per produrre una gamma di suoni più ampia e aumentare quindi il passaggio delle informazioni”.

I dettagli della ricerca sono pubblicati questa settimana sulla rivista Biology Letters. [Purtroppo non sono riuscito a reperire altre informazioni].

Quindi i delfini comunicano fra loro tramite un sistema estremamente complesso, simile a quello umano. Non tramite un fischio ma attraverso vibrazioni delle loro “labbra foniche”.
Ma attenzione ai verbi che usiamo: “comunicare” è un verbo neutro (definiamolo così), perciò affermare che i delfini comunicano fra loro in modi di cui solo ora cominciamo a comprendere la complessità, è corretto.

Dire: i delfini parlano tra loro invece no. Parlare è un termine problematico, perché in genere appannaggio solo degli esseri umani. Meglio che i delfini comunichino fra loro, anziché parlare, perché se parlassero noi umani potremmo correre il rischio di sentirli troppo vicini a noi.

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L’Olocausto nazista e lo sterminio degli animali, un’analogia oscena?

L’analogia oscena (come la definisce Enrico Donaggio in un suo saggio) è un parallelismo forte, violento.
Consiste nell’accostare i moderni allevamenti industriali a dei lager, l’opera di sterminio animale nella contemporaneità a quella perpetrata settant’anni fa dalla Germania hitleriana.

È un nodo scottante, che diversi autori hanno però trattato con attenzione e senza peli sulla lingua (Isaac Singer, Coetzee, Charles Patterson in Un’eterna Treblinka).
Chiariamo subito che l’analogia oscena può essere considerata un qualcosa di stupido e provocatorio solo se il suo concetto fondante viene fraintesto, se la sua intenzione viene fraintesa.

A fugare dubbi di un malcelato razzismo, in verità, ci vuole ben poco. Perché in primo luogo chi è stato a porre all’attenzione del pubblico questa analogia?
Gli stessi reduci dell’Olocausto, persone che l’hanno vissuto sulla loro pelle o ne hanno sperimentato l’orrore da vicino, in famiglia.

Gli stessi reduci ebrei.
Da un lato, il ricorso a similitudini animali è una costante di tutti i resoconti sulle deportazioni, dall’altro l’analogia viene posta in luce, spesso, in maniera del tutto esplicita.
Già questo fatto pone in una luce differente la questione dell’analogia oscena.
Un autore ebreo, premio nobel per la letteratura, come Isaac B. Singer, ha ispirato con le sue affermazioni lo stesso titolo del libro di Patterson Un’eterna Treblinka.

“Si sono convinti che l’uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in eterno”.

Ed ecco allora che quando sono i reduci dello sterminio nazista a portare  all’attenzione del mondo l’analogia oscena, questa prende dei toni davvero inquietanti, impossibili da ridurre a “slogan animalista”. Quando loro ci dicono: sta succedendo di nuovo, solo che questa volta non siamo noi i perseguitati, il campanello d’allarme è spaventoso e suona per tutti.

Credo che per comprendere appieno l’intenzione degli autori che hanno portato alla luce questo parallelismo, occorra tenere bene a mente la tematica della memoria.
Dopo l’Olocausto quello della memoria è diventato un mantra: non dobbiamo dimenticare, per nessun motivo dobbiamo dimenticare quello che l’uomo è stato capace di fare, altrimenti saremo perduti.
Ecco quindi uno dei “motori” dell’analogia oscena: si era detto di non dimenticare mai il male che siamo in grado di fare. Siamo sicuri di non aver dimenticato?

Ma chi è che si sta macchiando di simili crimini oggigiorno? Tutta la potenza di questo accostamento, tutta la sua violenza, su chi ricade? Basta leggere le parole di Singer: nei confronti degli animali tutti sono come nazisti.
Non è una singola nazione a perpetrare il delitto, ma tutte quelle che hanno raggiunto un certo grado di sviluppo.

