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La prima laurea in apprendistato all’Università degli Studi di Bergamo

Un piano personalizzato le ha dato l’opportunità di raggiungere la laurea ottenendo un’alta formazione da applicare nel suo lavoro, necessaria per rivestire ruoli professionali più specifici e specializzati. Venerdì 15 novembre, Irene Poloni, 22 anni, sarà la prima studentessa dell’Università degli studi di Bergamo, a laurearsi attraverso un percorso di apprendistato di III livello, istituito dall’Università degli Studi di Bergamo in accordo con Confcooperative, nel corso di studi triennale di Scienze dell’Educazione, dipartimento di Scienze Umane e Sociali.  Un accordo, tra i primi in Italia, basato su un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani che consente di conseguire un titolo di studio e contemporaneamente essere regolarmente assunti da un’impresa con la qualifica professionale che sarà acquisita attraverso il titolo.

«Attualmente abbiamo attivi dieci percorsi di laurea triennale in apprendistato nel corso di laurea in Scienze dell’educazione del Dipartimento di scienze umane e sociali e uno nel corso di laurea in Economia aziendale del Dipartimento di Scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi. Il percorso in apprendistato è un ulteriore orizzonte aperto dall’Ateneo grazie a un rapporto costruttivo con il territorio, in questo caso con Confcooperative e le sue realtà aziendali commenta il Rettore, Remo Morzenti Pellegrini -. Questi percorsi arricchiscono le esperienze all’interno di UniBg e allo stesso tempo garantiscono alle aziende del territorio le competenze di cui hanno bisogno, grazie a un confronto costante. Le mie congratulazioni alla giovane neolaureata e a tutti i suoi e a tutti i 194 neodottori di questa sessione».

“L’ambientamento guidato dal genitore. Uno studio di caso al nido” è il titolo del project-work che porta Irene Poloni alla laurea dopo aver sostenuto tutti gli esami. Un obiettivo raggiunto tramite una costante integrazione tra il mondo del lavoro e i contenuti del percorso di studi. Con la guida della tutor aziendale Emanuela Bertocchi, coordinatrice dei nidi d’infanzia gestiti dalla cooperativa La Fenice di Albino, e della tutor accademica, professoressa Evelina Scaglia, docente di Pedagogia dell’Università di Bergamo, la studentessa e lavoratrice, ha potuto confrontarsi, come apprendista nel nido d’infanzia Pinocchio di Leffe, con la sperimentazione di una modalità innovativa di ambientamento al nido nata in Svezia, caratterizzata dal ruolo dei genitori, che devono essere protagonisti, secondo i principi pedagogici formulati da Maria Montessori ed Elinor Goldschmied.

«Mi sono diplomata nel 2016 come operatore sociosanitario – commenta la studentessa neolaureata, iscritta al corso di laurea Magistrale in Scienze Pedagogiche – Il percorso in apprendistato mi ha dato la grande occasione di approfondire al meglio le caratteristiche e le complessità del mondo del lavoro in cui ho deciso di inserirmi, e di raggiungere un livello di competenze adeguato per affrontarlo al meglio».

«La specificità di questi percorsi riguarda il fatto che gli studenti possono integrare studio e lavoro seguendo un piano formativo personalizzato nel quale sono indicate le attività didattiche da svolgere in Università e i compiti da affrontare nel contesto lavorativo al fine di maturare le competenze attese al termine del percorso – spiega Marco Lazzari, direttore del dipartimento di Scienze umane e sociali -. I percorsi sono caratterizzati da un’elevata personalizzazione che consente di porre al centro gli interessi e le potenzialità dell’apprendista. Si crea così la possibilità di conseguire un titolo di studio di alta formazione anticipando i tempi di ingresso nel mercato del lavoro, sviluppando competenze professionali per svolgere una professione specifica».

Le aziende che assumono apprendisti di III livello possono beneficiare di agevolazioni contributive e fiscali e hanno il vantaggio di poter progettare con l’Università il percorso formativo dell’apprendista, anche in funzione degli specifici fabbisogni di competenze dell’azienda stessa. «La circolarità formativa conclude Lazzariè uno dei principali temi della nostra riflessione pedagogica ed è venuto naturale metterlo in pratica con percorsi di alternanza come quelli dell’apprendistato di III livello».

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Confcooperative Emilia – Romagna: stabili addetti e fatturato.

(Bologna, 30 luglio 2013). Mentre l’intero sistema produttivo italiano sta attraversando uno dei periodi più difficili degli ultimi decenni, la cooperazione continua a resistere meglio di altri soggetti imprenditoriali alla diffusa crisi economica e si conferma un punto fermo e vitale nel tessuto economico e sociale dell’Emilia Romagna e del Paese. Il dato emerge anche dalla terza indagine congiunturale curata da Confcooperative Emilia Romagna (70.000 addetti, 12 miliardi di euro di fatturato) che ha interessato un campione mirato composto dal 7,8% delle imprese socie (134 su 1.732). “Dall’analisi, relativa al primo semestre 2013, – dichiara il presidente regionale di Confcooperative, Massimo Coccia – emerge una sostanziale stabilità del fatturato con una tendenza positiva per la fine dell’anno. Più in dettaglio, il 64,9% delle cooperative segnala un andamento stazionario del volume d’affari e il 20% indica invece un incremento”. “Particolarmente positivo – prosegue Coccia – il trend del comparto agroalimentare: la metà delle imprese (50,4%) prevede un fatturato stabile e circa un terzo (31,4%) in aumento. Il giro d’affari risulta stazionario anche per il 94,2% delle imprese di produzione e lavoro, mentre appare in diminuzione per quelle di solidarietà sociale (soltanto per l’11,8% di queste imprese il fatturato aumenterà)”.

