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Tassi di interesse, il taglio della FED è tardivo o preventivo?

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  • 23 Giugno 2019

Nel giro di un anno la Federal Reserve americana ha compiuto una importante svolta a U riguardo alla manovra dei tassi di interesse. Da un atteggiamento spavaldo da “falco”, i policy maker americani sono invece diventati tutti “colombe”.

La virata sui tassi di interesse

tassi di interesse FEDMa è davvero una mossa necessaria? Che tipo di strategia sta seguendo la banca americana? Dobbiamo ricordare che nel corso del 2018, la FED ha ritoccato per ben 4 volte al rialzo il costo del denaro, annunciando questo stesso lancio anche per il futuro. Ma dall’inizio del 2019 è cambiato tutto, e adesso i mercati vedono sempre più vicino un taglio dei tassi di interesse, forse già a luglio prossimo. Il dibattito sulle prossime mosse della banca centrale americana non riguardano più il “se”, ma il “quando” ci sarà il primo ritocco.

Non è infatti un caso che i mercati stiano già “prezzando” l’evento penalizzando il dollaro. Chi sa cos’è il trading forex e come funziona, avrà notato un deciso calo della quotazione del biglietto verde nelle ultime settimane. Al contrario, il prezzo dell’oro tende a salire (è ai massimi di 5 anni). Per gli investitori non c’è quindi alcuni dubbio che la FED si stia orientando verso politiche più accomodanti, ovvero di abbassamento dei tassi di interesse.

La strategia della Federal Reserve

Quel che invece è più incerta, è la strategia che c’è dietro questa virata. Molti analisti ritengono che la mossa del board FED possa essere di tipo preventivo. In pratica non è finalizzata a dare supporto immediato all’economia a stelle e strisce, ma a predisporre le condizioni per farlo, nel caso in cui dovessero concretizzarsi dei rischi al ribasso. Va ricordato infatti che il tema della guerra dei dazi è tanto centrale quanto incerto. Nessuno al momento sa dire con certezza se le tensioni tra USA e Cina si affievoliranno o si acuiranno. Non ci sono segnali sicuri e affidabili che lo scenario si evolverà in un senso o nell’altro. Le conseguenze nel primo caso sarebbero di un certo tipo, nel secondo sarebbero del tutto opposte. La FED quindi vuole cautelarsi.

A sostegno di questa ipotesi ci sono dei dati importanti. La FED infatti, nel suo outlook economico non ha formulato alcun cambiamento circa le previsioni di crescita. Anche nel meeting di giugno, il FOMC (organo di politica monetaria della FED) ha detto di attendersi un’inflazione molto vicina al target. L’unica novità rispetto al passato, sono le maggiori incertezze in merito all’outlook. La strategia della FED sarebbe quindi quella di “prevenire è meglio che curare”. Del resto è proprio questa espressione che ha usato lo stesso presidente della Federal Reserve, Powell, in conferenza stampa.

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Argento, il mercato soffre la ritrovata forza del dollaro USA

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  • 3 Ottobre 2018

Qualche giorno fa la Federal Reserve ha deciso, come da copione, di alzare i tassi di interesse dando così luogo alla terza manovra restrittiva del 2018. E il mercato dell’argento è tornato a incupirsi. Peraltro ha confermato che quella appena effettuata potrebbe non essere l’ultima stretta monetaria, visto che a dicembre si preannuncia un nuovo ritocco.

Le mosse della FED e il mercato dell’argento

argentoAndiamo per ordine, perché per capire le dinamiche del mercato dell’argento occorre capire cosa accade al dollaro. Come detto, la Federal Reserve americana ha deciso di portare i tassi al 2,25%. Questo annuncio non segna l’addio definitivo all’era della politica monetaria “accomodante“, ma di fatto spiana la strada a questo momento che arriverà nel 2019. L’anno prossimo infatti dovrebbero esserci altri 3 ritocchi al costo del denaro, in barba alle critiche di Trump. Il presidente USA infatti ha apertamente detto di sperare che la Fed non sia troppo solerte nel battere il percorso di normalizzazione. Una richiesta evidentemente caduta nel vuoto.

Negli ultimi due anni la banca centrale americana ha aumentato i tassi per otto volte. Non senza ragione, visto che l’economia a stelle e strisce marcia a vele spiegate. Ogni ritocco ha fatto balzare il dollaro, he anche stavolta è scattato al rialzo. Se fino a poche settimane fa l’euro-dollaro viaggiava verso quota 1.18, immediatamente si sono manifestati pattern e figure inversione trend, che è puntualmente hanno avuto conferma dai fatti. L’euro-dollaro infatti è sceso fin sotto quota 1.16 toccando i minimi dall’estate.

Le ripercussioni sui metalli preziosi

L’effetto collaterale è stato il calo delle quotazioni dell’argento. Nel 2018, il metallo bianco ha subito diverse cadute come conseguenza di un’economia statunitense sempre più positiva, di aspettative di maggiori tassi di interesse e di timori di una guerra commerciale globale. Già perché ormai i mercati sono propensi a considerare un rifugio sicuro il dollaro piuttosto che i metalli preziosi (discorso che vale anche per l’oro). Per questo motivo anche chi sta puntando sulla ripresa dell’argento, si cautela comunque con strumenti di protezione. Chi sa cos’è lo Stop Loss trading ben comprende la situazione.