A questo si potrebbe obiettare che oggi, tuttavia, nessuno fa parte di un partito politico totalitario, che noi non siamo agenti delle SS di un’ipotetico Partito Estremista per lo Sterminio Animale, che non partecipiamo in prima persona ai delitti.
E in effetti avrebbe ragione.
Ma se è in atto un’opera colossale di sterminio e di dolore, nondimeno noi ne siamo coinvolti.
Forse allora siamo come coloro che avevano, non lontano da casa, un campo di concentramento. Siamo come tutti quegli uomini che mentre il Reich perpetrava i più orrendi massacri, facevano finta di non sapere. Che volevano non sapere.

Un autore italiano scampato al campo di Auschwitz, Primo Levi, nell’opera I sommersi e i salvati, un breve ma intenso lavoro saggistico sui lager e sulla sua esperienza personale ad Auschwitz, parla anche di questo: di chi in un certo modo era corresponsabile, di chi voleva non vedere quello che succedeva vicino la sua casa.

Levi, per stracciare la tesi che molte persone davvero non sapessero, riporta diversi fatti a prova del contrario, fra questi, la possibilità che avevano molti abitanti della Germania di andare a prelevare a piacimento ogni genere di vestiario di poco valore dai magazzini collegati ai campi di sterminio. Come si può credere che uomini e donne che sceglievano tra migliaia di indumenti, tra migliaia di scarpe grandi medie e anche piccole, da bambino, non potessero sapere che dietro c’era qualcosa di mostruoso?

Allo stesso modoper quanto il paragone faccia davvero correre i brividichi si ritrova in un supermercato davanti un enorme banco frigo pieno di spalle, coscie, interiora e perfino cervella, e da questo banco preleva senza darsi pensiero, non può che essere considerato corresponsabile della gigantesca macchina del dolore che vi sta dietro.


Va inoltre detto che l’analogia oscena si dispiega in modi diversi e specifici: nel modo in cui venivano trasportate le vittime, nel modo in cui venivano trattate, nelle basi ideologiche per cui chi è diverso e considerato inferiore non ha alcun diritto…


Abbiamo citato I sommersi e i salvati di Primo Levi. Lo stesso Levi nel libro instaura spesso (ma senza teorizzarli) espliciti paragoni tra il modo in cui venivano trattati i prigionieri e gli animali. Vediamo un caso di parallelismo, a mo’ di esempio, tra i tanti che si possono incontrare nei resoconti dell’Olocausto:

“Per noi italiani, l’urto contro la barriera linguistica è avvenuto drammaticamente già prima della deportazione, ancora in Italia […]. Ci siamo accorti subito, fin dai primi contatti con gli uomini sprezzanti dalle mostrine nere, che il sapere o no il tedesco era uno spartiacque. […] Con chi non li capiva, i neri reagivano in un modo che ci stupì e spaventò: l’ordine, che era stato pronunciato con la voce tranquilla di chi sa che verrà obbedito, veniva ripetuto identico con voce alta e rabbiosa, poi urlato a squarciagola, come si farebbe con un sordo, o meglio con un animale domestico, più sensibile al tono che al contenuto del messaggio.

Se qualcuno esitava (esitavano tutti, perché non capivano ed erano terrorizzati) arrivavano i colpi, ed era evidente che si trattava dello stesso linguaggio: l’uso della parola per comunicare il pensiero, questo meccanismo necessario e sufficiente affinché l’uomo sia uomo, era caduto in disuso. Era un segnale: per quegli altri, uomini non eravamo più: con noi come con le vacche o i muli, non c’era differenza sostanziale tra l’urlo e il pugno. Perché un cavallo corra o si fermi, svolti, tiri o smetta di tirare, non occorre venire a patti con lui o dargli spiegazioni dettagliate; basta un dizionario costituito da una dozzina di segni variamente assortiti ma univoci, non importa se acustici o tattili o visivi […]. Parlargli sarebbe un’azione sciocca, come parlare da soli, o un patetismo ridicolo: tanto, che cosa capirebbe?”