Sempre per quanto riguarda il settore agroalimentare, risulta in lieve flessione (-1,1%) la quota di prodotto destinata alla grande distribuzione organizzata, che resta comunque alta, pur scendendo dal 34% del 2012 al 32,9%. Segnali positivi invece sul fronte dell’export: a fine 2013 si prevede un incremento del 10,1%, per le imprese aderenti a Fedagri, che complessivamente realizzano all’estero il 12,4% del proprio fatturato. “Alla luce della generale stagnazione dei consumi che si registra sul mercato interno – dichiara il presidente Coccia – l’esportazione è ormai una strada obbligata per le aziende dell’agroalimentare, ma anche di altri settori produttivi. E per questo negli ultimi tempi Confcooperative Emilia Romagna ha spinto sempre più l’acceleratore sulla internazionalizzazione che può assicurare interessanti prospettive di crescita alle imprese associate”. Si inseriscono in tale contesto alcune interessanti iniziative quali la partecipazione alla Settimana della Cooperazione svoltasi all’inizio di luglio a Seul, in Corea del Sud. Un’interessante occasione di confronto per approfondire la realtà associativa del paese asiatico e i possibili ambiti di sviluppo futuri conclusa con la firma di un protocollo d’intesa per una regolare collaborazione tra il sistema cooperativo coreano e quello che fa capo a Confcooperative Emilia Romagna. Dall’Asia al Sud America, Confcooperative ha fatto tappa anche in Colombia partecipando a una missione promossa dall’Ambasciata d’Italia a Bogotá e finalizzata a verificare le condizioni per il trasferimento dell’esperienza delle cooperative agricole italiane a favore dello sviluppo della piccola proprietà terriera colombiana. La missione si è conclusa con una proposta progettuale che verrà al più presto presentata alla cooperazione italiana con l’obiettivo di trovare supporto concreto allo sviluppo dell’economia agricola del paese andino.

Tornando all’analisi della congiuntura, l’ultima indagine di Confcooperative Emilia Romagna evidenzia un sentiment sostanzialmente positivo per quanto riguarda l’occupazione, che complessivamente risulta stabile, ma con tendenze diverse per i tre principali settori produttivi del sistema Confcooperative: in aumento nell’agroalimentare (nel 51,4% delle imprese crescerà il numero degli addetti, nel 30,1% la loro presenza resterà stazionaria); stabile nel settore della solidarietà sociale per il 48,8% delle cooperative (ma per il 22,9% delle imprese è prevista in aumento); in forte diminuzione, infine, nel settore della produzione e lavoro, dove l’occupazione è in diminuzione nel 62,1% delle cooperative, risulta stabile nel 34,8% ed è prevista in aumento in appena il 3,1%. Per creare ulteriori opportunità di lavoro, in particolare per i giovani, è assolutamente necessario investire sempre più risorse nell’innovazione. A questo proposito, Confcooperative regionale ha recentemente promosso l’evento “CoopYoung. Giovani cooperatori tra spazi e reti” per stimolare alcune riflessioni sugli elementi alla base di un ecosistema imprenditoriale innovativo e per creare l’opportunità di lavorare insieme, facendo rete. I giovani cooperatori costituiscono una rete potenziale che, dandosi una visione comune e identificando uno spazio condiviso, può alimentare la creazione di progetti e strumenti per diffondere l’innovazione all’interno del sistema cooperativo. Purtroppo, però, dall’indagine di Confcooperative Emilia Romagna emerge una tendenza negativa in merito agli investimenti in innovazione, che diminuiscono per le imprese agricole, restano stazionari per le coop di produzione e lavoro e di solidarietà sociale. Il fabbisogno finanziario registra una tendenza all’aumento per il 41% delle imprese, mentre si conferma stabile per il 44,5% e mostra una diminuzione per il restante 14,5%. Aumentano invece i ritardi nei tempi di pagamento di beni e servizi da parte dei privati (ad esclusione del comparto agroalimentare, le cui imprese normalmente riscuotono quanto dovuto in meno di 70 giorni): mediamente occorrono 97 giorni alle coop di solidarietà sociale e circa 102 a quelle di produzione e lavoro. Trend negativo analogo anche per i pagamenti da parte degli enti pubblici: oltre 87 giorni per le imprese agroalimentari, quasi 132 per quelle di solidarietà sociale e 104 per le coop di produzione e lavoro. Infine, se restano stabili le relazioni con le banche, peggiorano quelle burocratiche per il 42,7% delle imprese agroalimentari, per il 45,3% di quelle della solidarietà sociale e per il 21,2% della produzione e lavoro (per nessuna impresa di questi settori sono diminuite le difficoltà nei rapporti con la Pubblica Amministrazione).

“Le cooperative emiliano-romagnole – puntualizza il presidente regionale di Confcooperative Massimo Coccia – stanno reagendo con determinazione alla congiuntura economica negativa, mettendo in campo le proprie risorse e facendo leva sui propri ideali di mutualità, solidarietà, coesione sociale, radicamento sul territorio e coinvolgimento delle giovani generazioni”. “A ciò – conclude Coccia – si aggiunge il nostro impegno quotidiano affinché il Governo attui gli investimenti per lo sviluppo necessari ad un sistema imprenditoriale duramente provato dalla crisi e, negli ultimi tempi, da numerose calamità naturali (alluvioni, grandinate, terremoti), riconoscendo anche un ruolo primario alle imprese cooperative che tutelano, accrescono e difendono occupazione e reddito. E garantendo al Paese quella crescita ed equità sociale, che può farlo tornare protagonista nei mercati e nello scenario internazionale”.

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