In tutto questo scenario infatti, alcuni analisti ritengono che la corsa del biglietto verde presto potrebbe subire una battuta d’arresto, con la conseguenza che i metalli preziosi torneranno a vivere una stagione propizia. Ma il mercato al momento non manda grandi segnali in questo senso.

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Tassi di interesse USA: rimane in bilico l’ipotesi 3/4 rialzi

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  • 16 Febbraio 2018

Le aspettative riguardo la politica monetaria degli USA continuano a oscillare tra diverse previsioni. L’ultima riunione della Federal Reserve svoltasi sotto la guida del presidente Janet Yellen, qualche settimana fa, non fu particolarmente significativa. La banca centrale americana è rimasta ancora in sospeso tra l‘ipotesi di 3 o 4 rialzi dei tassi di interesse nel corso del 2018. L’ultimo dato sull’inflazione, che è stato migliore delle attese, invece ha dato maggiore impulso all’ipotesi di una stretta più rapida.

tassi fedAnche se l’incertezza resta, tuttavia ci sono delle implicazioni a breve, medio e lungo termine che possono essere tratte. L’ultima riunione della FED aveva già ampliato le aspettative di inflazione in aumento, sottolineando che un aumento era comunque atteso. Ciò dovrebbe rendere scontato l’incremento di 25 punti base (+0,25%) dei tassi a marzo. E di conseguenza dovrebbe accendersi la spia rossa per chi fa investimenti sull’euro-dollaro, la maggiore delle coppie di valute più volatili forex.

Medio e lungo termine per i tassi

E a medio termine? Qui il discorso cambia. La Fed non dovrebbe avere alcuna fretta di incrementare il costo del denaro in modo più veloce. Questo perché se da un lato l’inflazione marcia meglio del previsto, dall’altro il dato core rimane ancora lontano dal target del 2%. Questo fa pensare che i tre i rialzi dei tassi USA nel 2018 restino ancora l’ipotesi più probabile (e di conseguenza non avremo scossoni nell’indicatore MFI Money Flow index trading dell’euro-dollaro). Ribadendo comunque che ulteriori forti slanci potrebbero lasciare spazio anche per un eventuale quarto ritocco.

Riguardo al lungo termine invece, bisogna sottolineare che la Fed è stata appena interessata da un passaggio di consegne tra presidenti: dalla Yellen a Powell. Difficilmente quest’ultimo si presenterà al suo primo anno di mandato sprintando sul percorso di normalizzazione. Semplicemente perché non è necessario farlo. A meno che l’ambiente non viva un significativo cambiamento, l’ipotesi di 3 ritocchi rimane quindi la più concreta.

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BCE, battaglia a distanza con la FED sul rapporto di cambio

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  • 1 Settembre 2017

La BCE vince. No anzi, la BCE perde. Nel giro di pochi mesi la politica attendista della Eurotower è passata dall’essere saggia nella sua eccessiva prudenza, all’essere vulnerabile e stretta all’angolo. Dopo l’elezione di Trump, gli USA hanno avuto un sussulto molto forte, al punto che la FED (forse incautamente) preannunciò 3 o 4 rialzi del costo del denaro. L’effetto è stato di un continuo e imperioso apprezzamento del dollaro, trascinato da dati macroeconomici sempre positivi.

bceMa da primavera in poi lo scenario è cambiato. Le riforme preannunciate da Trump non si sono viste, i dati macro non sono stati troppo positivi e il dollaro ha cominciato a ridiscendere. L’indicatore alligator-coccordillo, che pochi mesi prima teneva le fauci ben spalancate, le ha chiuse. Anzi è stato l’euro a spalancarle di nuovo. Tanto che adesso la FED ha cominciato ad assumere un atteggiamento da “colomba”. E gli conviene, visto che l’attendismo della BCE ha nel frattempo spinto l’euro verso picchi altissimi. Questo rende meno costoso importare dagli USA, che ringraziano e fanno respirare la loro bilancia commerciale.

La posizione scomoda della BCE

La patata bollente è in mano alla Bce. Ha aspettato troppo per il tapering (ovvero la riduzione del piano di stimoli all’economia) e adesso non può più farlo. Il tapering infatti avrebbe come effetto una ulteriore spinta all’euro. Che però è già troppo forte. Sarebbe come pompare una gomma che è ià oltre pressione. La spia delle preoccupazioni dell’istituto centrale europeo sono i rumors riguardo un presunto meeting tra banchieri, addirittura una settimana di anticipo sul board dell’Eurotower. Segno evidente che i timori di aver aspettato troppo sono forti.

E i mercati come hanno reagito? Boom. La valuta comune europea, salita pochi giorni fa oltre la quota psicologica di 1,20 sul dollaro, è ridiscesa fin sotto 1,19 portando giù anche l’indicatore MACD trading. Ma la discesa è durata poco. Però il problema resta. Tutti sapevano che gli Usa stavano lavorando per un indebolimento del dollaro, ma la BCE ha negato finché ha potuto. Adesso però la situazione s’è fatta molto difficile, e la battaglia a distanza tra euro e dollaro sta premiando la FED.

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