Vorrei concludere questo lungo post con un passaggio in cui Levi non instaura direttamente il parallelismo. Volendo, però, potrebbe farlo il lettore.

“Ci viene chiesto sovente, come se il nostro passato ci conferisse una virtù profetica, se ‘Auschwitz’ ritornerà: se avverranno cioè altri stermini di massa, unilaterali, sistematici, meccanizzati, voluti a livello di governo, perpetrati su popolazioni innocenti ed inermi, e legittimati dalla dottrina del disprezzo”.

Levi su questa problematica infine sospende il giudizio, lasciando al lettore il compito di pensarci su.

E anche alla fine di questo post, in fondo, non spetta che al lettore la responsabilità di riflettere su quanto siano fondati, o meno, i criteri alla base dell’analogia oscena.

Articolo originale pubblicato sul blog Animalismo e vegetarianesimo: http://www.animalismoevegetarianesimo.com/2011/09/lanalogia-oscena-olocausto-e-animali.html

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Libri su animalismo e vegetarianesimo: una biblioteca che è anche un progetto

È nata la biblioteca del blog “Animalismo e Vegetarianesimo”.

La biblioteca vorrebbe essere una raccolta di rapida consultazione di libri a tema, ma anche un progetto, un progetto “comunitario” online.

Oltre a informazioni basilari e altre aggiuntive, riporta infatti, in fondo a ogni scheda, dei link ad altri blog e siti a tematica animalista, vegetariana, vegan o similiari, in modo che il lettore possa avere a portata di clic le diverse opinioni degli appassionati.

Il progetto nasce con l’idea che chi vuole comprare un libro può leggere le opinioni di altri blog o webmaster prima dell’acquisto, e chi invece lo ha già letto può trovare facilmente un interessante carrellata di opinioni con cui confrontarsi.

La biblioteca del blog Animalismo e Vegetarianesimo è un progetto aperto, chiunque può partecipare. Basta una semplice segnalazione all’indirizzo [email protected], oppure un commento nel relativo post sul blog. Si possono segnalare articoli, recensioni, riflessioni su volumi in lista ma anche non in lista – verranno inseriti di volta in volta -, purché le tematiche siano rispettate e i post appartengano a spazi web che trattano argomenti simili.

Il link verrà aggiunto presto e in cambio, come è ovvio, non è chiesto assolutamente nulla!

La pagina nasce con l’idea di poter essere uno strumento, anzi, uno “snodo” utile a chi vuole addentrarsi o confrontarsi su un certo tipo di letture.

Come è ovvio, nel tempo il gestore del blog cercherà di arricchire costantemente la pagina con nuovi titoli e nuovi link a discussioni correlate, ma non potrebbe riuscire a creare un tutto esauriente ricercando da solo i tanti pezzi sparsi nel “web animalista”.

Per questo se sei un bloggher o un webmaster e vuoi aggiungere il link a una tua recensione o a un tuo articolo, scrivi una email, o lascia un commento nel post: basta il titolo del libro in questione e il link al post, o anche solo il link!

Se sei un lettore o una lettrice, e hai letto un pezzo su un altro blog o sito che ti ha colpito, segnalalo, il blog provvederà a contattare il gestore e poi aggiungerlo.

Per finire, se il progetto ti piace, l’idea ti sembra carina, utile, parlane ad amici bloggher e ad amici in generale: di certo a loro non dispiacerà avere un collegamento a un pezzo magari datato, e quindi di difficile reperibilità.

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I cattivi filosofi e gli animali: le riflessioni critiche di Jacques Derrida

Online la prima parte dell’indagine critica sul blog Animalismo e Vegetarianesimo

Ne L’animale che dunque sono, testo fondamentale per chiunque voglia indagare il rapporto della filosofia occidentale con la questione animale, il bersaglio della riflessione di Jacques Derrida – uno dei massimi pensatori dell’età contemporanea – è anzitutto “una tesi sull’animale, sull’animale privato di logos, privato del poter-avere il logos: tesi, posizione o presupposto che continua da Aristotele a Heidegger, da Descartes a Kant, Lèvinas e Lacan”.

In sostanza, Derrida decostruisce diverse tesi riduzionistiche sul mondo animale formulate da alcuni fra i più importanti pensatori occidentali. Il filosofo francese offre nel libro una panoramica critica a molti dei nomi a fondamento della storia della nostra filosofia, mettendone in luce, pur nelle reciproche differenze, la comune chiusura alla questione animale.

Lo stesso termine “animale” è problematico, per Derrida

Con lo pseudo-concetto di animale vengono racchiusi tutti gli animali conosciuti in un insieme compatto, al quale viene opposto l’uomo. Ciò comporta l’assurdo appiattimento di forme di vita diversissime in un’unica categoria, appiattimento che oltre a disconoscere le differenze macroscopiche tra gli animali, ha lo scopo di potervi contrapporre lo stesso concetto di uomo, in quanto, come argomenta Derrida, non si dà la parola “uomo” né l’identità dell’uomo al di fuori della relazione strutturale con la parola “animale”.

Il termine “animale” nasce quindi da una brutale riduzione. Come può questa riduzione possa arrivare a inficiare, in filosofia, intere teorie?

Sul blog Animalismo e Vegetarianesimo comincia la pubblicazione in più parti di uno studio critico sui cardini (fallati) dellla nostra filosofia, corredato da spiegazioni ed esempi per renderlo accessibile a tutti.

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Nasce il blog culturale “Animalismo e Vegetarianesimo”

Nasce un nuovo blog dedicato alla riflessione sul rapporto uomo-animale: http://animalismoevegetarianesimo.blogspot.com/

Il nostro rapporto con gli animali è qualcosa su cui vale la pena di riflettere.
È impressionante come l’interesse per la questione animale riesca ad aprire le porte a una serie di conoscenze che toccano moltissimi ambiti della produzione culturale occidentale e allo stesso tempo diverse questioni basilari della nostra vita quotidiana, come i nostri capisaldi etici acquisiti, la nostra salute e la salute del mondo che abbiamo intorno.

Il blog “Animalismo e Vegetarianesimo” persegue diversi intenti strettamente correlati.

Vuole proporre una serie di analisi, approfondimenti e recensioni di opere letterarie (di Coetzee e Kafka, in primis) e filosofiche (a partire da uno studio sul fondamentale volume di Jacques Derrida, L’animale che dunque sono),

Vuole fare informazione sulle conseguenze più concrete e attuali del nostro rapporto “deviato” con gli animali.
Estratti da volumi di saggistica noti (come Un’eterna Treblinka e Se niente importa. Perché mangiamo gli animali) e meno noti, dati e indagini sull’industria della carne, sulle condizioni degli animali negli allevamenti intensivi, sui moderni metodi di pesca, sull’inquinamento ambientale causato dall’industria alimentare e molto altro ancora.

Vuole fornire spunti di riflessione sul vegetarianesimo e condividere informazioni basilari di nutrizionismo.

Tuttavia il blog non vuole essere “chiuso”, dedicato solo ad animalisti, vegani o vegetariani.
Nasce con l’idea che tutti possano giovare di riflessioni sul rapporto dell’uomo con gli altri esseri viventi, delle pagine che i grandi narratori hanno dedicato all’argomento, delle informazioni sul trattamento riservato agli animali ai nostri giorni, non lontano dalle nostre case, sull’inquinamento che ne deriva, sul cibo che ci viene propinato.
“Ho sempre amato gli animali, ma solo alcuni anni fa me ne sono accorto. Sono inoltre convinto che moltissimi altri li amino profondamente, senza essersene ancora accorti”.

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